
La preghiera del mattino
Gli sproloqui di La Russa e la storia usata (a sproposito) come un manganello

Sugli Stati generali Jacopo Tondelli dice: «Decisamente meno positivo, invece, è doversi confrontare ancora una volta, con le uscite da bar malfrequentato da relitti sanbabilini degli anni Settanta proferite naturalmente da Ignazio La Russa. Non facesse di mestiere il presidente del Senato, cioè la seconda carica dello Stato, potremmo alzare le spalle e dire: “Va beh, ma è La Russa, che cosa vi aspettate?”. Solo che di mestiere, adesso, non fa più il capo di una corrente nostalgica del fascismo in un partito pieno di ex fascisti, e non è più nemmeno l’uomo di fiducia di Salvatore Ligresti che taglia e cuce tra Roma e Milano, tra la consulenza legale e il lobbismo politico. Adesso in teoria ha proprio cambiato mestiere, e dovrebbe saperlo anche lui, che del suo “uomo di parte” ha fatto rivendicazione in un lungo discorso d’insediamento che sembrava pronunciato e scritto al più tardi nei primi anni Ottanta del Novecento e invece eravamo nell’autunno del 2023. Dimentico di questo, o forse solo fedele a una cultura politica che fa storicamente fatica ad accettare la Costituzione italiana nata dall’antifascismo, ha riscritto in maniera penosa uno degli episodi più importanti della storia della Resistenza, sfociato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Costretto a denti stretti, o digrignati, a scusarsi, il presidente del Senato ha rappresentato in materia plastica l’essenza della classe dirigente che rappresenta».
Tondelli ha molte ragioni nel descrivere la mancanza di stile da “presidente del Senato” di La Russa. Però la questione antifascista con cui abbiamo avuto a che fare in questi giorni va un po’ oltre il parlare talvolta a vanvera larussiano. Il poco compìto presidente di Palazzo Madama è intervenuto tra l’altro (scompostamente come al solito, con addirittura qualche tocco di insensatezza in più) a difesa di una presa di posizione di Giorgia Meloni sulla quale è bene concentrarsi: quando la premier dice che i tedeschi hanno con l’eccidio delle Fosse Ardeatine commesso una strage contro gli “italiani”, indica nelle truppe naziste l’invasore della nostra nazione e di fatto nei “repubblichini” gli esecutori degli ordini degli “invasori”. Così facendo esalta tra l’altro l’esigenza degli italiani (dai monarchici ai comunisti, dai carabinieri agli operai) di “resistere” all’invasore, e si collega quindi alle radici di quella che sarà la nostra Costituzione. Luciano Violante, uno dei più pacati commentatori della discussione sulle Fosse Ardeatine di queste settimane, chiede a Fratelli d’Italia di rivedere il loro passato. Ma ciò è appunto quello che ha fatto la Meloni (peraltro in questo senso in continuità con quello che aveva impostato Gianfranco Fini). Poi La Russa l’ha malamente difesa: la scompostezza delle posizioni larussiane richiederebbe le dimissioni del presidente del Senato? Astrattamente sì. Ma una certa reazione cieca e faziosa alle coraggiose posizioni meloniane chiede a tutti una pausa di riflessione. Per ora credo siano sufficienti le scuse di ’Gnazio, che sono di fatto anche un impegno a non parlare più a vanvera, pena – la prossima volta – inevitabili dimissioni.
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Su Huffington Post Italia Alfonso Raimo scrive: «La segretaria del Pd fiuta le difficoltà di Meloni e se ne avvantaggia: una maggioranza che un giorno sì e l’altro pure va a zonzo nel passato fascista per lei è una rendita di posizione. Già scalda i muscoli per la Liberazione: “Sarà un 25 aprile di lotta, una grande mobilitazione popolare contro chi vuole riscrivere la storia”».
Per comprendere il “recinto” dello scontro tra “fascisti e antifascisti su Marte” oggi in atto bisogna fare un passo indietro e riandare al 1956, quando Mario Scelba propose di sciogliere il Msi (come consentiva la Costituzione) e incontrò l’opposizione di Palmiro Togliatti, imperniata su due temi: certamente la preoccupazione che dopo il Msi si sciogliesse anche il Pci (così era avvenuto nella Germania federale con i comunisti tedeschi), anche se questa scelta era assai difficile in Italia; e (soprattutto) la preoccupazione che, se si fosse eliminato il partito della Fiamma, si sarebbe formato un più forte schieramento conservatore nella Dc, tale da diminuire in prospettiva la capacità di condizionamento dei comunisti. L’abilità di manovra togliattiana era, come al solito, sopraffina, ma concretamente rendeva incompiuta la democrazia italiana. Inoltre la tattica del Pci trovava una qualche sponda in una parte significativa delle classi dirigenti nazionali, che consideravano (e spesso ancora considerano) la contendibilità democratica del potere politico un disturbo, e questo sin dai tempi in cui parte rilevante della borghesia settentrionale osteggiava un Giovanni Giolitti che voleva far entrare compiutamente nello Stato cattolici e socialisti. Nella sinistra confusa del post ’92 questa eredità del passato, tesa a impedire la costituzione di una coerente formazione conservatrice, è rimasta nel Dna, come si è visto nello stile di opposizione a Silvio Berlusconi, a Matteo Salvini e oggi a Giorgia Meloni. Invece di costruire un’alternativa di governo, si è puntato essenzialmente sulla delegittimazione e quando possibile per vie non politiche.
E il “pericolo fascista” allora? È l’evocazione di questo pericolo appunto uno degli strumenti retorici impropri per evitare il confronto sulle questioni politiche attuali. Il fascismo è stato un prodotto della guerra civile europea iniziata nel 1914 e conclusa tra il 1989 (caduta del Muro di Berlino) e il 1991 (scioglimento dell’Unione Sovietica). Ci sono ancora pulsioni razziste, volgarmente reazionarie, arrogantemente prepotenti che vengono anche dalla tradizione fascista, ma non esistono le basi storico-sociali per proporre una dittatura organicamente fascista in una nazione europea (almeno finché non scoppierà una guerra disastrosa come del 1914-’18). Ci sono altri pericoli per la democrazia? Sicuramente, come al solito, ma non c’entrano con quelli di un’altra fase storica. Ecco perché, nel ricordare e celebrare le basi nella Resistenza della nostra Repubblica, dobbiamo cercare di evitare di usare la “storia” come un manganello, invece che come uno strumento per capire la realtà, distinguendo quella passata dall’attuale.
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Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Fatto sta che il rapporto tra Meloni e Draghi in realtà non sembra affatto essersi incrinato. I due si sarebbero sentiti al telefono e Meloni avrebbe spiegato al predecessore che le critiche non riguardano il suo lavoro, quanto l’atteggiamento dell’Ue nei confronti dell’Italia. Non solo: lo stesso ex premier sarebbe infastidito da chi sta cercando di utilizzarlo in chiave antigoverno. A chiudere la diatriba ci sono anche le parole che oggi riporta Francesco Verderami sul Corriere della Sera: “La premier si è fatta ormai le ossa – avrebbe detto une persona molto vicina a Draghi –. Adesso deve accelerare, sapendo che dovrà gestire le difficoltà nella sua maggioranza”. Insomma: benché le consigli di portare avanti “con calma” la mediazione con Bruxelles, senza cercare capri espiatori, Super Mario sarebbe fiducioso che alla fine Giorgia possa farcela a trovare un accordo con l’Europa, con cui avrebbe ottimi rapporti, e a portare a compimento il Pnrr».
Basta dare una rapida occhiata alle dichiarazioni di tanti bankitalisti e tanti economisti legati a Draghi per capire come certe cronache sulle rotture tra “Mario” e “Giorgia” siano super estremizzate. D’altra parte Super Mario è uno dei principali interlocutori di una Washington che tende a essere diffidente verso una Elly Schlein così condizionata dal quadrilatero “pechinese” (Massimo D’Alema–Romano Prodi–Giuseppe Conte–Beppe Grillo).
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Su First online si scrive: «Le elezioni in Finlandia si concludono con la sconfitta della premier Sanna Marin e la vittoria del centro destra. Balzo in avanti dell’ultradestra nazionalista ed euroscettica. Un risultato che non potrà non avere un impatto sugli equilibri in Europa. La Coalizione nazionale di Petteri Orpo dunque ha vinto le elezioni in Finlandia arrivando prima come percentuale (20,8 per cento) e come seggi (48). L’estrema destra antimigranti e anti-Ue, i Veri Finlandesi di Riikka Purra, arrivano secondi (20 per cento, 46 seggi), e i socialdemocratici della premier uscente Sanna Marin sono terzi (19,9 per cento, 43 seggi). Tutti hanno migliorato il proprio risultato e nessuno però è in grado di formare un governo: per la maggioranza nel parlamento monocamerale finnico occorrono 101 parlamentari sui 200 dell’assemblea».
La sconfitta di una sinistra guidata da una figura carismatica come Sanna Marin che garantiva ad Helsinki una presenza particolarmente incisiva sulla scena internazionale, dovrebbe far riflettere molto innanzi tutto i dirigenti e militanti del Pd. La sinistra in Occidente si trova di fronte al compito complesso di accettare la globalità senza lasciare allo sbando la propria base sociale (non di rado colpita da migrazioni non governate o dalla distruzione tecnologica dei posti di lavoro), di coniugare difesa ambientale e sviluppo, di trovare una sintesi tra libertà irrinunciabili e diritti che non possono non poggiare anche su una visione morale della società, di cercare un’armonia tra comunità tradizionali e istituzioni sovranazionali. Su molti di questi fronti, in una situazione così tempestosa come l’attuale, appare più facile trovare soluzioni conservatrici (peraltro queste, se si affidano solo ai sentimenti e non alle riforme come è avvenuto in Gran Bretagna, preparano la propria sconfitta) che a parole progressiste. In Portogallo i socialisti hanno fatto un buon lavoro su questi temi, i laburisti inglesi sembrano aver capito la lezione di questi anni, il povero Olaf Scholz arranca per trovare soluzioni. Dalla nostra in Italia l’improvvisata Elly Schelin sembra più che altro una Alice nella sinistra delle meraviglie.
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1 commento
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Caro Lodovico,
sai che i GAP erano piuttosto invisi al CNL e rispondevano solo al PCI e che quella azione criminosa ha meritato l’esecrazione di tutti, CNL compreso e PCI escluso. L’ho già chiesto a Ferrara, perché Rasella è un “affare di famiglia” la vostra. Cosa mi dici del fatto che nessuno del PCI (forse uno) sia stato tra le vittime delle Ardeatine, mentre lo sono stati 68 aderenti di Bandiera Rossa (trotzkisti, quindi nemici giurati degli stalinisti del PCI); 52 erano azionisti, delle formazioni Giustizia e Libertà: 30 del Centro Militare di Giuseppe Cordero di Montezemolo, che era a Rebibbia dal 25 gennaio (tre giorni dopo lo sbarco alleato ad Anzio) e che è stato diligentemente inserito nell’elenco delle vittime.
Cosa mi dici del fatto che non è stato inserito nell’elenco, guarda un po’, Antonello Trombadori, il capo dei GAP, quelli che hanno fatto la strage, e che era a Rebibbia dal 2 febbraio: la sera prima era stato avvertito di farsi venire un forte mal di testa e di ricoverarsi in infermeria…
Queste cose le ho apprese non da qualche sito di negazionisti ma da un libro di Ugo Finelli, uno che viene dalla sinistra socialista e che tu conosci bene, e che rimanda alla testimonianza di Massimo Caprara che, se non sbaglio, qualche titolo al riguardo ce l’aveva, essendo stato segretario di Palmiro Togliatti.
https://www.edizioniares.it/prodotto/la-resistenza-cancellata/
Però capisco: dire certe cose non si può, è meglio rifugiarsi nella metafisica del “fascismo male assoluto” piuttosto che fare seria ricostruzione storica che accerta i fatti e ne propone una lettura conseguente.