Sulla lotta all’evasione fiscale confermali nel loro pregiudizio

Di Berlicche
13 Gennaio 2012
Perché un conservatore liberale deve dire che i controlli sono un danno per l’economia e sono fatti per odio ideologico? E perché un progressista di sinistra non può riconoscere che la pressione fiscale in Italia è eccessiva? Il diavolo Berlicche è tornato.

Il diavolo è ritornato. Pubblichiamo la rubrica “le nuove lettere di Berlicche” che appare sul numero 2/2012 di Tempi, da oggi in edicola.

Mio caro Malacoda, l’anno che inizia potrebbe riservarci una sgradita sorpresa: lo scompaginamento degli schieramenti. Non intendo, con questa affermazione, parlare del rimescolamento politico di destra e sinistra (e centro) in Italia: il trasformismo non sarebbe una novità. Ma penso piuttosto con più preoccupazione a quel fenomeno culturale che si chiama libertà di pensiero.

Ora, nella vulgata della mentalità contemporanea da noi sapientemente costruita, la libertà di pensiero coincide con la proclamazione di pensieri in libertà, estrosità immaginate totalmente svincolate da ogni rapporto con la realtà. Uno, si dice, è libero di pensare quello che vuole, così “libero” da non avere la libertà di riconoscere ciò che gli sta davanti: uno vede, per esempio, un feto umano, lo vede in modo “scientifico” (microscopio, ecografia…), ma si sente libero di dire che quello che vede è “materiale genetico”. Di solito, questa libertà di pensiero coincide con la schiavitù di schieramento: se sei di destra dici certe cose, se sei di sinistra il contrario. Se sei di sinistra e dici, chessò, sulla sicurezza, una cosa non coincidente col verbo della parte in cui militi, si dirà che hai pensato una cosa “di destra”. E viceversa. Significativo, a questo proposito, è quando il capo di un partito dichiara che sulla tal questione (di solito quelle eticamente sensibili) lascia ai suo adepti “libertà di coscienza”, il che sembra implicare l’assenza di questo requisito in tutte le altre decisioni.

Ti ho fatto questo pippone introduttivo perché l’anno che inizia, sotto l’aspetto politico, proporrà alla scelta degli italiani molte questioni sulle quali la cosiddetta “libertà di coscienza” potrebbe tracimare rispetto ai campi che di solito le vengono riservati. Il primo è scoppiato con virulenza alla fine dello scorso anno: la lotta all’evasione fiscale. È successo che dei militari della Finanza abbiano fatto dei controlli in una nota località turistica e ne abbiano dato notizia ai giornali, facendo (ri)scoprire agli italiani l’acqua calda: nel Belpaese c’è chi non paga le tasse e, di solito, è gente ricca il cui reddito non deriva da lavoro dipendente. Il sovraccarico demagogico di queste operazioni è fisiologico, e non dovrebbe stupire; gli addetti ai lavori (politici, giornalisti, opinion leader) sanno che andrebbe maneggiato con cura, farli eccedere nell’attizzare animi e indignazione è compito nostro e trova la strada spianata. Ma il riflesso pavloviano da schieramento che ha acceso di furore i commenti di alcuni politici di destra, caro nipote, ha stupito anche me. Perché un conservatore liberale intelligente deve sostenere che i controlli fiscali sono un danno per l’economia, per l’immagine del paese, per il turismo, e che sono fatti per odio ideologico della ricchezza? E perché un progressista riformista di sinistra non può riconoscere che la pressione fiscale in Italia è eccessiva?

Mentre scrivo queste cose mi accorgo che non le dovrei pensare, che il vincolo del partito preso, del pregiudizio, non va spezzato. Permetti a un uomo di riconoscere e affermare la realtà effettuale che gli si dipana davanti agli occhi – non solo, gli concedi di trarne un giudizio morale non precostituito (“dire la verità è giusto”, prima ancora del “pagare le tasse è doveroso”) – e ti ritrovi obbligato a cambiare politica: prima o poi ti chiederà di scegliersi i suoi rappresentanti.
Ma di questo, nipote mio, una prossima volta. Finché si può, queta non movere.
Tuo affezionatissimo zio
Berlicche

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