
Storia di Hans,l’uomo del secolo
E’attraverso la vita sociale e il lavoro che i tre uomini vengono in contatto. Inizialmente non sanno molto uno dall’altro, ma li unisce la comune posizione critica verso il regime. Divengono quindi confidenti, ma è solo l’emergenza che li rende amici. Così, quando uno dei tre finisce con la famiglia nel mirino dei persecutori e rischia la deportazione e la morte, gli altri due si dimostrano veri amici. Loro, che hanno accesso ai gangli segreti del regime, riescono a far passare i perseguitati per persecutori. Li presentano cioè come spie del regime e come tali li fanno fuggire da un orrendo destino già deciso. Pagheranno la loro azione con la vita.
Erede di una nobile famiglia austro-ungarica Sembra uno di quei racconti epici che vengono direttamente dal passato. È invece una storia vera, successa in Germania durante gli anni del Nazismo. Ma è solo una fra le tante storie di piccoli e grandi eroi che non sono mai entrati nella “Storia”, uomini e donne sconosciuti in un mondo che li ha volutamente ignorati per meglio nascondere le proprie co-responsabilità dietro la peraltro immensa ed indelebile colpa di un popolo intero.
Nel Giugno del 1933 Hans von Dohnanyi, figlio del compositore e pianista Ernoe von Dohnanyi ed erede di una vecchia e nobile famiglia austro-ungarica, poteva a ragione considerarsi avviato ad una splendida carriera. A soli 31 anni il giovane giurista si era infatti già fatto notare al punto che il Presidente della Corte Costituzionale di Lipsia l’aveva richiesto come suo collaboratore personale. Soli pochi mesi dopo era già salito di un altro gradino. Il Ministro di Grazia e Giustizia, il nazional-conservatore Franz Guertner, l’aveva nominato suo assistente e membro della Commissione per la Riforma della Giustizia penale della Repubblica di Weimar: “Ho bisogno di gente come Lei per contrastare la follia di Hitler” – erano stato le parole di Franz Guertner.
E von Dohnanyi, che nel corso di una riunione famigliare aveva commentato la vittoria elettorale dei Nazisti con la frase “Ci porterà alla catastrofe”, aveva accettato con entusiasmo il secondo trasloco in pochi mesi, sia pur consapevole dei rischi derivanti dal suo nuovo incarico, che già considerava una missione.
“Porterò Hitler in tribunale”
La posizione ideologica di Guertner e la sua pressione su von Dohnanyi non dovrebbero stupire. L’assunto di un generale ed incondizionato consenso dei Tedeschi con il nuovo dittatore è infatti contraddetto dal fatto che il partito nazionalsocialista aveva ottenuto nelle elezioni del ’33 solo il 30% dei voti. Per l’opposizione extra-parlamentare il problema era però come organizzarsi e von Dohnanyi era ora nella posizione ideale: poteva infatti stabilire contatti con chiunque senza destare sospetti e favorire così l’espansione della rete dei cospiratori. All’epoca sperava ancora in una eliminazione democratica e quindi non sanguinosa del regime. Avendo inoltre facile accesso alle “segrete stanze” ed ai documenti segreti, teneva personalmente un diario sul quale annotava tutti i crimini del regime. “Quando finalmente porteremo i nazisti in tribunale, questi diari saranno la prova della vera natura di Hitler e della sua banda”, confidava alla moglie Christine ed al di lei fratello minore, il teologo e pastore protestante Dietrich Bonhoeffer.
Dalla cospirazione alla resistenza attiva Ma la “Reichskristallnacht” e successivamente l’inizio della guerra avrebbero posto una brusca fine all’ingenuità dei cospiratori. Ormai era chiaro che l’unica via d’uscita era la resistenza attiva e così, mentre nelle riunioni clandestine si cominciava a parlare di attentati contro Hitler, i nazionalsocialisti allontanavano von Dohnanyi dal Ministero. “Quest’uomo non dimostra nessuna comprensione per le leggi razziali e nessun attaccamento alla nuova Germania” – avevano intuito, annotando la riflessione in un rapporto scritto.
Hans von Dohnanyi tornava così a Lipsia per un breve periodo. Chiamato poi dall’esercito al fronte, riusciva invece a farsi trasferire alla Abwehr, il servizio di controspionaggio militare, grazie all’aiuto di amici cospiratori. Con sé portava il cognato Dietrich Bonhoeffer, ormai conosciuto per le sue violente prediche contro il regime: “Solo chi condanna la persecuzione dei nostri fratelli ebrei ha il diritto di chiamarsi cristiano!” predicava, accusando le Chiese ufficiali di chiudere gli occhi davanti ai crimini nazisti.
Lavorare per l’Abwehr non era stata una scelta casuale. Anni dopo gli investigatori avrebbero infatti scoperto che il vertice del controspionaggio tedesco, guidato dall’Ammiraglio Wilhelm Canaris, si era trasformato in una cellula attiva contro il regime: una cellula che si muoveva sia sul piano nazionale, cospirando cioè attivamente contro Hitler, che su quello internazionale, passando cioè i segreti tedeschi agli alleati.
Una bomba per l’aereo del Führer Ma tutto si sarebbe rivelato vano! Il governo inglese, per esempio, aveva snobbato la richiesta di aiuto della Resistenza tedesca, che si dichiarava pronta per un golpe. I piani di un imminente attacco di Hitler, fatti pervenire con la richiesta di aiuto da von Dohnanyi e Bonhoeffer attraverso il Vescovo della città di Chichester, George Bell, erano stati giudicati da Londra pura disinformazione. All’epoca né gli alleati né il Vaticano erano disposti a prendere in considerazione i primi rapporti sulla “soluzione finale” e cioè lo sterminio degli ebrei su scala industriale, sia pur comunicati da Reinhard Heydrich e Adolf Eichmann ai capi della polizia durante un incontro segreto in una villa a Wannsee il 20 Gennaio del ’42.
Ma la sorte si accaniva contro i cospiratori anche sul piano interno. Una bomba costruita con un sofisticato detonatore fatto pervenire appositamente dall’Inghilterra era stata portata personalmente da von Dohnanyi a bordo dell’aereo di Hitler. Ma non scoppiava. In compenso, mentre crescevano i suoi diari segreti, ormai custoditi in una cassaforte nella cittadina di Zossen, il cerchio della Gestapo, comminciava a stringersi intorno ai cospiratori.
Canaris, Bonhoeffer e von Dohnanyi in soccorso dell’amico ebreo In Germania intanto precipitavano gli eventi. Julius Fleiss si era sempre considerato un Tedesco modello. Durante la prima guerra mondiale aveva combattuto con l’Esercito dell’Imperatore, ricevendo una delle più alte onorificenze al valore per una grave ferita alla testa. A Berlino dopo la guerra, dove aveva aperto uno studio legale, aveva conosciuto l’Ammiraglio Canaris ed il giovane giurista von Dohnanyi a casa del professore in psichiatria Karl Bonhoeffer, il padre del Pastore protestante Dietrich Bonhoeffer. Come peraltro la maggioranza dei Tedeschi inizialmente non era particolarmente preoccupato per l’arrivo di Hitler al potere, sebbene fosse ebreo. Si sentiva protetto dal suo passato. Sarebbe invece stato interdetto nella sua professione e poi pesantemente minacciato.
Era venuto il momento di chiedere aiuto. Canaris, i Bonhoeffer ed Hans von Dohnanyi decidevano così di portare i sette membri della famiglia Fliess al sicuro. Scattava il piano “Operazione Sette”, tanto semplice quanto pericoloso: l’Abwehr avrebbe ufficialmente “ingaggiato” l’ebreo Fliess come agente del proprio controspionaggio da infiltrare in Svizzera per carpire informazioni sui piani alleati. Fliess doveva quindi essere “espulso” con la sua famiglia dalla Germania: una copertura sottilissima, messa in ulteriore difficoltà dalla richiesta di Fliess di includere nel gruppo di presunte spie anche la famiglia dell’amico e collega Fritz Arnold. La preparazione al piano richiedeva diverse settimane, durante le quali von Dohnanyi doveva intervenire più volte presso le SS per liberare i suoi “agenti” Fliess e Arnold da treni destinati ad Auschwitz. Alla fine la fuga riusciva e con la “Operazione Sette” la cellula segreta del controspionaggio nazista aveva portato in salvo in Svizzera 14 ebrei.
Un Procuratore difende sempre la legalità
Fatale si sarebbe però rivelata la decisione di von Dohnanyi di usare il fondo segreto dei cospiratori in Svizzera per restituire agli ebrei almeno parte del patrimonio sequestrato dai nazisti. Per meglio essere occultata, la cassa della Resistenza era stata infatti semplicemente acclusa a quella svizzera della Abwehr, qualcosa che le SS non avrebbe capito fino alla fine dell’inchiesta contro von Dohnanyi, nel frattempo pretestuosamente accusato di indebito utilizzo di denaro nazista. Una nota politicamente compromettente trovata nelle tasche di un suo collaboratore nel corso di una perquisizione nel suo studio dava intanto una svolta decisiva all’inchiesta. Non era una prova conclusiva ma bastava a Obersturmbannfuehrer Roeder, il procuratore nazista, per sbattere in galera Hans von Dohnanyi, Dietrich Bonhoeffer ed altri cospiratori. Era la mattina del 5 Aprile 1943.
L’arresto di von Dohnanyi e Bonhoeffer Il tempo intanto passava e von Dohnanyi era fermamente deciso a non parlare. Per ostacolare le indagini e dare tempo ai cospiratori ancora in libertà aveva anche chiesto alla moglie Christine di infettarlo, durante una delle sue visite in prigione, col virus della difterite, virus che Christine avrebbe ottenuto dal professore Karl Bonhoeffer. Un anno dopo non era ancora emersa nessuna prova a carico degli imputati e Roeder era quasi deciso a chiudere l’inchiesta ma….
Era il 20 Luglio del 1944, giorno dell’ultimo fallito attentato contro il Fuehrer, per il quale era ormai solo tempo di vendetta. Durante l’ondata di arresti che seguirono veniva scoperta la cassaforte di Zossen con i diari segreti di von Dohnanyi. “Se von Dohnanyi non fosse finito in carcere non sarebbe finita cosi” – dichiarava inoltre uno dei cospiratori sotto tortura. Era quanto bastava! “È lui il cervello della resistenza” – decretava la Gestapo. E così, mentre alcuni dei cospiratori venivano giustiziati, von Dohnanyi e Bonhoeffer finivano invece rispettivamente ai campi di Sachsenhausen e Flossenbuerg: entrambi temporaneamente risparmiati per espresso volere di Hitler, che voleva “spremere” i due prigionieri.
Impiccato su un gancio da macellaio Nell’Aprile del ‘45 erano ancora vivi. La guerra stava finendo e il regime non poteva rischiare di vedere i suoi nemici liberati dagli alleati. Su richiesta del procuratore speciale Walter Huppenkothen un improvvisato tribunale militare condannava così il pastore Dietrich Bonhoeffer e altri alla morte per alto tradimento. La sentenza veniva eseguita la mattino del 9 Aprile 1945. Una settimana dopo due barrellisti portavano il detenuto Hans von Dohnanyi (tale era già il suo stato) in una stanza del campo di Sachsenhausen, trasformata per l’occasione in aula di tribunale: un’ipocrita parvenza di legalità per un processo farsa nel quale Huppenkothen agiva contemporaneamente quale procuratore e giudice. “Morte per impiccagione su un gancio da macellaio” – era stata la sentenza.
La riconoscenza del mondo…
La vendetta di Hitler era compiuta! La data esatta della morte di Hans von Dohnanyi è rimasta sconosciuta. Né la sua salma è mai stata trovata.
Il resto di questa storia non fa onore a nessuno. I tentativi della famiglia di far condannare nel dopo-guerra il procuratore nazista Huppenkothen sono stati respinti dalla giustizia della Repubblica Federale Tedesca. Le sentenze di condanna dei capi della Resistenza per “alto tradimento” sono state cancellate solo nel 1996 in seguito a forti pressioni. Israele si è fino ad oggi rifiutata di onorare i due uomini all’Holocaust-memorial di Yad Vashem a Gerusalemme, adducendo a pretesto il loro lavoro nel servizio segreto tedesco. E, dulcis in fundo, dopo il crollo del muro di Berlino, membri della comunità ebraica di Berlino tentavano di impossessarsi della casa di Hans e Christine von Dohnanyi. Era appartenuta ad ebrei prima di loro.
…e quella di Dorothee Ma delle 14 persone salvate dall’”Operazione Sette” una è ancora in vita. È Dorothee Fliess, figlia dell’avvocato Julius Fliess. Vive in Svizzera e non perde occasione per dimostrare il suo affetto agli eredi di Hans von Dohnanyi e Dietrich Bonhoeffer. La loro morte è stato il prezzo pagato per la sua sopravvivenza. “Dietrich ed io non siamo niente di speciale” – aveva detto Hans von Dohnanyi alla moglie Christine durante il loro ultimo incontro. “Abbiamo solo agito secondo coscienza, come ogni uomo giusto al nostro posto avrebbe fatto”.
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