
Stato in vendita: cedere Rai, Poste e Fs per uscire dalla crisi
«Se una famiglia non ha più soldi, deve vendere la casa della nonna». Sono le parole del coordinatore del Pdl, Ignazio La Russa. Le riporta oggi il Corriere della Sera, in un articolo di Francesco Verderami, in cui si parla di «una iniziativa del Tesoro, che entro la fine del mese intende organizzare un seminario per la valorizzazione e la dismissione del patrimonio dello Stato, degli immobili e delle concessioni».
Sarebbe un’altro modo per ridurre il debito pubblico e riportarlo «a quota 90».
Ernesto Felli, ordinario di economia politica all’università di Roma Tre, spiega a Tempi.it, che «la valorizzazione del patrimonio è l’unica vera strada per ridurre il debito. Purtroppo, però, se ne parla da tanto. Sarebbe ora che le parole si traducessero in atti». Nell’articolo del Corriere si evoca un seminario preparato per mettere a punto la manovra. «Il termine – continua Felli – mi pare vago. Spero solo sia organizzato in modo tale da dare finalmente risultati concreti. Bisognerà pensare a come valorizzare il patrimonio pubblico, fatto sia di beni tangibili, come immobili e terreni, sia di partecipazioni societarie». Cosa rispondere a chi obietta che il mercato è fermo e vendere oggi significa svendere? «L’obiezione è una scusa di chi non vuole toccare certi interessi: i compratori esteri ci sono eccome. Sicuramente allo Stato tocca mettersi sul mercato in modo intelligente, rendendo appetibili i beni. Un momento ideale per immettersi sul mercato non esiste mai finché non ci si mette: dipende tutto da come lo si fa».
Verderami accenna anche a un report del ministero dell’Economia, in cui si allude alla vendita di «gioielli dello Stato» e di utilities. Quali sono i principali? «Fra gli asset tangibili ci sono tantissimi edifici abitativi, caserme e terreni. Fra gli intangibili, ci sono le partecipazioni pubbliche di alcune grandi società come la Rai, le Ferrovie dello Stato, le Poste italiane, l’Eni e Finmeccanica». Se si rendono economicamente efficienti queste operazioni, «molti soggetti, come i fondi di investimento esteri e i capitalisti internazionali, sarebbero disposti a comprare anche gli asset intangibili a prezzi buonissimi. In tutto, fra beni tangibili e non, ho calcolato che ciò che poteva essere venduto dallo Stato avrebbe fatturato circa 60 miliardi di euro. Il Corriere oggi parla addirittura di 140». Rientrando a quota 90 del debito pubblico, si leggerebbe ancora nel report, «si troverebbero i soldi per il fattore famiglia».
Per Felli «le risorse che vengono liberate da questa manovra vanno usate per incentivare gli investimenti, senza aumentare la spesa corrente». Ricapitolando, bisognerebbe vendere i beni pubblici così da ridurre il debito, senza però aumentare le tasse. «Di più: bisognerebbe anche ridurre alcune imposte, in primis quella sui redditi personali, così da aiutare famiglie, singoli, lavoratori e imprenditori. In modo da stimolare produzione e consumo. La grande riforma strutturale sta qui: nella vendita dei beni pubblici, da accompagnare alla riduzione della pressione fiscale dei potenziali investitori. Solo così l’Italia può sperare di farcela. Non basta vendere». Altrimenti? «Sarebbe un danno, ad esempio, se si usassero le entrate delle vendite per aumentare le spese sociali. Il mercato non ripartirebbe, quindi i redditi rimarrebbero bassi. E se il reddito non aumenta, non si può pensare di riconquistare la fiducia dei capitali esteri necessaria per uscire dalla crisi».
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