
“Star Wars. Il risveglio della Forza” affascina ma non osa abbastanza

Preannunciato da una campagna promozionale galattica, accompagnato da ogni possibile operazione di co-branding e di merchandising, anticipato da una nuvola di rumors, ammantato da un fitto mistero, centellinato con una serie di efficaci trailer e spot, ora è finalmente arrivato: 38 anni dopo il primo episodio, 16 dopo il quarto, è finalmente uscito in 850 schermi Star Wars – Il risveglio della Forza. Quando la Disney comprò la Lucasfilm nel 2012, era chiaro che all’annuncio sarebbero seguiti degli articolati piani per proseguire il franchise e dispiegarlo in tutti i settori ludici, dai videogiochi ai parchi di divertimento. Il piano prevede non solo una nuova trilogia, ma anche una serie di spinoff, due dei quali già annunciati. Per il settimo episodio viene scelto come regista J. J. Abrams, autore di culto della serie televisiva Lost, e tutto il cast viene richiamato all’ordine: compaiono così Mark Hamill, Harrison Ford per l’iconico Han Solo, e poi tutti gli altri. Ma è sui nuovi attori che si concentra l’attenzione: la nuova trilogia non riporta solo i vecchi fan in una galassia lontana lontana, ma accoglie i nuovi spettatori che entrano in questo universo per la prima volta.
Ed i nuovi personaggi funzionano bene: la cercatrice di rottami Rey e il disertore Finn sono serviti da ottimi dialoghi e costruiscono un’alchimia impagabile, fatta di sguardi, risate, sorrisi e botte. La prima parte del film è in mano loro, calati in scenari avvolgenti e in contesti esaltanti, in cui la brutalità della guerra si tocca con mano. Un aspetto che nei film di Lucas, sospesi tra l’epica e la favola, non era presente, e che qui invece ha il suo peso, è proprio quello della violenza e del sangue, presente fin dalle prime scene: il Primo Ordine che combatte la Resistenza è spietato e senza scrupoli. Anche il ritorno dei vecchi personaggi è emotivamente coinvolgente: non solo appaiono in forma, ma lo scorrere degli anni, ben trenta, ha influito sui loro spiriti, portandoli ad interessanti evoluzioni. Inoltre, inseguimenti mozzafiato e momenti onirici colpiscono in maniera particolare, deliziando nuovo e vecchio spettatore.
Nella seconda parte del film, però, dopo una prima metà intrigante e ricca di mistero e scoperta, avviene una sensazione di deja vu, a metà tra il remake del classico del 1977 e un reboot. Abrams e la sceneggiatura ripropongono stilemi ed eventi già presenti nella saga, senza la capacità di servirli con il dovuto pathos: certi istanti, in teoria solenni e memorabili, non sono capaci di scaldare il cuore e altri lasciano l’amaro in bocca. La storia di base appare un po’ zoppicante, nonostante l’assunto iniziale molto buono, e mancano certi pilastri narrativi che potevano essere utili per creare una nuova mitologia. Anche l’idea della Forza come una mistica religione non viene trattata come dovrebbe, e vi sono delle facilonerie che la banalizzano. Infine, il villain non è all’altezza della situazione, uno strano connubio tra un bimbo viziato ed un invasato, e deve essere rimandato al prossimo episodio.
In sintesi, il film è fantastico in molti momenti, dove mischia ironia, azione e personaggi, specie quando osa nuovi metodi rispetto alla saga. Quando invece segue binari già sfruttati, l’emozione si sgonfia e non riesce a costruire un nuovo mondo nel quale ritornare con piacere. Ciò detto, la pellicola regala grandi attimi di commozione, ed è capace di utilizzare al meglio vecchi e nuovi personaggi, umani e droidi che siano. Impressionanti gli scenari delle astronavi in rovina, così come quello di antichi templi. Al finale è lasciato compito di portare la trama verso scenari inediti, e capire come potrà evolversi la storia. Quando c’era Lucas era evidente la presenza autoriale che cercava di presentare un universo compatto e coeso: nel nuovo film questo aspetto manca, e sarà necessario aspettare i seguiti per capire se la terza trilogia diventerà un nuovo modo di intendere il cinema d’avventura, oppure solo un remake delle pellicole precedenti.
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