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Lo spread ieri ha toccato quota 438 e si è poi attestato a 410. Come quando c'era Silvio Berlusconi ma la colpa questa volta non sarebbe del premier e delle politiche italiane ma delle cose che «succedono fuori dall'Italia» come ha detto il ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera. Francia e Olanda si oppongono all'austerità tedesca.

La giornata borsistica di ieri ha visto Piazza Affari cambiare tre volte il trend: prima una ripresa rispetto al tracollo di martedì, poi uno scivolone verso il segno meno e infine una chiusura timidamente positiva all'1,6 per cento. La volatilità sembra essere ormai la caratteristica principale dei mercati, lontani dalla tanto desiderata stabilità. Ecco perché.

I titoli azionari scendono e Piazza Affari fa registrare un meno 5 per cento. Le banche italiane sono in forte sofferenza, nonostante siano riuscite a contrastare la crisi senza dover ricorrere ad aiuti statali (come invece hanno fatto Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti e Belgio). Ma se il sistema creditizio dovesse cadere in disgrazia, trascinerebbe tutto e tutti nel baratro.

L'economia spagnola, come già esaminata da tempi.it, non è in grado di fornire dati confortanti per l'avvenire e tale incertezza crea nervosismo nei mercati. Lo ha confermato ieri un report del capo economista della banca americana Citi, Willem Buiter. Il problema è il sistema bancario iberico, che ha ancora in pancia molti titoli tossici.

Lo spread è sceso sotto quota 300 ma nessun titolo in prima pagina l'ha fatto notare, diversamente dai tempi in cui al governo c'era Silvio Berlusconi e ogni minima variazione era spunto per un titolo a sei colonne. Se ora lo spread scende è perché il Parlamento appoggia stabilmente Monti, che porta a termine le riforme cominciate dall'ex premier.

Chi se la passa meglio, l'Italia o la Spagna? Analizzando i parametri del debito pubblico, del sistema del credito e dell'indebitamento delle imprese si scopre che l'ago della bilancia pende pesantemente dalla parte della penisola iberica, che deve anche fare i conti con un'incidenza del debito totale sul Pil del 390 per cento.
