
Steve Jobs, l’inventore geniale che rischiava di non nascere – RS
“«La morte è la migliore invenzione della vita. E’ l’agente del cambio. Spazza via il vecchio per far spazio al nuovo. Il nostro tempo è limitato. Non sprechiamolo». Pur essendosi sempre detto un estimatore dell’otium latino padre della creatività, Steve Jobs non ha perso un minuto della sua breve esistenza. In 56 anni ha cambiato il modo in cui comunichiamo, raccogliamo informazioni e ci divertiamo non una, ma almeno sei volte. (…) Era in aforismi come «voglio lasciare il mio segno nell’universo» che ieri gli innumerevoli ammiratori di Steve Jobs cercavano la chiave del suo successo – l’elemento che ne ha fatto il grande uomo e il visionario che la storia ricorderà” (Avvenire, p. 7).
“E’ stato dunque il suo idealismo la chiave di volta? Quello che negli anni Settanta, a San Francisco, gli ha fatto dire di voler creare una società «piccola, da 10 milioni al massimo» che facesse «grandi cose senza perdere la sua anima»? O è stata la sua ambizione e il talento nell’ottenere sempre quello che voleva, con un misto di fascino e arroganza, a dare vita alla Apple di oggi, che ha reinventato computer, telefoni e intrattenimento senza perdere la sua anima. E che è anche diventata il gigante da 350 miliardi di dollari che contende con la Exxon il primato della più grande azienda americana” (Avvenire, p. 7).
“Esigente Jobs lo era soprattutto con se stesso. nonostante l’idealismo antiaziendale che aveva respirato nella California degli anni ’60, Jobs non si è fermato di fronte alla sua prima rivoluzione, il Macintosh, che nel 1984 ha reso ‘personale’ il computer, portandolo nelle case e rendendolo accessibile a tutti. Cacciato dalla sua azienda, ha trasformato un progetto del regista George Lucas negli studi Pixar, quindi è tornato alla Apple, come Ceo, per dare vita all’iPod. (…) Concentrazione e semplicità erano i principi verso i quali il complicato Jobs ha sempre aspirato, «lavorando sodo per semplificare e pulire il mio pensiero». La malattia che lo ha ucciso e che ha combattuto per 7 anni, cancro al pancreas, ha aiutato a definirlo. «Sapere che morirò presto è lo strumento più importante che abbia mai avuto. Perché tutto, le aspettative degli altri, la paura dell’imbarazzo e del fallimento, scompare di fronte alla morte»” (Avvenire, p. 7).
“Eppure l’uomo che ha portato Internet nelle nostre tasche potrebbe non essere mai nato. Quando la studentessa americana 23enne Joanne Schieble si era accorta di aspettare un bambino da Abdul Fattah Jandali, un immigrato siriano, sapeva che tenerlo sarebbe stato impossibile. Ma anziché abortire illegalmente, Joanne ha avuto il bambino e lo ha dato in adozione a una modesta famiglia armeno-americana, che lo ha allevato con amore. Permettendogli di diventare quello che è diventato” (Avvenire, p. 7).
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