Te Deum laudamus perché nella musica ci chiami a Te

Di Filippo Gorini
04 Gennaio 2016
Come pianista, il mio compito e la mia più grande gioia è poter far vivere le composizioni, capolavori che sono dei punti d’incontro tra Dio e l’uomo

filippo gorini

Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 31 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti), che è l’ultimo numero del 2015 e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2015 Tempi ospita, tra gli altri, i contributi di Antonia Arslan, Sinisa Mihajlovic, Luigi Brugnaro, Marina Terragni, Totò Cuffaro, Gilberto Cavallini, Luigi Negri, Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Marina Corradi, Roberto Perrone, Renato Farina.

Pianista, classe 1995, di Carate Brianza, Filippo Gorini (nella foto) lo scorso 12 dicembre ha vinto il prestigioso Concorso internazionale Beethoven Telekom di Bonn. Gorini, con i suoi vent’anni, era il più giovane dei 150 ammessi in gara, in finale ha presentato Concerto n. 5 per pianoforte di Beethoven. Ha iniziato a studiare pianoforte all’età di 6 anni, dal 2009 è allievo dell’Istituto superiore di studi musicali Donizetti di Bergamo.

Io ringrazierò sempre Dio per il dono miracoloso della musica. Affrontando sempre più intensamente negli ultimi anni lo studio del pianoforte, per me si è fatto evidente che nelle note dei grandi compositori si nascondeva la mia vocazione. Mi rendevo conto che la bellezza che si sprigiona nelle opere più sublimi è una chiamata fortissima a Dio, perché al cospetto di tali opere di genio quello che appare evidente è innanzitutto quanto siano inesauribili nella loro profondità, quanto istintivamente le troviamo “vere” nel loro essere attinenti a noi e al nostro desiderio, e quale sproporzione ci sia tra i limiti di un compositore e la grandezza dell’opera che può creare. Non riesco ad ascoltare a fondo una composizione di Beethoven o Bach senza essere colto dalla commozione di essere faccia a faccia con il Signore.

Ho cominciato ad avvertire la sproporzione tra me e il senso che stava entro le note intorno a 12 anni, senza ancora riuscire a capirne l’entità o riuscire a dare il nome di vocazione a quello che avevo scoperto. Da lì si dipanò tutto il percorso di studi e di consapevolezza che mi ha portato oggi a riconoscere che quel giorno il Signore mi stava chiamando e mi faceva la grazia di capire una parte di Sé sconosciuta a molti.

Come pianista, il mio compito e la mia più grande gioia è poter far vivere le composizioni, questi capolavori che sono davvero dei punti d’incontro tra Dio e l’uomo, portandole davanti agli uomini nella speranza che la mia esecuzione possa suscitare in chi ascolta la stessa reazione che suscitò in me quell’estate di otto anni fa. In questo è enorme il senso di responsabilità, e l’urgenza di non sciupare, modificare o trascurare nemmeno il più piccolo dettaglio di una composizione, perché non accada che nella mia esecuzione non ci siano le condizioni perché emerga Lui e venga incontro al pubblico. Nella fase di studio di un brano è grande la percezione della mia insufficienza a comunicare tutto questo, si passano centinaia di ore su un singolo brano a cercare di capirlo a fondo e di governarlo. In concerto suono chiedendo la grazia di forze non mie per poter dare compimento all’opera di Dio. Ogni volta che devo suonare dico una preghiera; chiedo di poter lasciare fuori dal palco le mie insicurezze, il mio orgoglio e i miei numerosi difetti, di non cadere vittima dell’esibizionismo, e di saper rendere giustizia al capolavoro su cui “metto le mani”.

Alla fine di quest’anno molto importante per la mia carriera e per il mio sviluppo personale, ringrazio il Signore per tutte le volte che si rende evidente nella mia vita e nella mia professione, per i doni innumerevoli che mi fa specialmente nelle persone preziose che mi pone accanto ogni giorno, e per il cammino che mi aspetta ancora nell’anno prossimo per avvicinarmi a Lui.

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