
Sulle tracce di Hannah Arendt
Sì, qui a Marburg Hannah Arendt arrivò diciottenne, piena di curiosità e di passione per la conoscenza. Arrivava da Koenigsberg, dove si era diplomata con un anno di anticipo. Già l’anno prima aveva fatto in tempo a seguire, a Berlino, le lezioni di Romano Guardini su Kierkegaard. Ma fu arrivando a Marburg che la sua vita cambiò. «A Marburg, nell’autunno del 1924 – scrive la sua biografa Elisabeth Young Bruehl – le toccò di trovarsi nel bel mezzo di una rivoluzione che l’appassionò profondamente, e che sarebbe stata decisiva per il suo sviluppo personale e intellettuale. Una rivoluzione non politica ma filosofica, che segnò la fine di un epoca. Il capo di questa rivoluzione era un giovane di trentacinque anni, già molto conosciuto tra gli studenti pur non avendo pubblicato nulla di veramente importante: Martin Heidegger. “Il re nascosto che regnava nel reame del pensiero”, scriverà la Arendt nel 1969, ricordando quegli anni».
I tesori parlano
«Le voci che attiravano gli studenti a Marburg dicevano che qui c’era finalmente chi era capace di toccare le cose che Husserl (padre della fenomenologia, ndr) aveva proclamato» ricorderà la Arendt. «Qualcuno che sapeva che queste cose non erano questioni accademiche, ma preoccupazioni di tutti gli uomini di pensiero, e non preoccupazioni di oggi e di ieri, ma da tempo immemorabile. Qualcuno che, precisamente perché sapeva che le vie della tradizione erano interrotte, stava scoprendo da capo il passato. Queste voci su Heidegger dicevano una cosa assai semplice: il pensiero è rinato a nuova vita, i tesori della cultura del passato, che si credevano morti, sono fatti parlare, e in questo processo si scopre che essi ci propongono qualcosa di totalmente diverso dalle banalità familiari e consunte che si presumeva dicessero. Perché qui c’è un maestro, e ora forse si può imparare a pensare».
Hannah, la musa di “Essere e tempo”
Hidegger era come il personaggio di una leggenda romantica: dotato di un talento al confine del genio, poetico, sdegnosamente in disparte nel mondo accademico e indifferente all’adulazione studentesca, bello in un suo modo severo, portava spesso i pantaloni alla zuava e d’inverno non vedeva l’ora di sciare.
Messa di fronte a questa unione di vitalità e di pensiero, Hannah fu “presa alla sprovvista”. E si innamorò, ricambiata.
Le biografie raccontano di un incontro nello studio di Heidegger, nel quale il professore rimase affascinato dalla sua giovane allieva. E poi di incontri furtivi (Heidegger era sposato e padre di due figli), segnali segreti, come una finestra aperta o una lampada accesa, concordati per preparare gli appuntamenti. Ma anche di un’intensa passione intellettuale: Heidegger confidò ad Hannah che non avrebbe mai potuto scrivere il suo capolavoro, Essere e tempo, senza di lei. Hannah, dal canto suo, non dimenticò mai ciò che aveva imparato da Heidegger, neanche quando vi andò oltre. E non rinnegò mai il suo maestro, neanche quando – lei ebrea – lui aderì al nazismo.
Dimenticata
Probabilmente qui a Marburg, in quell’unione di vita e pensiero, Hannah Arent imparò, riconobbe, quello che la sua biografa, sintetizzando una vita in tre parole, chiama “l’amore per il mondo”. La capacità di stupirsi delle cose, di contemplare la bellezza, come origine del pensiero.
Oggi Marburg ricorda la Arendt con una bandiera sulla finestra più alta della Facoltà di Teologia; con un paio di citazioni sui libri che raccontano la storia dell’Ateneo; con un pannello all’interno di una mostra sulle donne famose dell’università, curata dalla locale commissione pari opportunità.
Con una targa sulla casa dove trovò una mansardina in affitto (sulla strada per il castello, da cui si gode di un magnifico panorama sulla cittadina).
Gli studenti di filosofia di oggi, però, (ci spiega Anna, milanese che qui a Marburg sta iniziando una tesi proprio su Hannah Arendt), sembrano preferire il neokantismo. E si trovano al Flw, locale di tendenza di ispirazione no global, tra una festa reggae e un concerto di gruppi stile Marilyn Manson. Intanto passando accanto al cimitero ebraico, a pochi passi dall’università in un sabato di pioggia, si vedono due tombe spezzate. Ed è un immagine che non lascia tranquilli.
Mai più a Marburg
Hannah Arendt partì da Marburg per fare un semestre di studio con Jaspers. Probabilmente la relazione stava diventando troppo pericolosa. E del resto anche Hannah (come scrisse in un testo intitolato Le ombre) da un lato non riusciva a sottrarsi alla dipendenza da Heidegger, dall’altro non riusciva, in questa relazione, ad essere veramente felice. A Marburg non sarebbe più ritornata. Ma la sua vita era cambiata, per sempre. Il destino ha voluto che Marburg e Heildelberg, entrambe teatro degli studi di Hannah Arendt dal ‘24 al ‘27 siano state entrambe salvate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. E così, i paesaggi che vediamo sono gli stessi che vide Hannah. «Qui attorno molte città sono state rase al suolo», ci spiega Francesco, a Marburg per specializzarsi in chirurgia. E sono state ricostruite, quasi da zero. Te ne accorgi visitando il centro storico. Marburg no: il centro è ancora quello del medioevo, con le case asimmetriche, colorate, arrampicate sulla collina.
Stesso discorso per Heidelberg, salvata dalle bombe per la presenza di molti studenti americani (tuttora numerosi sulle rive del Neckar). A Marburg sono rimasti intatti i luoghi che fecero da sfondo agli studi della Arendt: intatto lo splendido castello, ai piedi del quale Hannah aveva trovato una stanza in affitto; intatta la chiesa gotica di S. Elisabetta, la santa regina d’Ungheria che a Marburg visse e fondò un ospedale; (Ora S. Elisabetta è una chiesa luterana); intatta la sede dell’Università, anch’essa, fondata nel 1527 in un ex convento domenicano, e nei cui chiostri hanno studiato, oltre alla Harendt, Gertrude von Le Fort (prima studentessa femmina a Marburg), Boris Pasternak, Josè Ortega Y Gasset, Emile von Bohering (premio Nobel per la medicina nel 1901).
E ad Heldelberg, dove Hannah si trasferì per laurearsi con Jaspers con una tesi sul concetto di amore in S. Agostino, il castello che domina la città è sì malridotto, ma per le cannonate francesi. Ed è lo stesso che Hannah ammirava quando passeggiava, ancora innamorata di Heidegger, per la romantica Philosphenweg la camminata dei filosofi.
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