Tasse, burocrazia e pure investigatori per conto del fisco. Anche i gioiellieri sentono la crisi

Di Matteo Rigamonti
05 Luglio 2013
L'aumento dell'Iva, il calo dei consumi e il limite sui contanti. La testimonianza della titolare di un negozio in centro a Como

Può una gioelleria tra tasse, calo dei consumi e ostacoli burocratici sentire i colpi della crisi? Giudicate voi. Ma quello che è certo è che non può assumere una commessa. La testimonianza diretta di Maria Grazia Lopez, associata di Confcommercio Como (come l’albergatore Whieldon Ross Stacey), che gestisce da più di vent’anni una gioielleria in centro città.

Può una gioielleria sentire la crisi?
Vede, la crisi è una catena e se si ferma il commercio tutti ne risentiamo. Un minor numero di acquisti può bloccare e di fatto blocca ogni tipo di attività.

È cambiato molto rispetto a cinque anni fa?
Tanto, anzi tantissimo. Prima entrava molta più gente in negozio, molti più impiegati per esempio di quanto non accada oggi e il lavoro era molto più stimolante; adesso invece non c’è più quel tipo di afflusso e capita in un mese di concludere solo 4 o 5 vendite, se va bene. Saranno anche acquisti importanti, ma la fascia media della popolazione è scomparsa. Ed è sempre meno anche la gente che gode di un certo tipo di disponibilità economica.

Sono molti i clienti che scelgono la Svizzera piuttosto che l’Italia?
La Svizzera è dietro l’angolo e lì si possono spendere fino a 10 mila euro in contante senza problema; da noi invece c’è il limite a 3.600 euro sulle transazioni oltre il quale, anche per le gioiellerie, scatta l’obbligo della comunicazione al fisco. Non le dico come ci si sente a dover fare al tempo stesso il commerciante e l’investigatrice, ma le assicuro che è piuttosto imbarazzante. E le lascio anche immaginare come si può sentire un cliente che, se viene con l’intenzione di spendere, sa che dovrà poi rispondere a un terzo grado perché noi dobbiamo comunicare all’Agenzia delle entrate il suo codice fiscale, la residenza e quant’altro. Quando in realtà dovremmo solamente stendergli un tappeto rosso. E questo succede non con i delinquenti, ma con le persone oneste.

Mi sembra di capire che non è d’accordo.
Dico solo che così ci si complica enormemente la vita ai commercianti e che si compromettono le vendite. Quando in altri paesi, invece, come mi dicono alcuni dei miei amici, tutto è più semplice; che è anche il motivo per cui molti decidono di andarsene via dall’Italia.

È diventata una professione difficile la sua?
È affascinante ma è anche difficile e delicata; di certo non ci si può improvvisare. Occorre studiare a lungo le gemme e aggiornarsi sui metodi di trattamento della pietra per conoscere ciò che si vende al cliente e al tempo stesso premunirsi nei confronti di prodotti fortemente concorrenziali come possono essere per esempio quelli che vengono dalla Cina ma che distano un abisso quanto alla qualità artigianale rispetto a quelli italiani.

Come è stato iniziare?
È stato ventitré anni fa ed è stato molto bello. Per fortuna ho sempre avuto la passione per il negozio e mi sono sempre inventata il lavoro, andando anche alle mostre e alle conferenze, oltre ai corsi di aggiornamento presso gli istituti gemmologici, come ora fanno anche i miei figli. Ma oggi è diventato tutto più difficile.

Perché dice così?
Le faccio solo un esempio. Io mi trovo nel centro storico di Como e una volta ho avuto l’idea di aprire una caffetteria interna alla gioielleria come hanno fatto tanti negozi anche all’estero. Non le dico la mole di burocrazia e le leggi che ci sono da rispettare; ti fanno passare la voglia di fare e ho lasciato perdere. Non parlo dei funzionari pubblici che sono stati disponibili, ma mi riferisco a tutte quelle norme da rispettare come, per esempio, l’obbligo di avere il doppio bagno per i dipendenti e i clienti e il guardaroba che – per carità – possono anche essere belle cose, ma non sono sempre funzionali. A mio avviso ci vorrebbe un po’ più di elasticità e si dovrebbero concedere deroghe.

E la pressione fiscale?
Io non me ne occupo di persona, pensa a tutto mio figlio. Ma mi dice che siamo tra il 60 e il 70 per cento e pesa anche l’Iva al 21 per cento. Me lo ricorda sempre quando devo fare i prezzi sui prodotti e provo a immedesimarmi nel cliente, decidendolo con fatica. Tante volte, quando ho deciso, lui guarda l’etichetta e mi dice: «Così basso non puoi». Ma così i prodotti diventano sempre più invendibili.

Assumerete qualche giovane?
Vorrei ma non posso. Per fortuna che ci sono i miei figli, altrimenti non saprei come fare. Tra l’affitto del negozio che aumenta per l’Imu e il costo del personale non potrei permettermi di avere anche solo una commessa. Nonostante farebbe comodo.

Si vendono ancora gli anelli di fidanzamento?
È un’usanza che pian piano si sta perdendo. Così come si perde anche l’abitudine di regalare una catenina o un braccialetto al battesimo, alla prima comunione e alla cresima. Oggi del resto si desiderano altre cose, come l’iPad.

Ha paura delle rapine?
Sono cose a cui preferisco non pensare; io al massimo ho subito qualche furto compiuto con destrezza. Certamente sono cose che ti fanno venire voglia di mollare tutto e dire basta, ma per fortuna sono sempre stata una persona positiva e continuerò ad esserlo.

@rigaz1

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