Te Deum laudamus per l’uomo che mi ha incantata: Fulton Sheen

Di Marina Mojana
14 Dicembre 2020
Bello come Henry Fonda e intelligente come Einstein, sapeva leggere con lucidità i segni dei tempi e divulgare in modo brillante e semplice i misteri della Chiesa
Fulton Sheen

Articolo tratto dal numero di dicembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

«Già la scure è posta alla radice degli alberi».

In questi lunghi mesi di lokcdown ho passato molte ore a leggere ad alta voce, vicino a mia mamma ipovedente, i romanzi storici di Louis De Wohl e di Jack Whyte, le vicende della tredicesima legione, di Marco il romano, del centurione Longino, del veterano Publio Varo e del suo generale Britannico, fondatori della colonia-kibbutz che, nello sfaldarsi dell’impero romano, diede origine al regno di Camelot. Una frase, messa in bocca all’imperatore sotto il quale venne giustiziato Gesù di Nazareth, mi aveva colpito in modo speciale: «Io non temo la morte», diceva Tiberio, «temo il nulla che ci sarà dopo». Che stoica forza d’animo – avevo pensato –, ce l’avesse questa nostra civiltà postcristiana e cibernetica, che non si accorge neppure del nulla che l’attende!

Era il due ottobre, festa degli angeli custodi, e li invocai: «Illuminate la mia mente, che io non perda il Paradiso; reggete e governate me, perché possa dire le parole giuste che accendono la fede».

Quel giorno stesso mi imbattei nel venerabile Fulton Sheen e ne rimasi incantata. Era bello come Henry Fonda e intelligente come Albert Einstein. Sapeva divulgare in modo brillante, semplice e chiaro i misteri della Chiesa cattolica e leggere con lucidità i segni dei tempi. Oggi sarebbe beato se la pandemia di Covid-19 non avesse impedito lo svolgersi della cerimonia di beatificazione, rinviata a data da destinarsi.

Chissà cosa direbbe oggi

Apprezzato dal mondo anglosassone e in Italia soprattutto dal cardinale Giacomo Biffi, con i suoi discorsi radiofonici (dal 1930), le sue teleprediche (dal 1950) e le decine di libri popolarissimi, ogni settimana Fulton Sheen (1895-1979), futuro arcivescovo di Newport, si rivolgeva a 30 milioni di spettatori, ricordando loro che la soluzione ai loro problemi è Gesù Cristo. Moltissimi si convertirono ascoltandolo.

Copertina del libro 'I 7 sacramenti' di Fulton Sheen

Sarebbe bellissimo poter ascoltare ancora oggi i suoi affondi e i suoi luminosi incoraggiamenti. Non tutte le sue prediche furono tradotte in italiano, ma è appena stato pubblicato dalla casa editrice Ares I 7 sacramenti (titolo originale These Are the Sacraments), uscito negli Stati Uniti nel 1964, quando il rito era ancora quello precedente la riforma voluta dal Concilio Vaticano II. Chissà che cosa direbbe oggi l’arcivescovo: forse che una semplificazione della forma equivale a un cedimento della sostanza? Io ne sono profondamente convinta, ancora più quando constato che l’attuale catechesi della iniziazione cristiana approvata dalla Cei non contempla i dieci comandamenti al secondo anno di percorso (quello della prima confessione), bensì al quarto (quello della Cresima), anno in cui però si accenna soltanto di striscio ai sette doni dello Spirito Santo e non si fa cenno alcuno ai novi frutti dello Spirito…

«Il mestiere del “Principe di questo mondo», ragionava Sheen, «è di dirci che non esiste nessun altro mondo. La sua logica è semplice: se non c’è un paradiso, non c’è alcun inferno; se non c’è un inferno, non c’è alcun peccato; se non c’è il peccato, non c’è alcun giudizio, e se non c’è un giudizio allora il male è bene e il bene è male».

I segni dei nostri tempi

«Perché così poche persone si accorgono della gravità della nostra crisi presente?», si chiedeva il 26 gennaio 1947, nella puntata radiofonica “Signs of Our Times” (Segni dei nostri tempi). Me lo chiedo ancora io oggi. «In parte perché gli uomini non vogliono credere che i loro tempi siano malvagi», argomentava il monsignore, «in parte perché questo significa accusare se stessi e soprattutto perché per misurare i loro tempi essi non hanno altri criteri all’infuori di sé». Nel 1950 disse: «Stiamo vivendo nei giorni dell’apocalisse, gli ultimi giorni della nostra epoca… Le due grandi forze – il Corpo mistico di Cristo e il Corpo Mistico dell’anticristo – stanno cominciando a elaborare le linee di battaglia per la fine». (Andate a rileggere la sua predica sull’“inganno del Grande Umanitario” tradotta in italiano da Tempi e pubblicata su tempi.it: fa venire i brividi).

Ma il mondo merita la fine del mondo?

«Coloro che hanno fede faranno meglio a rimanere in stato di grazia», ammoniva Sheen, «e coloro che non l’hanno faranno meglio a capire le proprie intenzioni, poiché nell’era che viene ci sarà un solo modo per fermare le vostre ginocchia tremanti, e sarà piegarle e mettersi a pregare».

Foto Ansa

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