Svizzera, referendum sul salario minimo. Ma così aumenteranno i licenziamenti (anche dei frontalieri italiani)

Di Redazione
16 Maggio 2014
Quattromila franchi al mese. Ma se il referendum passerà «qualcuno licenzierà, gli italiani potrebbero perdere il posto di lavoro. Qualche imprenditore potrebbe delocalizzare in Italia»

«Se questa misura del salario minimo dovesse passare, qui in Svizzera salteranno i posti di lavoro, soprattutto degli italiani frontalieri, e qualche imprenditore potrebbe anche decidere di delocalizzare in Italia». A sentir parlare di aziende svizzere che vogliono delocalizzare in Italia, e non viceversa, sembra di vivere in un mondo capovolto ma Stefano Modenini, direttore di Aiti, associazione delle industrie ticinesi, è serio quando rivolge queste parole alla Stampa.

QUATTROMILA FRANCHI AL MESE. Domenica gli svizzeri voteranno un referendum per introdurre un salario minimo garantito di 4 mila franchi al mese, circa 3.300 euro, 18 euro all’ora. Parliamo di cifre lorde: a queste bisogna togliere tasse, contributi e Cassa malattia ma resta comunque una bella cifra. Anche considerando che la vita in Svizzera costa più che in Italia, dal 20 al 40 per cento, non sono soldi da buttare via.

«TANTO SIAMO RICCHI». Socialisti, Verdi e sindacalisti hanno proposto il referendum insistendo sul fatto che «siamo uno dei paesi più ricchi del mondo». Secondo la Stampa, i 4 mila franchi al mese sono pari al 64 per cento del salario medio svizzero e a percepire un aumento sarebbe il 9 per cento della popolazione occupata, circa 330 mila persone.
Per Vania Alleva, responsabile nazionale della Cgil elvetica, «in Italia quattromila franchi possono sembrare tanti, ma in Svizzera non è così: se non arrivi a quella cifra, qui da noi vivi malissimo, vicino alla soglia di povertà».

IMPRENDITORI CONTRARI. Gli imprenditori non sono d’accordo. Per due motivi: «Il primo è che sarebbe un’imposizione dello Stato poco conforme alle nostre abitudini. Secondo – dichiara Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio e dell’industria del Canton Ticino -, quattromila franchi sono tanti e metterebbero in difficoltà molti imprenditori. È vero che da noi tutto costa caro, ma ci sono già diverse esenzioni e sovvenzioni, per cui alla fine ciascuno può contare su un livello di vita dignitoso».

“NO” IN VANTAGGIO. C’è un altro motivo per cui per ora il “no” al referendum pare in vantaggio. «Questa iniziativa è troppo rigida perché vuole introdurre una retribuzione minima per tutti i tipi di attività lavorativa e in tutte le regioni della Svizzera», afferma Stefano Modenini. «La misura finirebbe per penalizzare proprio le categorie che i sindacati intendono proteggere, cioè i lavoratori meno qualificati come camerieri, operai, parrucchieri o falegnami, e le donne. Invece di avere un impiego mal retribuito, si ritroverebbero senza lavoro».

«FRONTALIERI LICENZIATI». Gli imprenditori, infatti, reagirebbero al salario minimo licenziando: «Qualcuno licenzierà – continua il direttore di Aiti -, altri potrebbero spostarsi fuori dai confini elvetici magari sul territorio italiano. Qualche imprenditore ha già annunciato questo passo». Se passerà la misura, inoltre, «gli italiani saranno contenti perché a fine mese prenderanno più soldi. Ma poi si tratterà di vedere se davvero avranno ancora il posto di lavoro. Potrebbero finire licenziati e da noi è più facile lasciare a casa i dipendenti. I conti alla fine devono tornare».

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