«Ecco come abbiamo smascherato la clinica dei bambini trans»

Di Caterina Giojelli
05 Agosto 2022
Common Sense pubblica la testimonianza di Sue Evans, che già nel 2005 aveva denunciato gli abusi della sua équipe alla Tavistock: «I piccoli più vulnerabili venivano avviati ai trattamenti ormonali subito e sotto la pressione degli attivisti»


«Quello che è successo alla Tavistock è la storia di come un piccolo gruppo di informatori – dottori, infermieri, genitori e pazienti, con l’aiuto di giornalisti e reporter – siano stati in grado di smascherare in maniera inesorabile un approccio medico portato avanti da attivisti irresponsabili. Ed è anche una lezione oggettiva per chi è profondamente preoccupato dall’approccio a senso unico delle cure transgender e si chiede che cosa dovrebbe fare a riguardo».

C’è tutto nella preziosa testimonianza scritta da Sue Evans per Common Sense, la formidabile newsletter della giornalista americana Bari Weiss. C’è il racconto degli anni trascorsi dall’esperta di psicoterapia psicoanalitica alla gender clinic di Londra, e delle ragioni che l’hanno portata, insieme al marito psicanalista Marcus Evans e altri coraggiosi medici, a ribellarsi alla prassi incontrollata di avviare i bambini a trattamenti sperimentali ormonali. Gli abusi compiuti per anni alla Tavistock e rivelati da un’indagine definitiva condotta dalla pediatra Hilary Cass, hanno portato il servizio sanitario britannico a decretare la chiusura della clinica la scorsa settimana.

Gli attivisti dettavano l’agenda della Tavistock

Eppure sono anni che dalla clinica arrivano notizie di dimissioni, rapporti, denunce, scandali. Evans inizia a lavorare con bambini e adolescenti nell’équipe del Gids, l’ormai famigerato servizio di sviluppo dell’identità di genere della Tavistock, nei primi anni 2000. E poche settimane dopo un ragazzo di 16 anni con una storia complessa che si sentiva nato nel corpo sbagliato viene avviato da una collega al trattamento con i bloccanti della pubertà già al quarto appuntamento. Un tempo troppo breve, in base all’esperienza di Evans, per arrivare a una valutazione diagnostica simile. L’approccio della Tavistock poi con gli adulti è sempre stato di tipo psicoterapeutico, prescrivere i farmaci un’eccezione: perché allora i colleghi non sembrano esitare a raccomandare i bloccanti della pubertà – a cui segue quasi sempre la somministrazione di omoni sessuali incrociati – ai bambini più vulnerabili, quelli alle prese con ansia, autismo, omofobia interiorizzata eccetera?

«Avevo anche notato che i medici senior del Gids si incontravano regolarmente con Mermaids, un gruppo di difesa dei pazienti transgender». Evans non ci vede nulla di strano, si tratta di aiutare i pazienti ad avere voce in capitolo. «Ma con il passare del tempo, è apparso chiaro che gruppi come i Mermaids stavano esercitando un’influenza su medici e clinici, dettando le aspettative di cura per i nostri pazienti».

Un giorno un superiore le intima di riscrivere una lettera indirizzata al medico di un paziente di sesso maschile assicurandosi di usare il nome femminile da lui scelto e i nuovi pronomi in cui si riconosce. Evans fa notare che questo avrebbe potuto confondere l’équipe clinica, dal momento che «stavamo parlando di un bambino maschio con disforia di genere». Le viene risposto che il mancato utilizzo dei nomi e dei pronomi corretti avrebbe potuto costare a lei e alla Tavistock una causa legale.

«Cercavo di occuparmi solo di bimbi troppo piccoli per i bloccanti»

Quando nel 2005 la Tavistock ospita una conferenza sull’assistenza sanitaria transgender, il relatore che apre i lavori dichiara che da quel momento in poi la clinica non avrebbe più dovuto pensare alla disforia di genere come a una malattia mentale. «Ma eravamo un team che si occupava di salute mentale e lavorava in una struttura per la salute mentale. Cosa avremmo dovuto fare se non curare i pazienti con condizioni psicologiche?». Internet non si era ancora impadronito di un’intera generazione di adolescenti influenzandola con le narrazioni sull’identità di genere – cosa che nel giro di un decennio avrebbe fatto schizzare i numeri di pazienti della Tavistock –, ma già Evans si sentiva rispondere con un’alzata di occhi al cielo ogni volta che provava a esprimere preoccupazione sulla fretta di prescrivere ai bambini farmaci dagli effetti permanenti.

«Cominciai a pensare di essere parte di qualcosa di non etico. Cercai di prendere in carico solo i bambini legalmente troppo piccoli per iniziare a prendere i bloccanti, il che mi avrebbe permesso di avere più tempo per fare un lavoro terapeutico a lungo termine, evitando al contempo di affrontare il dilemma di lavorare in un cosiddetto “servizio di passaggio” verso la medicalizzazione».

Il marito Marcus, stimato psicanalista al lavoro nel dipartimento per adulti della Tavistock, le suggerisce di parlare con un suo superiore. Il quale decide di avviare un’indagine interna. Siamo nel 2006, Evans potrà visionare i contenuti del rapporto solo quando la Bbc, nel 2019, riesce a entrarne in possesso: dati scarsi, follow-up insufficienti, documenti assenti o incompleti. Per anni la Tavistock era riuscita a seppellire i risultati del primo, allarmante, rapporto.

Il boom di ragazzine transgender

Nel 2007 Evans lascia il Gids, continuando a lavorare per la Tavistock, dove può occuparsi dei pazienti con la psicoterapia psicanalitica. Ma le è impossibile ignorare il boom di ragazzini – oltre tremila nel 2019 – che inizia ad affollare il servizio dell’identità di genere, sottoposto a pressioni crescenti per smaltire le lunghe liste di attesa e quindi avviare sempre più rapidamente i piccoli ai bloccanti.

«Anche il profilo dei pazienti era cambiato in modo significativo. Molti di loro erano ragazze adolescenti che non avevano mai mostrato prima segni di disforia di genere. Spesso, il loro sentore di essere un maschio si sviluppava insieme al loro seno o quando arrivava il ciclo. Erano inorridite dai loro corpi e volevano controllarne i cambiamenti».

Con i pazienti cresce anche però il numero di medici dissidenti: nel 2018, in seguito alla pubblicazione di un agghiacciante rapporto firmato dallo psicanalista David Bell, anche il marito di Sue, Marcus Evans, si dimette. Le sue dimissioni fanno scalpore in tutto il paese. Presenti entrambi a una riunione alla Camera dei Lord, con un rappresentante della Tavistock che nega categoricamente che alla clinica di prim’ordine si avviino i bambini a cura urgenti, Sue Evans sbotta pubblicamente: «Falso. Ho lavorato lì. E ho visto i bambini spinti a una transizione molto rapida».

Evans con Keira Bell in aula contro la Tavistock

Dopo quell’uscita viene avvicinata da un gruppo colleghi: c’è la mamma di una ragazza autistica che cerca aiuto, la figlia è stata rinviata al Gids senza essere in grado di comprendere appieno le conseguenze del trattamento e dare il consenso informato. Ma non può far ricorso da sola, né vuole, per tutelare la figlia, che il suo nome diventi pubblico. Evans accetta di aiutarla.

«Quasi nessuno nel Regno Unito voleva essere coinvolto, quindi ho iniziato a cercare testimonianze ed esperti negli Stati Uniti, in Australia e in Svezia. A poco a poco, abbiamo messo insieme dichiarazioni e prove a sostegno della nostra tesi, cioè che i bambini non potevano dare il consenso pienamente informato a un trattamento sperimentale che avrebbe avuto effetti per tutta la vita e dalle conseguenze ancora sconosciute. Tramite una giornalista ho trovato, tra i tanti, Keira Bell e sono stata subito catturata dalla sua storia».

Dopo essere stata avviata dalla Tavistock ai bloccanti della pubertà a 16 anni, testosterone a 17, doppia mastectomia un anno dopo, Keira diventa il testimone chiave del processo contro la Tavistock: nel 2020 l’Alta Corte inglese stabilisce che i minori di 16 anni non possono dare il consenso informato al blocco della pubertà. La vittoria dura pochi mesi: nel 2021 Keira Bell e i pazienti perdono in appello.

Oltre tre anni per far venire a galla la verità

Transfobia, bigottismo, terapie di conversione: Sue Evans e i detransitioners della Tavistock diventano i nemici dei diritti nella narrazione dei potenti gruppi a sostegno dell’identità di genere. Poi, settimana scorsa, dopo l’ennesimo rapporto guidato dalla pediatra Hilary Cass, la verità è venuta a galla. Tutta la verità.

Ne abbiamo scritto qui: non solo nel rapporto di Cass si conferma che per anni l’Nhs ha trattato bambini vulnerabili come transgender e con farmaci che avranno un impatto irreversibile sulla loro vita, senza sapere se quei farmaci avrebbero prodotto i risultati attesi o, al contrario, peggiorato il loro disagio. Non solo i bloccanti della pubertà potrebbero aver avuto l’effetto opposto a quello rivendicato. Ma il rischio che possano avere conseguenze a lungo termine per il funzionamento mentale dei bambini a cui sono stati somministrati c’è. E per porre fine a tutto questo ci sono voluti più di tre anni, le dimissioni di massa di molti medici, le denunce dei pazienti in tribunale, le prime pagine dei giornali, il coraggio di un piccolo gruppo di persone che non si sono arrese al furto dell’infanzia.

Foto di Mercedes Mehling su Unsplash

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