
Sudan. «Dopo il massacro la situazione è precipitata, vogliamo pace»

La crisi politica e militare del Sudan non accenna a finire e l’Unione Africana ha deciso oggi di «sospendere con effetti immediati» il paese membro, riporta la Bbc. L’organismo pan-africano ha chiesto all’esercito di riprendere le trattative con l’opposizione e garantire una transizione pacifica del potere nelle mani di un governo civile, dopo la deposizione dell’autocrate Omar Al Bashir.
LA CRISI ECONOMICA
La crisi in Sudan è cominciata nel dicembre dell’anno scorso quando Al Bashir, che detiene il potere da 30 anni, ha varato misure di austerità per far fronte alla drammatica crisi economica. Da quando nel 2011 il Sud Sudan si è dichiarato indipendente, Khartoum non può più fare affidamento sui ricavi provenienti dalle ingenti riserve petrolifere del sud. Per far fronte alla crescente inflazione, che ha tagliato le gambe alla classe media, e ai passivi di bilancio, il governo è stato costretto a tagliare i sussidi per l’acquisto del pane e della benzina, innescando la protesta della popolazione. La forte corruzione diffusa nell’amministrazione e la violenza con cui il governo ha reagito alle manifestazioni, hanno fatto il resto.
Dopo quattro mesi di manifestazioni, migliaia di persone hanno occupato il 6 aprile la piazza davanti al quartier generale dell’esercito nella capitale. I manifestanti hanno invocato l’intervento delle forze armate, chiedendo la rimozione del presidente Al Bashir. Dopo cinque giorni di tentennamenti, l’11 aprile l’esercito ha deposto l’autocrate e instaurato un Consiglio militare di transizione (Tmc), guidato dal generale Abdel Fattah Abdelrahman Burhan.
I COLLOQUI DI PACE E L’ACCORDO
L’opposizione, inizialmente guidata dall’Associazione dei professionisti sudanesi – composta da medici, personale sanitario e avvocati – si è riunita sotto il cartello dell’Alleanza per la libertà e il cambiamento (Alc). Dopo settimane di colloqui con i militari, e dopo violenti scontri, il 15 maggio è stato annunciato un accordo, che prevede un periodo di transizione di tre anni al termine del quale la gestione del potere passerà nelle mani di un governo civile.
La durata del periodo di transizione è un elemento fondamentale per i manifestanti, che chiedono tempo per organizzarsi politicamente e per non restituire subito il potere nelle mani di chi l’ha gestito negli ultimi 30 anni. L’accordo prevede anche la formazione di un consiglio di presidenza, un governo e un parlamento di 300 seggi, occupato per due terzi da membri dell’opposizione. Non è stato invece raggiunto l’accordo su chi deve avere la maggioranza nel consiglio di presidenza, che sarà il vero detentore del potere esecutivo.
IL MASSACRO
Proprio quando tutto sembrava indirizzarsi sui binari giusti, a inizio giugno l’esercito ha chiesto ai manifestanti di abbandonare le piazze della capitale. Davanti al rifiuto dei sudanesi, l’esercito ha risposto con la forza, attaccando lunedì 3 giugno la popolazione e causando almeno 108 morti. Il giorno seguente, il Consiglio militare di transizione ha stracciato gli accordi e annunciato che le elezioni si terranno «entro nove mesi».
La mossa dei militari ha fatto infuriare la popolazione, attirando l’unanime condanna internazionale, culminata nell’esclusione del Sudan dall’Unione Africana. Per tutta risposta l’Alleanza per la libertà e il cambiamento ha chiamato la popolazione a una «totale disobbedienza civile» e a uno sciopero generale.
«NON DIMENTICATEVI DI NOI»
La tensione resta altissima a Khartoum e in altre città del paese. L’arcivescovo della capitale, monsignor Michael Didi Adgum Mangoria, ha dichiarato a Sir descrivendo la situazione:
«La situazione è precipitata. Il Consiglio militare deve trovare un modo per trattare con la gente senza versare altro sangue. Tante persone sono morte, molti sono arrabbiati e continuano a manifestare. Con il Consiglio delle chiese cristiane del Sudan stiamo preparando una lettera da indirizzare ai militari. La comunità internazionale deve aiutare la popolazione del Sudan a trovare la pace. Il paese ha bisogno di pace. Non dimenticatevi di noi».
Foto Ansa
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