
«Quelle di Stamina non sono cure compassionevoli. Gli scienziati contano meno di Celentano?»
«Se addirittura il premio Nobel Shinya Yamanaka si è sentito in dovere di intervenire nei fatti di casa nostra, è perché l’Italia è diventato lo zimbello del mondo, autorizzando terapie che non sono accettate neanche nel terzo mondo». Non si dà pace il famoso genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e coordinatore del progetto Orphanet Italia sulle malattie rare. Parlando a tempi.it della vicenda Stamina, dell’operato del Ministero della Salute, di quello dei media e delle terapie a base di cellule staminali, è sconsolato: «Oggi in Italia la voce di un ricercatore serio vale meno di quella di Celentano».
Professore Dallapiccola, Nature accusa l’Italia di «alimentare false speranze di rapide guarigioni» autorizzando il metodo Stamina.
Purtroppo Nature dice cose vere. Ci sono delle malattie rare e rarissime davanti alle quali la medicina alza le mani ed è, per ora, impotente. Bisogna essere realisti, neanche nei prossimi anni le cureremo tutte. Ci vorranno decenni e noi non dobbiamo cedere all’idea dell’onnipotenza della medicina.
Nature dice anche che l’Italia «sfrutta la disperazione dei malati terminali».
È così. Di fronte all’impotenza della medicina è chiaro che viene fuori la disperazione delle famiglie e se l’informazione non è corretta, un genitore finisce per rivolgersi anche a chi promette qualcosa che è fuori dalla realtà.
Però i pazienti di Stamina sono migliorati dopo le prime infusioni.
In Italia ci sono giornalisti che manipolano le cose facendo vedere pseudo-miglioramenti. Parlo così perché certi miglioramenti da una parte possono essere compatibili con l’andamento della malattia, dall’altro potrebbero anche essere causati dai trattamenti tradizionali precedenti. Nel caso della Sma, i processi di respirazione hanno cambiato la storia della malattia e la ricerca continuerà a progredire ancora, ma se io abbandono la terapia tradizionale per una nuova, per un po’ di tempo beneficio ancora della terapia precedente. È molto facile sfruttare la disperazione dei genitori. Qualcuno deve entrare a gamba tesa per fermare certe pratiche illegali.
Il Ministero della Salute sembra avere dato ascolto più a certi giornalisti che agli scienziati.
Oggi la voce di un ricercatore che dice di non credere al metodo Stamina vale meno di quella di un uomo dello spettacolo come Celentano che, senza nessuna autorità, si atteggia a profeta. A Paolo Bianco, che è un grande scienziato, viene preferito uno che canta all’arena di Verona. Non c’è neanche un ricercatore che si sia schierato a favore di questa terapia. Questo è un argomento forte su cui tutti dovremmo riflettere. O gli scienziati sono tutti acefali, e il professore Vannoni, che non è neanche laureato in medicina, è un santone, oppure qualcuno deve farsi delle domande.
Si dice che i ricercatori sono crudeli e poco compassionevoli.
Non è così. Da ricercatori e medici dobbiamo dire che ci sono cose che fanno bene e altre che non fanno bene. Per stabilire cosa fa bene e cosa no, dobbiamo fare un minimo di sperimentazione, che non può essere mascherata sotto il termine “compassionevole”.
Quelle di Vannoni non sono cure compassionevoli?
No. Le cure compassionevoli sono terapie che riguardano dei prodotti e farmaci, terapie cellulari che non hanno completato l’iter completo della sperimentazione ma che hanno superato la fase iniziale. Cioè se abbiamo dei dati per dire che la terapia è perlomeno sicura, allora davanti a casi disperati si può testare. Ciò che fa inorridire gli italiani e il resto del mondo, tanto da chiamare in causa un premio Nobel riducendo l’Italia allo zimbello mondiale, è dovuto al fatto che in Italia sono autorizzate cose che non si fanno neanche nel terzo mondo. Queste presunte terapie non hanno nessun appoggio sperimentale in termini di efficacia e innocuità. Nessuno di noi giudica Stamina perché non siamo in grado di dire niente, perché non pubblicano i dati. Noi ci chiediamo: perché si prendono certe scorciatoie? I ricercatori italiani sono rigorosi, in linea con quello che si fa nella buona medicina, ma in questo caso qualcosa è sfuggito di mano.
Anche al ministro Balduzzi?
I ricercatori non hanno apprezzato il decreto del Ministero.
Per avere parlato contro il metodo Stamina, il professore Paolo Bianco ha ricevuto insulti, addirittura mail che ne chiedevano il licenziamento.
In questo momento c’è un piccolo gruppo di persone che ancora ha il coraggio di dire qualche cosa a fronte di un’opinione pubblica che non sa di che cosa si sta parlando. È come il referendum sulla legge 40: la gente non capiva neanche che cos’era una cellula staminale embrionale. Io sono finito in un programma tv con il pubblico e presentatrice schierati, c’erano anche dei genitori, con cui mi sono confrontato prima. In queste arene perdi tempo perché risalire la china della disinformazione è quasi impossibile e regolarmente passi per il cattivo di turno. Quando sono tornato a casa mia figlia mi ha detto che ero stato cattivo in trasmissione: quello è l’atteggiamento che viene fuori.
Qual è l’opinione dei ricercatori su tutta questa vicenda?
Sono avviliti. Si fanno decenni di lavoro serio per costruire qualcosa con il rigore scientifico e poi per una smagliatura nel sistema si perde la faccia e la credibilità davanti al mondo. Io mi chiedo: come ha fatto Stamina a infilarsi in una struttura pubblica, che ha autorizzato la sperimentazione? Né l’Aifa né il Ministero aveva dato l’autorizzazione, come è venuta fuori quella di un ospedale locale? A che titolo? Qualcosa nel sistema non ha funzionato, queste persone devono avere degli amici nei posti giusti. Ora però questi errori minano l’attività dei ricercatori seri e finiscono per costare anche alla medicina che funziona.
Perché?
Ho visto un report dell’associazione Atrofia muscolare spinale: con questo atteggiamento gli italiani rischiano di rimanere fuori dai protocolli di sperimentazione internazionale fatti con i farmaci giusti e per le vie giuste. La nostra immagine è compromessa, il danno enorme, siamo tornati indietro in cose che credevamo di esserci lasciati ormai alle spalle.
Queste cose succedono solo in Italia?
No. Negli Usa qualcuno promette con le staminali di curare tutto, dall’autismo in giù. Ma prendiamo l’autismo: queste persone pensano di buttare cellule staminali, che conosciamo poco, dentro un organismo per curare una malattia che non conosciamo. Questo è peggio della stregoneria!
Stamina non ha rispettato le regole e non ha pubblicato i dati. Ma perché non tentare il tutto per tutto? E se la terapia funzionasse?
Non puoi trattare una persona peggio di una cavia solo perché sta per morire, non puoi sperimentare su di lui cose che esulano dalle regole delle buone pratiche cliniche. Perfino i cadaveri sono tutelati e richiedono rispetto, figuriamoci le persone che potrebbero morire. Le regole sono fatte per garantire il rispetto dei pazienti e delle famiglie. Li si vuole proteggere. Una terapia prima di essere sperimentata come compassionevole deve godere di alcune evidenze: non deve fare male e magari avere anche qualche piccolo effetto positivo. È mai possibile che abbiamo scoperto terapie cellulari che guariscono tutte le malattie neurodegenerative? Queste cose hanno più a che fare con i miracoli che non con cose che conosciamo. Però, prima o poi, qualcuno ci dirà che cosa c’è in quelle provette e se davvero sono innocue.
Che ruolo giocano i media in questa vicenda?
Enorme. Le Iene ad esempio hanno un ruolo dirompente: la gente ha la memoria corta, ma tre o quattro anni fa le Iene parlavano degli italiani che andavano in Thailandia per fare terapie costose, vietate da noi. Ma non hanno poi raccontato come sono finiti tutti i pazienti che sono andati in questi paesi. Non è giornalismo questo, è uno schifo.
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Un genitore di un bambino con leucodistrofia mi ha regalato un libro, scritto da un altro genitore vent’anni fa. Si ricordavano le mie prime esperienze di iniezioni di cellule per via lombare nell leucodistrofia: tre bambini erano migliorati con palese riduzione della spasticitá. Nel libro viene riportato l’appello di una serie di genetisti, tra cui il prof. Dalla Piccola, volto a bloccare questa cura. Il professor Dalla Piccola non si smentisce neanche oggi.
Uno scienziato serio dovrebbe stare attento con le affermazioni, altrimenti si mette allo stesso livello di chi considera dei ciarlatani. Non puó definire irrilevanti i risultati ottenuti da Celeste (SMA) e documentati in cartella clinica del secondo ospedale italiano, senza aver visto la paziente. Non dovrebbe affermare che Brescia ha cominciato la terapia senza autorizzazione dell’AIFA. L’autorizzazione scritta c’era stata, ma poi sconfessata dal nuovo direttore. Chi c’é dietro al prof. Dalla Piccola?
Ricordo – era la seconda metà degli anni ’90 – un anziano amico che avevo accompagnato a Messa dopo averlo estratto quasi di peso dall’auto: aveva una forma leucemica (non chidetemi i dettagli) che la medicina ufficiale non riusciva a curare.
Il volto era ormai un teschio.
Vedendolo via via deperire, sbiancare – letteralmente come un cencio – perdere vistosamente forze di settimana in settimana, ero certo che l’esito fatale fosse ormai ad un passo.
Invece un paio di settimane dopo l’ing. R. si muoveva meglio; le energie affluivano, e col venire di quelle se ne andava il colore tombale dal volto.
Ero sbalordito, non avevo mai visto nulla di simile – non prima e non dopo, sino ad oggi – in una persona giudicata ormai morta.
L’ing. R. era entusiasta: mi raccontò di essersi recato a Modena, presso un medico che di lì a qualche tempo sarebbe divenuto famoso: il dott. Di Bella, allora ignoto a me, come al grande pubblico.
Non ebbi il minimo dubbio – nessuna persona sana di mente, giudicando i risultati, avrebbe potuto averlo – sulla validità di quelle cure.
Si potrà dire che ciò che funzionò per il mio anziano amico non necessariamente avrebbe dato esiti positivi per altri; il che è condivisibile, banale, scontato.
Ma non si può affermare che Di Bella fosse quel cialtrone che il tritacarne mediatico-politico-sanitario volle propinarci.
Quell’omino riservato e meticoloso riuscì – mi limito a constatarlo – dove la sanità di una delle Regioni più ricche del nord Italia aveva totalmente fallito.
Ricordo che fra i farmaci del dott. Di Bella vi erano anche dei retinoidi, derivati della vitamina A di cui conoscevo la dicitura farmacologica per ragioni su cui non mi dilungo.
Ricordo pure che in seguito uno degli oppositori più titolati del povero medico modenese – Veronesi, se non vado errato – fece del sarcasmo sul fatto che la vitamina A non cura i tumori.
Dopo il fallimento (?) della cura Di Bella, Veronesi proclamò – in un discorso riportato sull’inserto salutistico de “la Repubblica” – che i retinoidi aprono nuove prospettive nella cura dei tumori (al seno, mi pare).
Tenni l’articolo per qualche tempo, poi come spesso avviene dovetti cestinarlo per ragioni di ordine e di spazio.
Certo che chiamarli “vitamina A” in un contesto denigratorio è un conto; definirli retinoidi in occasione di un’esternazione accademica un altro.
Ovviamente.
Tornando a noi, non so bene quanto tempo passò dalle cure di Di Bella alla morte dell’ing. R.; forse un anno, forse meno.
Ricordo solo che il vecchio amico, da una prostrazione di morte era progressivamente passato a camminare da solo con l’ausilio del bastone e che in casa si dilettava nell’esibire – come mi disse la moglie – la propria abilità nel muoversi persino senza necessità di sostegni artificiali.
Finì a terra, si ruppe un osso (il femore, mi pare) e nella disastrosa caduta si lacerò una vena.
Morì all’ospedale, dopo avere perso grandi quantitativi di sangue.
Qualche tempo dopo Di Bella finì piallato.
E concludo.
Non me ne voglia l’articolista, ma se essere di destra è un modo per dirsi uomini della tradizione cristiana, come asseriva di sé il monarchico Guareschi, sono pure io di destra, benché il termine non mi piaccia per nulla.
Ma lo stereotipo dell’uomo di destra sempre e necessariamente allineato ai dogmi della scienza ufficiale non mi convince affatto.
Credo più a Vannoni, con la sua aria da Barababba, che alla Cattaneo, anche perché alcune testimonianze a suo favore dovrebbero quantomeno indurre i suoi detrattori ad una maggior cautela.
Dei Nobel, poi, può essere saggio, dato il contesto di riferimento, diffidare: chi conosce anche solo un po’ la vanità degli accademici e degli uomini, in senso lato, di potere, sa quanto odio possa suscitare in loro l’homo novus.
Non dico che questo odio la sia la causa efficiente delle esternazioni contro Vannoni, ma non mi stupirei per nulla – ma proprio per nulla – se lo fosse.
Ricordo – era la seconda metà degli anni ’90 – un anziano amico che avevo accompagnato a Messa dopo averlo estratto quasi di peso dall’auto: aveva una forma leucemica (non chidetemi i dettagli) che la medicina ufficiale non riusciva a curare.
Il volto era ormai un teschio.
Vedendolo via via deperire, sbiancare – letteralmente come un cencio – perdere vistosamente forze di settimana in settimana, ero certo che l’esito fatale fosse ormai ad un passo.
Invece un paio di settimane dopo l’ing. R. si muoveva meglio; le energie affluivano, e col venire di quelle se ne andava il colore tombale dal volto.
Ero sbalordito, non avevo mai visto nulla di simile – non prima e non dopo, sino ad oggi – in una persona giudicata ormai morta.
L’ing. R. era entusiasta: mi raccontò di essersi recato a Modena, presso un medico che di lì a qualche tempo sarebbe divenuto famoso: il dott. Di Bella, allora ignoto a me, come al grande pubblico.
Non ebbi il minimo dubbio – nessuna persona sana di mente, giudicando i risultati, avrebbe potuto averlo – sulla validità di quelle cure.
Si potrà dire che ciò che funzionò per il mio anziano amico non necessariamente avrebbe dato esiti positivi per altri; il che è condivisibile, banale, scontato.
Ma non si può affermare che Di Bella fosse quel cialtrone che il tritacarne mediatico-politico-sanitario volle propinarci.
Quell’omino riservato e meticoloso riuscì – mi limito a constatarlo – dove la sanità di una delle Regioni più ricche del nord Italia aveva totalmente fallito.
Ricordo che fra i farmaci del dott. Di Bella vi erano anche dei retinoidi, derivati della vitamina A di cui conoscevo la dicitura farmacologica per ragioni su cui non mi dilungo.
Ricordo pure che in seguito uno degli oppositori più titolati del povero medico modenese – Veronesi, se non vado errato – fece del sarcasmo sul fatto che la vitamina A non cura i tumori.
Dopo il fallimento (?) della cura Di Bella, Veronesi proclamò – in un discorso riportato sull’inserto salutistico de “la Repubblica” – che i retinoidi aprono nuove prospettive nella cura dei tumori (al seno, mi pare).
Tenni l’articolo per qualche tempo, poi come spesso avviene dovetti cestinarlo per ragioni di ordine e di spazio.
Certo che chiamarli “vitamina A” in un contesto denigratorio è un conto; definirli retinoidi in occasione di un’esternazione accademica un altro.
Ovviamente.
Tornando a noi, non so bene quanto tempo passò dalle cure di Di Bella alla morte dell’ing. R.; forse un anno, forse meno.
Ricordo solo che il vecchio amico, da una prostrazione di morte era progressivamente passato a camminare da solo con l’ausilio del bastone e che in casa si dilettava nell’esibire – come mi disse la moglie – la propria abilità nel muoversi persino senza necessità di sostegni artificiali.
Finì a terra, si ruppe un osso (il femore, mi pare) e nella disastrosa caduta si lacerò una vena.
Morì all’ospedale, dopo avere perso grandi quantitativi di sangue.
Qualche tempo dopo Di Bella finì piallato.
E concludo.
Non me ne voglia l’articolista, ma se essere di destra è un modo per dirsi uomini della tradizione cristiana, come asseriva di sé il monarchico Guareschi, sono pure io di destra, benché il termine non mi piaccia per nulla.
Ma lo stereotipo dell’uomo di destra sempre e necessariamente allineato ai dogmi della scienza ufficiale non mi convince affatto.
Credo più a Vannoni, con la sua aria da Barabba, che alla Cattaneo, anche perché alcune testimonianze a suo favore dovrebbero quantomeno indurre i suoi detrattori ad una maggior cautela.
Dei Nobel, poi, può essere saggio, dato il contesto di riferimento, diffidare: chi conosce anche solo un po’ la vanità degli accademici e degli uomini, in senso lato, di potere, sa quanto odio possa suscitare in loro l’homo novus.
Non dico che questo odio la sia la causa efficiente delle esternazioni contro Vannoni, ma non mi stupirei per nulla – ma proprio per nulla – se lo fosse.
Fra gli altri discorsi a vanvera, ho trovato anche quelli contro la sperimentazione sugli animali, tendenziosamente chiamata “vivisezione”. Vorrei sapere, da questi animalisti, come propongono di sperimentare l’efficacia e, prima ancora, l’innocuità di farmaci, terapie d’avanguardia, e, per citare il campo in cui ho lavorato per più di trent’anni, biomateriali. Su quelli contenenti il chitosano, un biopolimero tratto dal guscio dei crostacei, scrissi un paio d’anni fa, con l’aiuto delle mie collaboratrici, una corposa “review” su una rivista scientifica internazionale, in cui “facevamo il punto” sull’uso dei medesimi per la rigenerazione della cartilagine, dell’osso e dei nervi. Dopo anni di ricerche, per quanto riguarda l’osso, la pratica clinica era accertata solo per la chirurgia dentale; per la ricrescita dei nervi, l’unica applicazione nella chirurgia umana era un lavoro d’un gruppo cinese del 2008, sull’impianto d’una guida per la ricrescita dei nervo nel braccio d’un paziente, fatta tre anni prima, col ricupero, dopo tre anni, della funzione della mano. Nei tre anni successivi alla pubblicazione, niente di niente. I cinesi, si sa, fanno le cose “con molta riservatezza”, per usare un eufemismo; una “review” dello stesso gruppo del 2011, citava solo quel loro articolo, senza parlare di eventuali controlli a più lungo termine, né di applicazioni su altri pazienti. Nasce il sospetto che quella applicazione sia stata fatta “all’avventura”, col ragionamento “se funziona ben, se no si taglia il braccio”…
Non so, la faccenda discussa su questo sito è un po’ fuori del mio campo – non sono un medico, ma un chimico con conoscenze di biochimica – ma temo che il ministro Balduzzi abbia autorizzato una pratica di tipo “cinese”.
A proposito di sperimentazione sugli animali: ci fu, un po’ più di 70 anni fa, il capo politico di un paese europeo, convinto animalista, che vietò ufficialmente la sperimentazione medico-chirurgica sugli animali; ma, guarda strano, l’autorizzò, non ufficialmente, sugli ebrei rinchiusi nei Lager. Infatti, il paese europeo era la Germania, e il capo politico un certo Adolf Hitler. A condurre la sperimentazione c’era un medico, il dr. Josef Mengele.
Per chi volesse consultare la review, do qui i riferimenti:
Giulio D. Guerra, Niccoletta Barbani, Mariacristina Gagliardi, Elisabetta Rosellini, and Caterina Cristallini
Review Article
Chitosan-Based Macromolecular Biomaterials for the Regeneration of Chondroskeletal and Nerve Tissue
International Journal of Carbohydrate Chemistry
Volume 2011, Article ID 303708, 9 pages
doi:10.1155/2011/303708
Il “doi” dovrebe consentire facilmente una ricerca in rete.
Dimentica sempre che ci sono i calabresi e napoletani su cui poter sperimentare
LE IENE HANNO FATTO UNA FIGURA DI… A LIVELLO INTERNAZIONALE!
Bravo Dallapiccola. Ritorniamo a rispettare i malati, non illudiamoli con false promesse. Combattiamo decisamente la disinformazione saccente. La giurisprudenza civile deve essere impedita dal prendere in considerazione decisioni terapeutiche non regolamentate su base scientifica. Questa pretesa di compassione nasconde una anima nazista