
SUSSIDIARIETA’ URBANISTICA
Sessantatre anni, 1942-2005, per mandare in pensione la vecchia legge e avviare quella che, nel settore urbanistico, è una vera e propria rivoluzione culturale. La scorsa settimana la Camera ha infatti approvato il disegno di legge sul governo del territorio e di riforma della legge urbanistica del 1942. Mai, prima d’ora, un ramo del Parlamento era riuscito a varare questo testo di riforma nonostante se ne parlasse da oltre 10 anni. Oggi, il ddl approda al Senato, ma il clima di confronto e di collaborazione con l’opposizione all’interno del quale il testo è nato, pone le basi per andare avanti.
Sussidiarietà è la parola d’ordine di questo disegno di legge che nasce dopo la riforma del titolo V della Costituzione. Una riforma che ha introdotto il concetto di governo del territorio senza che, però, se ne definissero con precisione i contenuti e i limiti. Un lacuna costituzionale che, con questo testo, viene finalmente colmata. Il disegno, infatti, non solo definisce in maniera chiara cos’è il governo del territorio, ma stabilisce che si tratta di una politica che deve essere attuata unitariamente con spirito collaborativo dalle Regioni e dallo Stato, ciascuno con le sue competenze, aprendo al coinvolgimento dei privati. È una declinazione, cioè, del principio di sussidiarietà nelle sue dimensioni verticale e orizzontale.
Fino ad oggi, infatti, in mancanza di un quadro legislativo di riferimento, le Regioni avevano cercato di supplire con la loro legislazione. Tutto ciò andava salvaguardato e recepito. Così è stato. Il testo di riforma urbanistica è un testo quadro di principi, snello (solo 11 articoli), che fissa una cornice stabile entro la quale le Regioni possono e devono operare. Non solo, ma recepisce concetti, come quelli di perequazione e compensazione che le leggi regionali avevano già introdotto. Anche sugli standard viene superato un approccio statale che alcune Regioni avevano già superato. Per la prima volta, infatti, gli standard non vengono più considerati solo dal punto di vista quantitativo, ma anche come possibilità di migliorare la qualità della vita dei cittadini.
PUBBLICO-PRIVATO:
UN RAPPORTO POSSIBILE
L’aspetto che ha creato maggiori problemi risvegliando le coscienze dei sempre vigili statalisti, è stata la definizione del rapporto pubblico-privato. L’obiettivo della legge era quello di fare un passo avanti non solo sul principio di sussidiarietà verticale (Stato-Regioni-Comuni), ma anche sul livello orizzontale. Il testo ne consente la collaborazione per ottenere l’interesse generale. La dicotomia pubblico-privato, infatti, può essere superata solo se a cuore c’è il bene comune del Paese. Stato e privati non sono due monadi contrapposte e, soprattutto, bisogna smettere di pensare che tutto ciò che apre al privato coincide con un indebolimento del pubblico. Al contrario il testo ribadisce, in più punti, che è il pubblico a svolgere l’attività di pianificazione dando al privato la possibilità di operare in un quadro di riferimento certo. Non solo, ma viene affermato (grazie ad un emendamento dell’opposizione) che questo rapporto virtuoso deve avvenire secondo principi di imparzialità amministrativa, trasparenza, concorrenzialità e pubblicità.
In questa cornice assume un’importanza notevole il principio che l’utilizzo della fiscalità è uno strumento fondamentale per l’attuazione delle politiche di riqualificazione del territorio. Insomma, dopo 63 anni, l’urbanistica non è più un insieme di vincoli e imposizioni, ma torna ad essere uno strumento che permetta ai cittadini di vivere sempre meglio.
* deputato e responsabile lavori
pubblici di Forza Italia
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