Te Deum laudamus perché sei Tu che giudichi il tempo

Di Francesco Botturi
02 Gennaio 2016
Nel tafferuglio quotidiano del mio cuore e dei miei ambienti, questo rasserena e sprona: che Qualcuno vagli il tempo e abbia il potere di vagliare quello che vale davvero, al di là delle apparenze, dei miei moti di soddisfazione e di ripugnanza, degli altrui apprezzamenti

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Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 31 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti), che è l’ultimo numero del 2015 e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2015 Tempi ospita, tra gli altri, i contributi di Antonia Arslan, Sinisa Mihajlovic, Luigi Brugnaro, Marina Terragni, Totò Cuffaro, Gilberto Cavallini, Luigi Negri, Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Marina Corradi, Roberto Perrone, Renato Farina.

Francesco Botturi è da quasi vent’anni professore ordinario di Antropologia filosofica e Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano. È autore di saggi e articoli sui temi dell’etica, della modernità e della “ragion pratica”, dell’antropologia.

Di che cosa mi sono sorpreso a ringraziare lungo quest’anno? Di moltissime cose grandi, molto grandi: di Maddalena, la nuova nipotina, e della generosità che l’ha portata al mondo; delle molte testimonianze di fede, quelle autorevoli e attese e quelle casuali e inaspettate; del buon lavoro fatto, nonostante tutto; dello spettacolo del primo spalancarsi della mente nei più giovani… Di che cosa ho ringraziato, in fondo? Di nuovi inizi, di inizi che fanno nascere alla novità, che è il senso del nostro venire all’esistenza, come ha intuito Hannah Arendt. Non siamo al mondo per morire ma per nascere, e tutte le volte che sperimentiamo un nuovo inizio è come l’avverarsi della profezia della vita. Non si può ringraziare anzitutto se non di ciò che nasce e fa (ri)nascere.

Eppure, ancora una volta, ho avvertito che ciò non basta, che ogni rigraziamento è sempre accompagnato da un’ombra. In tutto ciò che accade, come non sentire l’affanno umano del domandarsi: che cosa veramente accade in ciò che accade, che cosa avviene davvero, il positivo sperimentato è tutta la verità degli eventi?

Se il definitivo non fosse già avvenuto e non avvolgesse l’accadere, che cosa ne sarebbe del nostro ringraziamento? È il senso straordinario del tempo cristiano, che non è più lineare, come quello ebraico, che ancora attendeva Colui che doveva venire; che tanto meno è circolare, senza novità come quello pagano; ma che è piuttosto a spirale, il cui asse – Cristo innalzato e glorificato – presente ad ogni punto del tempo ne giudica il valore, e così lo salva. Lui stesso, istante per istante, misura della consistenza reale d’ogni accadimento. La rappresentazione del giudizio finale, che ne fa Matteo: «Ho avuto fame e mi hai/non mi hai dato da mangiare… quando, Signore?» (25,31-46), lo esprime plasticamente: ciò che domina l’accadere del mondo è il Suo giudizio pronunciato sui vissuti umani nel tempo.

Non un pronunciamento intellettuale, né una sentenza morale, ma la valutazione d’ogni cosa secondo la misura della Sua carità. Nel giudizio vivente, Cristo e la sua storia di morte e resurrezione si incrociano in unità reale giustizia e misericordia. Ogni più piccolo gesto e ogni moto dell’animo nella misura in cui è secondo l’amore trinitario è salvo e si conserva per l’eterno; ciò che è difforme, si condanna da sé e si dissolve a misura della sua inconsistenza: «Consideri scorie tutti gli empi della terra, perciò amo i tuoi comandamenti», dice il salmo (118, 119). Seguendo questa logica, sant’Agostino ha detto nel De civitate Dei che lungo la storia si va tracciando in continuazione e nel profondo (del cuore di ciascun uomo) un invisibile e reale confine tra la “città di Dio” e la “città degli uomini”.

te-deum-2015-tempi-copertina-kAl di là delle apparenze e dei pensieri
Questa è la liberazione del tempo: che qualunque cosa l’uomo possa fare, qualunque nuovo inizio sappia generare o qualunque arroganza possa mostrare, è comunque misurato dal giudizio di Cristo, misericordia che salva fino all’ultima particella di amore e giustizia che soppesa la consistenza di tutto ciò che è.

Liberazione del tempo, dunque, perché risponde alla domanda che ciascuno di noi, in qualche tornante dell’esistenza, si trova a porre: che cosa è veramente avvenuto nella mia vita, così da meritare di esserci? Sembra, a volte, che la vita sia come un fumo che si leva e poi sparisce, come lo hebel, la “vanità” del libro di Qohélet. Allora capisco meglio che cosa significhi che Cristo è «il centro del cosmo e della storia», anche del mio piccolo cosmo e della mia piccola storia. Nel tafferuglio quotidiano del mio cuore e dei miei ambienti, questo rasserena e sprona: che Qualcuno vagli il tempo e abbia il potere di vagliare quello che vale davvero, al di là delle apparenze, dei miei moti di soddisfazione e di ripugnanza, degli altrui apprezzamenti. Senso religioso del tempo, di un tempo affidato al Giudizio Misericordioso: solo qui il ringraziamento è pieno e l’ombra dissipata.

Godiamo nella gioia dei nuovi inizi che ci concedi e lodiamo Te, Signore del tempo.

Foto Ansa

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