
Stato-Mafia: ecco come a Palermo si portano avanti i teoremi
(Palermo) – I sospetti sulla cattura di Totò Riina – preso secondo i “rumors” nella procura di Palermo non per la bravura degli uomini del Ros del capitano Ultimo, ma perché “consegnato” da Provenzano per un “patto” con lo Stato – sembravano accantonati dopo la sentenza di assoluzione nel 2006 nel processo al capitano Ultimo e al generale Mario Mori. Ma i sospetti sono rientrati dalla finestra nel nuovo processo a Mori (per la mancata cattura di Provenzano nel 1995) attraverso una serie di poco credibili super testimoni. Prima il colonnello Michele Riccio, plurismentito; poi il mediatico Massimo Ciancimino, l’11 gennaio è stata la volta del magistrato Alfonso Sabella, che ha lavorato alla Procura di Palermo fino al ’99, con l’incarico sulle indagini per la cattura di alcuni latitanti (ma non di quelle su Provenzano).
Sabella, che nel 2009 aveva parlato di suoi sospetti su una trattativa Stato-mafia in un’intervista al Fatto Quotidiano, avrebbe dovuto specificare su quali elementi si fondasse questa convinzione. Ebbene, in aula Sabella lo ha ripetuto numerose volte: «Ho fatto una ricostruzione personale» in seguito ad alcune circostanze. Due le vicende in particolare. La prima risale al 2003: il magistrato di Firenze Gabriele Chelazzi, che indagava sulla strage di via Georgofili nel ’93, dopo avere interrogato il generale Mario Mori, avrebbe privatamente raccontato a Sabella, all’epoca suo collega a Firenze, l’intenzione di iscrivere Mori nel registro degli indagati «per favoreggiamento aggravato in generale a Cosa Nostra».
A parte il fatto che simile accusa risulterebbe davvero eccessivamente generica – come ha fatto notare in aula il presidente della quarta sezione del tribunale penale di Palermo, che oggi giudica Mori – di essa non vi è nemmeno traccia in alcun documento. Sabella ha ricordato comunque che lui stesso non avrebbe concordato affatto con Chelazzi, perché sempre secondo Sabella, Mori aveva agito negli interessi dello Stato. A questa obiezione Chelazzi avrebbe risposto picche: «Chelazzi replicò: “Mori, mi venga a dire lo stesso perché lo ha fatto o mi opponga il segreto di Stato”». Queste dichiarazioni di Sabella restano fumose: oltretutto perché Chelazzi si basava su ipotesi tutte da verifcare.
La seconda vicenda riguarda le indagini per la cattura del latitante Tommaso Farinella del ’94, condotta secondo Sabella dal Ros che in due occasioni avrebbe ritardato l’arresto di Farinella. Per favorire Provenzano, come sostiene l’accusa? No, nemmeno secondo lo stesso Sabella: «Fu una scelta investigativa per giungere alla cattura di latitanti più importanti, Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella». Sabella lamenta anche che in quell’indagine il Ros non lo informava passo passo di ciò che avveniva. A smentire Sabella su questo ci ha pensato il capitano Ultimo, a capo degli uomini del Ros in quell’indagine: «Quelle indagini erano affidate primariamente alla compagnia dei carabinieri di Cesalù, che ci chiese un aiuto viste le nostre competenze specifiche. Appena identificato Farinella lo catturammo noi stessi. Solo allora ci rendemmo conto che lo avevamo visto in altre due occasioni, ma all’epoca non eravamo riusciti a identificarlo. Non era compito del Ros tenere i contatti con Sabella, lo faceva il comandante della compagnia di Cefalù responsabile dell’indagine».
Ultimo ha smentito categoricamente le leggende sui suoi contrasti con Mori (di cui aveva parlato ad esempio il colonnello Michele Riccio): «Non ho mai avuto problemi col generale Mori, non mi ha mai negato uomini o mezzi per le indagini. I problemi ci sono stati con il successore al comando Ros, generale Palazzo”. Ultimo ha smentito categoricamente anche le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, secondo cui Riina era stato catturato grazie alle indicazioni fornite dal padre.
L’ipotesi del favoreggiamento a Provenzano dopo questa udienza diventa ancora più fumosa. Lo conferma anche l’anomala dichiarazione del procuratore aggiunto Antonio Ingroia – in aula con tanto di Ipad e Iphone al seguito con cui ha giocherellato durante il dibattimento – chiamato a rendere conto della data in cui la Procura consegnerà i risultati definitivi delle indagini della polizia scientifica sul “papello”. Ingroia ha ammesso che «ad oggi non se ne conosce ancora l’autore» e aggiunto che «non si può porre un limite alle indagini della polizia perché noi consegniamo sempre dei nuovi campioni per il raffronto delle calligrafie». Virtualmente si potrebbe andare avanti per un altro decennio. O all’infinito. A seconda dei desiderata della Procura.
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