Stefano Bolla: «Insegnare è stato il mio miglior errore»

Di Matteo Rigamonti
13 Marzo 2023
Il libro di un docente che ha cresciuto con passione migliaia di giovani. Un "diario di bordo" per imparare, in classe, ad affrontare «l'avventura di vivere il quotidiano»

La scuola a modo mio (Ruffini 2022) di Stefano Bolla è molto più del sottotitolo, “Diario di bordo di un insegnante”, oggi in pensione. È la sapiente e autoironica sintesi di una vita spesa per l’Ideale attraverso l’educazione di generazioni di studenti. Libricino di facile e piacevolissima lettura, praticamente autoprodotto, non l’ho trovato in libreria ma mi è stato consegnato, in due preziosissime copie, nel seminterrato di una start-up milanese di fronte a quel prestigioso liceo bene che è il Berchet, dove un suo illustre predecessore, don Luigi Giussani, l’indomito prete brianzolo, introdusse alla vita, e al cristianesimo, generazioni di giovani, molti dei quali non più o non ancora credenti.

Bolla invece, classe 1963, come il grande scacchista e attivista politico Garri Kasparov e il più immenso cestista dell’era moderna Michael Jordan, è un ragioniere per caso, nato a Villanuova sul Clisi, dunque bresciano che, dopo un’apparentemente inspiegabile laurea in economia, ha trovato la sua via nell’insegnamento presso l’Istituto tecnico commerciale e geometri Vincenzo Capirola di Leno. La sua terra di missione dal 1993 al 2021 dove, insieme ad alcuni colleghi, ha «tracciato la strada per tanti giovani», come osserva acutamente nella prefazione la sua leggendaria preside Ermelina Ravelli, venticinque anni insieme.

Perché insegnare?

Il libro è una raccolta di scritti del Bolla elaborati in tempi diversi e assemblati in capitoli tematici. Alcuni sembrano tracce per un manuale per insegnare agli insegnanti come insegnare. Ma non è questo il punto. “Perché insegnare?”, “Perché tre mesi di ferie?”, “L’avventura di vivere il quotidiano” (in classe), “Perché siamo qui?” e “Il desiderio di felicità” sono solo alcuni dei grandi temi trattati, un distillato di lezioni frutto di ore e ore sui banchi con la lavagna come finestra e decine e decine di giovani uomini e donne seduti, qualcuno talvolta sonnacchioso o distratto, eppur tutti desiderosi di solcare il mare dell’esistenza. Ma la cosa a mio avviso più bella e coinvolgente che emerge sfogliando il libro sono la miriade di aneddoti con cui questo infaticabile osservatore di umanità e coltivatore di cuori prova a portare per terra sì nobili pensieri da cantastorie 0.0 (sebbene nel libro ci siano anche dei Qr code) tutt’altro che disordinato, appassionato di mercatini, grandi film e fumetti, eroi letterari e comandanti.

“Il ciondolo di Nefertiti”, “Bes (nel senso di Bisogni educativi speciali) e cowboy”, “Nonno Girolamo” (il suo avventuriero preferito, più di Cristoforo Colombo e Marco Polo), il tenente Innocenzi (nella versione interpretata da Alberto Sordi in Tutti a casa) e i pirati iraniani nello “Stretto di Hormuz” sono solo alcuni esempi delle brevi ed efficaci immagini argomentative, sempre in qualche misura autobiografiche, con cui l’autore ha negli anni dato a tanti che oggi sono adulti il suo contributo per «approfondire e conoscere la realtà». Perché, come aveva detto in un ultimo giorno di scuola a una sua classe: «Questo rimane per sempre a chi lo ha vissuto e voluto. Buona vita».

Guardare negli occhi la vita

E buona vita è ogni giorno sempre di più quella di Stefano Bolla che, nonostante le prove della sua lunga navigazione attraverso l’oceano dei significati, continua misteriosamente ad essere padre di quegli alunni. Un legame che non si è spezzato dopo la maturità né con chi di quella ciurma è rimasto in contatto né, ne siamo certi, con chi ha preso la sua rotta lasciando, apparentemente, perdere le tracce. Tutto ciò grazie anche, è lui a dirlo, a un prezioso equipaggio di professionisti d’umanità vera, alcuni scelti e altri incontrati. I suoi genitori in primis che gli hanno «testimoniato cosa vuol dire guardare la vita con occhi stupiti di bambino», «dando tutto per gli altri, nulla per sé». O come i valorosi abitanti del forte di Rodengo Saiano che nel silenzio un po’ lo sopportano e molto gli devono.

C’è anche chi, come l’amico Mazza, ha pazientemente tenuto traccia di quelle perle che potrebbero tranquillamente stare nel forziere di un galeone dei suoi amati racconti e che invece oggi sono diventate le pagine di questo libro. O Luca, «amico d’infanzia e fratello di sangue», il cui cognome tanto ricorda il protagonista di un celebre libro per ragazzi di Lewis. Anche quelle erano cronache per vite in cerca di significato, per mercenari e sognatori. Anche lui parla all’uomo che è dentro il ragazzo. Con immaginazione e profezia, come questo, forse ai più sconosciuto, docente di diritto (ops… non l’avevamo ancora detto!), ma soprattutto del mestiere di vivere. Che ha scelto di fare l’insegnante per «vendicarsi», dice in un’intervista finita su Youtube, del «cafone» che alla maturità gli negò i pieni voti. L’avrà perdonato, ne siamo certi come del fatto che «insegnare è stato il mio miglior errore». E chissà che qualcuno dei suoi, con lui, discepoli del senso della vita non abbia voluto o vorrà seguirne le tracce. C’è tanto bisogno oggi di spiriti nobili vocati all’educare.

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