
La strage al tribunale di Milano e le parole fuori dal coro del magistrato Armando Spataro

Pubblichiamo la rubrica di Renato Farina contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
I magistrati riuniti a Milano dopo l’eccidio di tre persone inermi, tra cui il giudice Fernando Ciampi, hanno esposto questa sintesi della loro meditazione sulla vita e sulla morte: «Siamo stati lasciati soli».
Ma come? Tutto qui? Davanti a quel sangue, allo spavento, al respiro che si spegne in un avvocato, in un imprenditore, nel loro collega, a quei minuti di disperazione e odio dell’assassino, antichi come il mondo, vecchi come la cattiveria di questo fragile essere che è l’uomo, il capo dei magistrati, Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm, tira le conclusioni di gran parte degli interventi. E dice: «I magistrati sono stati lasciati soli».
Ehi, è questa l’autocoscienza dell’ordine giudiziario, che ha in pugno la giustizia, decide chi indagare, quale esistenza setacciare, chi spedire in carcere, oppure assolvere? Il mondo si disfa, a un passo da loro la gente muore, e il primo pensiero è per se stessi, per la propria categoria vilipesa. Sabelli si precipita subito ad attribuire la paternità morale di questo giudizio al presidente della repubblica Sergio Mattarella, che invece di parlare di dolore e lutto, di tragedia e di speranza nella casa degli italiani, che è il Quirinale, è corso nella casa dei magistrati, il Csm. E ha spiegato che tutto questo sangue è figlio del “discredito” gettato sulla magistratura.
Ehi, fratelli magistrati, siete anche voi fratelli d’Italia, siete sorelle in umanità, scendete giù. Avete avuto molti martiri assassinati da terroristi e mafia. Ma sono morte persone, non membri di una categoria, ciascuno impegnato a fare come può il proprio dovere. Soli voi? Venite, che vi facciamo compagnia. Anche noi siamo soli in questo tempo di devastazione economica e morale, di strappo del tessuto familiare. Le toghe, i giornalisti, i presidenti della Repubblica e i politici sono soli, ma di certo meno di tante altre categorie di persone (sono milioni!) che non hanno certezza di stipendio e di posizione sociale. I giudici e i pm son soli almeno come gli avvocati, gli imprenditori, i commercialisti anch’essi inseguiti dai colpi di una persona disperata e solissima.
In questo concerto di magistrati, ha avuto un suono diverso e più profondo la voce del procuratore capo di Torino, Armando Spataro. Da queste parti non si hanno particolari ragioni di simpatia per il pm (il perché lo spiego un’altra volta). Ma nell’intervista a Liana Milella di Repubblica è uscito dal gruppo solitario dei magistrati, per essere forse ancora più solo, ma in questo modo si è avvicinato alla pena di tutti.
Ha detto: «Sono morti perché facevano il loro dovere. La delegittimazione dei giudici non c’entra». Ancora: «Ecco, il dovere quotidiano e la sua normalità… È questa la chiave di interpretazione di quello che è successo, è ciò di cui dobbiamo parlare ovunque sia possibile».
È il dovere quotidiano, quell’insieme di piccole cose, per cui ci alziamo il mattino, e magari l’umore è cattivo, ma la realtà ci dice che la solitudine non è il nostro destino. Come nella canzone L’illogica allegria di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, uno può esser “da solo”, magari in autostrada, di corsa per portare l’autocisterna di gasolio o per andare in ufficio o in ospedale, ma «mi può bastare un niente/ forse un piccolo bagliore/ un’aria già vissuta…/ E sto bene».
«Come un’illogica allegria/ di cui non so il motivo/ non so che cosa sia./ È come se improvvisamente/ mi fossi preso il diritto/ di vivere il presente./ Io sto bene…/ Questa illogica allegria/ proprio ora, proprio qui».
Si può vivere. Persino insieme. Persino da magistrato, o coi magistrati, proprio questi magistrati. Incredibile ma vero.
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