Terminator 2. Trent’anni di un film invecchiato benissimo

Di Simone Fortunato
15 Aprile 2021
Così nel 1991 il blockbuster di James Cameron cambiò i connotati al cinema che sarebbe venuto poi. La recensione di Tempi di aprile 2021
Una scena del film Terminator 2

Ho visto su Prime Video I Care a Lot, spinto da una bella locandina che sottolineava la presenza della bravissima Rosamund Pike che mi aveva alquanto terrorizzato ne L’amore bugiardo dove faceva a fette Ben Affleck. Qua praticamente fa la stessa parte, una cattivissima, improbabilissima tutrice legale di poveri vecchietti che finiscono da lei turlupinati. Mi è sembrata non un cagata pazzesca, per dirla con l’Ineffabile Ragioniere, perché le cagate hanno una dignità, seppur di grande film rovesciato, ma mi è sembrato l’ennesimo prodotto di plastica, non particolarmente malfatto ma nemmeno ben fatto, con un budget tutto sommato ricco ma nemmeno troppo, e un’attrice tutto sommato brava ma non memorabile che replica se stessa in una sceneggiatura che fa il verso a Kill Bill senza però che ci sia né Quentin e nemmeno Bill. Insomma, un film senz’anima, mediocrissimo in tutto, dall’erotismo insulso alla riflessione ovvia sul lato oscuro del sogno americano, il ruolo della donna forte… che palle. Almeno i film Disney hanno il loro stile riconoscibile e la loro identità, che piaccia o no: questi come I Care a Lot sembrano prodotti anonimi accatastati su qualche scaffale, peraltro davvero tutti uguali, con solo l’ambientazione cambiata. 

Quanta differenza rispetto alla statura di certi film di anni fa che, anche dalle dimensioni ristrette di un tv color, trasmettevano una grandezza, di forma e di contenuto. Giusto trent’anni fa, nel 1991, usciva nelle sale uno dei sequel più riusciti della storia del cinema, inferiore come impatto sul pubblico solo a L’impero colpisce ancora: Terminator 2 – Il giorno del giudizio. Film clamoroso, che fece da spartiacque per tanti aspetti. Innanzitutto perché il regista, James Cameron, autore del già memorabile primo Terminator uscito sette anni prima, diede il via a una computer grafica che letteralmente cambiò i connotati al cinema che sarebbe venuto: la nuova generazione di Terminator, complesso cyborg giunto da un futuro apocalittico per uccidere quello che sarebbe diventato il leader degli uomini nella guerra contro le macchine, si fatica a dimenticare anche a distanza di così tanti anni. Il lavoro impressionante, durato anni, portava già nel 1991 a sostituire attraverso il digitale l’attore o almeno parte di lui. Era la cosiddetta computer-generated imagery (Cgi) della Industrial Light & Magic di George Lucas che, di fatto, sostituì i movimenti dell’attore per quasi la metà delle scene in cui compare il Terminator, scene peraltro memorabili, come quelle nel manicomio. 

Il film è invecchiato benissimo per tanti aspetti: lo stravolgimento narrativo per cui il cattivo del primo episodio diventa nel secondo l’eroe senza macchia e senza paura, l’indomito Arnold Schwarzenegger che, peraltro, provava pure a fare il simpatico; la presenza di una figura femminile, eroica e arcigna, quella Sarah Connor, che era poco più che una ragazza nel primo capitolo e poi diventerà vera e propria eroina tragica, con sulle spalle il destino del mondo. Inoltre, il dittico di Cameron sul Terminator che torna dal futuro segna il punto di non ritorno sul tema uomo/macchina che è stato una costante di tutta la fantascienza degli anni Settanta e Ottanta con tanti elementi che faranno scuola: lo scenario apocalittico, il finale sospeso e in generale la riflessione sul tempo e sui suoi paradossi. 

Nel primo film, pietra miliare di quello che poi diventerà il movimento cyberpunk, un giovanissimo Cameron al secondo lungometraggio furbescamente prendeva la storia dell’Annunciazione e la calava in un contesto fosco, un mondo distantissimo dall’ottimismo superficiale del cinema di quegli anni. Dal futuro arriva un cyborg a cercare la povera Sarah Connor, destinata a partorire il salvatore dell’umanità. Tante sequenze indelebili, di pura azione e tensione, impossibili nel cinema insipido di oggi: dall’uccisione della Sarah sbagliata a quel pezzo di bravura che è la sequenza in discoteca, fino agli interminabili minuti conclusivi in cui il cyborg inseguiva fino alla fine la povera Sarah. 

Cuore ed emozioni reali

Era un film di effetti (meccanici) ma anche di cuore: e non a caso in sede di sceneggiatura Cameron contrappose alla macchina senza pietà il fragile Kyle, mandato dal nascituro John Connor a salvarlo nel passato. Kyle è l’eroe fragile, che incassa ma resiste tenace: una figura tipica del cinema anni Ottanta (si pensi all’incassatore seriale Rocky Balboa) e che si muove per amore. Cameron, che su questi personaggi fragili si giocherà la carriera (in Titanic e Avatar, per dire) tra i due Terminator gira il sequel di Alien di Ridley Scott, Aliens – Scontro finale con la “s” perché stavolta gli alieni sono tanti. C’è Sigourney Weaver, il tenente Ripley, lei sì prototipo di donna con gli attributi in lotta ma solo perché dall’altra parte c’è un alieno femmina ancora più incazzata e pronta a difendere la specie contro tutto e tutti. 

Tre film, tre perfette macchine di intrattenimento e di intelligenza: un discorso coerente fatto di tematiche (la fragilità dell’uomo, la speranza nella donna/madre, lo scontro tra civiltà, lo scenario apocalittico) che ritorneranno anche nei successivi film di Cameron. Ma, più di tutto, tre film di cuore e di emozioni reali, di carne e di sangue, di paura vera e di immagini che, a differenza dei prodotti sugli scaffali, rimangono nella memoria e durano per sempre. 

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