Good Bye, Lenin!

La statua di «Feliks di Ferro» in piazza della Lubjanka? E le vittime del comunismo?

Due episodi contrapposti hanno animano la vita culturale della capitale russa nelle scorse settimane: da un lato la dichiarazione avventata di Andrej Metel’skij, deputato di Russia Unita, che ha proposto di ripristinare la statua di Feliks Dzeržinskij, il fondatore della Čeka, l’apparato di polizia politica precursore del famigerato KGB. Attualmente parcheggiata al Muzeon, il parco dei monumenti, la statua tornerebbe in piazza della Lubjanka sul piedistallo rimasto vuoto dopo che nel ’91 fu smantellata a furor di popolo. Sul destino della statua le autorità moscovite hanno poi corretto il tiro: è vero che la capitale intende ripristinare alcuni monumenti per una spesa pari a oltre un milione di euro, ma l’operazione va valutata con prudenza e ascoltando la popolazione. La boutade di Metel’skij però aveva fatto infuriare non pochi. Il pubblicista Jurij Bondarenko, presidente della fondazione «Restituzione» che si batte per la ripresa della cultura tradizionale, ha dichiarato che al massimo si potrebbe restaurare la statua per lasciarla dov’è, e che la decisione finale non spetta alla municipalità moscovita ma alle autorità federali «che guardano a questi problemi in modo completamente diverso».

Un’altra voce contraria è quella della Chiesa ortodossa. Il metropolita Ilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato, ha usato toni estremamente duri: «Se nella nostra storia non ci fossero stati Lenin, Dzeržinskij e simili farabutti, la nostra popolazione oggi sarebbe due o tre volte più numerosa e non ci sarebbero stati tanti traumi di cui paghiamo ancora le conseguenze… È giunto il momento di parlare con chiarezza di tutto ciò che è stato fatto in quegli anni oscuri. È ora di togliere il tabù sul culto di quei farabutti e sulla giustificazione dei loro crimini». Ilarion ha sottolineato invece la necessità «civile» di rendere omaggio a coloro che hanno sofferto per Cristo durante l’epoca delle persecuzioni, e ha proposto di dedicare vie, piazze e parchi a costoro.

Non è la prima volta che a Mosca ritorna la questione della statua di «Feliks di Ferro», posta nel ‘58 davanti a quello che fu il bell’edificio neobarocco della Compagnia panrussa di assicurazioni prima di essere ampliato e trasformato nella tetra sede dei servizi segreti, «da dove si vedeva la Siberia». C’aveva provato anche il sindaco Lužkov nel 2002, parlando dei meriti di Dzeržinskij nella lotta contro la criminalità e a favore dell’infanzia abbandonata. In quell’occasione una nota di Memorial precisava che «l’impegno principale di Dzeržinskij fu la lotta contro gli oppositori politici (veri o immaginari) del potere sovietico. Lui creò il sistema della polizia e della repressione politica, sotto la sua direzione fu creato il sistema concentrazionario. Per decenni migliaia di vittime sono passate all’ombra di quella statua mentre venivano tradotte alla Lubjanka, prima tappa di un cammino verso la morte o verso il GULag». Riguardo al suo impegno per i bambini di strada Memorial faceva notare che «l’insorgere di questo fenomeno fu innanzitutto conseguenza dello sfacelo economico e della guerra civile a cui aveva portato la politica dei suoi compagni di partito». Un dettaglio che sfugge evidentemente al Partito comunista russo, che si è detto favorevole al ripristino della statua.

Il secondo episodio risale al 29 ottobre, vigilia del Giorno dedicato alle vittime delle repressioni, quando dalla mattina alla sera centinaia di semplici cittadini hanno letto ad alta voce i nomi dei fucilati a Mosca negli anni ’30: tra il 1937 e il ‘38 solo nella capitale furono uccise dagli organi oltre 30.000 persone. L’iniziativa della Restituzione dei nomi è organizzata già da alcuni anni dall’associazione Memorial e si svolge presso la pietra portata dal lager delle isole Solovki, anch’essa in piazza Lubjanka. È toccante ascoltare chi, declamando nome, professione e data della fucilazione, li fa precedere da un «mio padre», «mia nonna»…
Altre commemorazioni si sono aggiunte negli stessi giorni: la funzione religiosa nella chiesa dei Nuovi martiri e confessori presso l’ex poligono e oggi memoriale di Butovo dove, tra il ’37 e il ’38, furono fucilate oltre 20.000 persone; l’inaugurazione di una targa commemorativa allo scrittore Varlam Šalamov presso l’edificio in cui visse dal ’34 al ’37 prima di essere arrestato; e infine la tv, sul canale culturale, ha mandato in onda in prima serata il documentario Dol’še žizni sui destini dei figli delle vittime del Terrore.
Ha scritto la poetessa russa Nadežda Mandel’štam: «Che destino attende un paese che ha la memoria labile? E cosa vale l’uomo se la memoria l’ha abbandonato?».

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    1 commento

    1. giesse

      Per la statua di Felix, ispiratore di giudici e pm nostrani, un posto a Roma offresi; Palazzo Madama

    I commenti sono chiusi.