
Il suicidio dell’universitaria e la domanda: per chi vale la pena spendere la mia vita?

Una studentessa di 19 anni si è tolta la vita nel bagno dell’Università Iulm di Milano.
Mercoledì mattina in Iulm s’è levato un grido, umano e drammatico. È il nostro grido, la nostra stessa e insopprimibile domanda di senso, di amicizia, di verità, di giustizia, di fraternità.
Sono uno studente universitario, frequento il quinto anno di Scienze Politiche all’Università Cattolica di Milano. Di fronte al tragico fatto avvenuto in Iulm mercoledì, mi sono ritrovato semplicemente in silenzio, travolto dal dramma della libertà umana. Subito dopo, nel dialogo con amici e compagni di corso le parole si rincorrevano, cercando di comprendere le ragioni psico-sociali di un tale gesto o di ridurlo a una lotta verso un sistema universitario ingiusto.
Eppure, se sono sincero e leale con “ciò che ho vissuto”, quel gesto fa riecheggiare in me un grido di dolore, una domanda di senso, così insopprimibile e vasta. Questo “ciò che ho vissuto” non è frutto di un’igiene psicologica (tanto agognata da molti, quanto necessaria in alcuni casi) o di una conquista sociale: sarò semplice, ho incontrato persone che mi hanno voluto bene, che mi hanno detto “il tuo io è fatto per l’infinito”. Con queste persone, ho condiviso lo studio, ho discusso di ciò che succede nel mondo, ho cenato, sono andato in montagna, ho cantato, ho riso e guardato con simpatia a tutto ciò che di male ho fatto nella mia vita.
È un’amicizia in cui c’è un insolito presentimento di eternità: tra me e i miei amici, limitati come siamo, accade qualcosa di illimitato, imprevisto. È l’esperienza di un’amicizia cristiana, del volto di Cristo nella mia vita. Cosa aggiunge quell’aggettivo “cristiana”? Due fondamentali corollari che stanno cambiando gradualmente ma radicalmente la mia vita.
Il primo è l’accorgersi che il “tu vali” non è stato senza promesse, uno slogan, ma l’inizio di un cammino fatto anche di studio ed esami faticosi da superare: una vita grande mi è stata offerta e, guardando in faccia il mio dolore e il mio vuoto, mi ha chiesto di rispondere e di scegliere.
Il secondo è il fiorire di una speranza per tutti, cioè della certezza che questa amicizia non è capitata a me per pura fortuna. In altri termini, il mero desiderio di condivisione (se “ciò che ho vissuto” ha salvato me, che voglia di raccontarlo a te amico o compagno di corso che incontro!) è stato potenziato, in molti piccoli fatti, dall’impeto di una scoperta, di un‘intuizione: questa amicizia cristiana è aperta a tutti, perché tutto è già stato salvato e amato da Cristo.
È per questo che sono rimasto in silenzio mercoledì mattina. Non esistono parole di spiegazione, solamente ritorna nel cuore la domanda “per chi vale la pena spendere la mia vita?”. È il dramma della mia libertà.
Carlo Zavarise con Giovanni Patanisi
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