
Titoli di Stato: ecco perché l’Italia è in apprensione per le prossime aste
Se l’incubo di qualsiasi cantante famoso è di svegliarsi al mattino prima di un concerto e ritrovarsi afono, qual è la principale paura della Repubblica italiana nelle sue vesti di grande debitore? Sicuramente quella del flop di un’asta dei titoli di Stato. Infatti la colonna portante del debito pubblico italiano è un efficiente meccanismo di “sostituzione” dello stesso attraverso il ricorso a nuove emissioni: banalmente potremmo dire che viene rimborsato il vecchio con quello nuovo.
Ecco perché, nonostante le rassicuranti parole del direttore generale del Tesoro Maria Cannata, vengono i brividi al pensiero che nei prossimi cinque mesi andranno a scadenza 121 emissioni per la spaventosa cifra (tra interessi e capitale) di 202 miliardi di euro. Significa che un ammontare simile deve essere emesso. Sarebbe sufficiente che – come bene o male è successo finora – una volta ricevuto il rimborso, gli investitori sottoscrivessero le nuove emissioni. Ma sarà molto dura che questo accada, semplicemente perché una parte di loro non si può permettere la volatilità (una sorta di termometro del rischio) che è ormai una costante dei titoli di Stato. Basti pensare, per fare un raffronto, che il Btp 5 per cento che verrà rimborsato l’1 febbraio 2012 fu emesso nell’ottobre 2001, un mese dopo il crollo delle Torri gemelle, ed ebbe nell’anno successivo una volatilità pari al 5 per cento: significativamente più bassa di quella registrata negli ultimi mesi dal Btp decennale (ben il 20 per cento).
Ecco perché attualmente nulla è da escludere, neppure – evento eccezionale – che a un certo punto il Tesoro decida di sospendere temporaneamente le nuove emissioni perché magari troppo costose. In tal caso non ci sarebbe altra scelta che quella di lanciare un sos al Fondo monetario internazionale.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!