Tanti saluti dal paradiso australiano

Di John Kinder
16 Agosto 2012
Si fa presto a creare una psicosi da spiaggia. Basta dire che gli squali in Australia si sono presi cinque persone in soli dieci mesi. Ma nella vita c’è sempre un pescecane in agguato. Ecco perché qui a Perth domattina ci ritufferemo nell’oceano

da Perth (Australia) 

Certo, fa pensare. Ti alzi alle 6:30, in cinque minuti metti insieme costume maglietta occhialini asciugamano e ti lanci in macchina, alle 6:45 ti trovi in una delle più belle spiagge del mondo. Poi la tradizione vorrebbe che ti facessi i tuoi due-trecento metri lungo la piccola barriera rocciosa coperta di piante e abitata da pesci di vario tipo. Alle 7:30 sei di nuovo a casa per una rapida doccia e caffè. Alle 8:15 sei al lavoro con una energia e un’aria di superiorità morale che i tuoi colleghi sopportano sempre meno. Ma lì, nel punto in cui continente e oceano si incontrano, questa volta ti fermi e pensi. Cinque vittime di attacchi di squali, lungo le nostre coste, negli ultimi dieci mesi. Vabbè, d’accordo, l’ultimo si è verificato parecchio fuori, 150 metri, mentre tu ti avventuri magari a 30, però i pesci piccoli che tu ammiri attraverso i tuoi occhialini (made in Italy, tra l’altro), verranno pure mangiati da pesci grandi, no?, e i pesci grandi…?

Niente. Ti butti, fai le tue vasche in oceano ed esci, raggiante e sollevato.

Quest’ultimo attacco ha fatto impressione a tutti in Australia, per la forza e la violenza. Il pesce era lungo 4 metri, pare abbia preso metà del corpo della vittima con il primo morso e poi, nonostante i tentativi dei suoi amici sulle moto d’acqua di avvicinarsi per ricuperare i resti, è tornato per portare via quel che restava.

Qui appunto si dice che uno viene “preso” da uno squalo. La neutralità semantica del termine ha l’effetto paradossale di agghiacciare ancora di più il pubblico avido di horror e scandalo. Se le vittime venissero ammazzate, mangiate, dilaniate, divorate, l’immaginazione si fermerebbe davanti alla brutalità del linguaggio. Ma no, vengono semplicemente e innocuamente “prese”, e così la fantasia si sbizzarrisce.

Le reazioni non si sono fatte attendere: per qualcuno gli squali, che attualmente sono specie protetta, sono diventati il nemico da far fuori in ogni possibile momento; per altri, il surfista se l’è quasi meritato perché il povero squalo ha fatto solo quel che Madre Natura lo ha addestrato a fare. E poi il mare a chi appartiene? Mica agli uomini, golosi predoni ed egoisti. I politici parlano di misure concrete, ora si tratta decidere se mettere in acque apposite reti o far portare ai surfisti degli aggeggi elettronici che tengono lontani gli indesiderabili. Tutti sono d’accordo che la risposta più adeguata e intelligente è l’educazione, istruire la gente sui pericoli degli squali.

Si è infranto un mito del Paradiso Terrestre? Un certo romanticismo che fonda le sue origini nel Sette-Ottocento europeo è duro a morire (già, l’Europa: guarda caso, questo tragico ma unico caso ha portato l’Australia sulle pagine di giornali seri come il Corriere e Repubblica). Ma in Australia il rapporto con la natura è diverso dal vostro. Non appena le spiagge sono state riaperte i surfisti si sono nuovamente buttati in acqua. Qualcuno ha parlato di Paradiso Perduto? Non certo tra i miei amici e i tanti altri abituati al tuffetto mattutino. Tra di noi si parla di più degli incidenti stradali, che nel 2011 hanno fatto 1.300 morti (contro 3 presi da squalo), cioè 6 morti per 100 mila persone. E gli italiani che regolarmente ogni tot mesi inorridiscono per uno squalo non sanno che l’anno scorso le strade del loro paese hanno prodotto 5 mila morti, cioè ben 8 per 100 mila persone. E vi prego, non cominciamo a ragionare su quale forma di decesso sia più spaventosa, orripilante, da evitare, eccetera. Un po’ di pietà, please. Per il povero surfista ma anche per noi, che in un modo o in un altro dovremo passarci tutti.

 

È il rischio di vivere, bellezza

Certo, è bello vivere qui. Chi non apprezza il bel clima, le città pulite, lo spazio, il cielo grande… Guardiamo con ansia a ciò che i paesi dell’Unione Europea stanno combinando in fatto di debiti e crisi di tutti i tipi. Sì, con ansia, ma anche con sollievo ché qui non è così. E non è così perché il Padreterno ci ha messo sotto i piedi una quantità di risorse minerarie che ci garantisce le attenzioni amichevoli dei nostri vicini più vicini, tra i quali spiccano Cina, Giappone e Corea. Tuttavia parlare dell’Australia come del Paradiso è tanto facile quanto prematuro. A ben vedere l’economia, si comincia a dire, va “a doppia velocità”, con un settore minerario impazzito che traina un settore manufattiero sempre più in difficoltà. E altri tarli si nascondono nel Giardino (in iraniano antico pairideza): il tasso di suicidio giovanile australiano è più del doppio di quello italiano, per non parlare dei divorzi e… Ma come, ci mettiamo a fare la gara a chi sta peggio, così ognuno si sente sicuro della propria miseria?

Gli squali ce li ha ognuno di noi – dentro, fuori, dietro l’angolo – e si chiamano malattia, dolore, tutti i mali che fanno parte integrante di quella grande avventura che si chiama vivere. Non dovrei più fare il bagno la mattina? Allora non dovrei più uscire di casa, perché sai, oggi, con tutti gli aerei che vengono giù, non si sa mai. E quali altre corazze di bambagia dovrei costruirmi intorno? Naturale (benché inutile) inorridire davanti a un ragazzo preso da uno grosso pesce. Meglio pensare a lui semplicemente come a un uomo che è morto e affidarlo al Padre che lo accoglierà. Poi, domattina, svegliarsi alle 6:30 e infilarsi il costume come sempre. Avendo ben presente che il rischio di vivere non te lo toglie nessuno.

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