
Spagna, il governo è donna e non ne fa una giusta

A proposito di 8 marzo, soffitti di cristalli e “governo delle donne”, come è stato incensato fin dal 2018 quello di Pedro Sánchez (11 donne contro 6 uomini tutte in posti chiave): gli spagnoli stanno iniziando a innervosirsi e non poco.
La ministra e pasionaria delle pari opportunità Irene Montero, per esempio (una che ama accendere dibatti su «Esistono uomini e donne? Cosa vuol dire essere uomo e donna? Come si concettualizzano le teorie del sesso e del genere? Che livello di ormoni dobbiamo avere per essere considerati uomo o donna? Che misura di reggiseno dobbiamo avere per essere donna?») non ne sta azzeccando più una: l’ultima delle sue battaglie per l’uguaglianza l’ha vista denunciare a gran voce “maschilismo, stereotipi e ostacoli sessisti” che impediscono alle donne e ragazze spagnole di «dedicarsi allo studio o al lavoro in campo scientifico». Nonostante l’unico ostacolo sia rappresentato dal numero chiuso, Montero ha sfidato la politica a fare propria questa battaglia, impegnandosi in prima persona perché qualunque donna «di qualunque famiglia e quartiere» abbia d’ora in avanti accesso a corsi di studi scientifici. E per chiarire meglio il concetto, ci ha dedicato un video istituzionale rivolto alla nazione in occasione della giornata mondiale delle donne nella scienza lo scorso 11 febbraio.
Battaglie progressiste di retroguardia
È stato allora che scienziati e ingegneri di ambo i sessi hanno dovuto ricordare alla ministra che in Spagna le donne son liberissime di iscriversi alle facoltà che vogliono, che la Spagna è per l’Eurostat uno dei paesi in cui si realizza la più alta parità in campo scientifico e ingegneristico, dove le donne rappresentano il 49,3 per cento del settore, il terzo paese paese col più alto numero di scienziate d’Europa. Tutti dati attestati da studi recentissimi, che Montero ovviamente non ha mai preso in mano, e che le hanno attirato le accuse di vivere – lei sì – ancorata al passato e perfino di promuovere stereotipi sessisti a caso e a spese dei contribuenti: 541 milioni di euro stanziati per «un ministero completamente inutile che non sta lavorando a nulla».
Non è completamente vero: il 6 febbraio Montero ha annunciato che il suo ministero stava lavorando a una legge sulla libertà sessuale che avrebbe riconosciuto la mutilazione genitale femminile come una “forma di violenza sessista”. Peccato che una legge esiste già, e che il codice penale punisca tale orrenda barbarie dal 2003.
La consigliera “bambinaia” e il ministero “sala giochi”
Che la molto progressivamente aggiornata ministra che si batte per l’emancipazione viva un attimo fuori dal tempo e del soffitto di cristallo che si picca di sfondare è confermato dallo “scandalo bambinaia” che ha travolto Montero nei giorni successivi, un caso arrivato all’ufficio del procuratore anticorruzione.
Sul ministro pende infatti una denuncia per reati di prevaricazione e appropriazione indebita per avere assunto in qualità di sua consigliera un’assistente parlamentare di Unidos Podemos, Teresa Arévalo, per utilizzarla come “babysitter”, nonché per aver trasformato l’ufficio di segreteria del ministero in una “sala giochi” per i suoi figli avuti dal compagno Pablo Iglesias, vicepresidente di Sánchez. Secondo il segretario generale di Manos Limpias la consigliera non avrebbe alcun curriculum e requisito previsto dal suo inquadramento al ministero, dove percepisce uno stipendio pari a 51.946 euro lordi annui per fare la tata coi fondi pubblici.
Il ministro della parità affossa la parità con la legge trans
Un’altra gatta da pelare servita da Montero al governo è poi la famigerata Ley Trans che istituirebbe “l’autodeterminazione di genere”. È dalla nascita dell’esecutivo che la ministra si batte per l’approvazione di una nuova norma che permetta a chiunque si ritenga trans di modificare il proprio sesso all’anagrafe a prescindere da qualunque perizia medica o psicologica, e che non prevede alcun periodo di riflessione per accedere agli ormoni: basta la volontà e una autodichiarazione. E tanti saluti alla certezza giuridica, la tutela dei minori, la difesa degli spazi sicuri per le donne, gli sport femminili, le politiche per la parità, gli stessi diritti dei transessuali. Ovviamente contro Montero si sono scagliate le femministe, denunciando una norma che tra le altre cose «mette a rischio bambini e minori. Fare riferimento a un’infanzia trans e ai minori non è affatto progressista, ma politicamente reazionario e costitutivo di possibili abusi», denuncia una lettera aperta a Sánchez, scritta da otto femministe e firmata da quasi settemila spagnole.
La lotta nel fango tra delegate all’uguaglianza
Soprattutto, in prima linea contro la legge trans c’è Carmen Calvo, altro fiore all’occhiello del governo Psoe-Podemos, vicepresidente e ministro della presidenza, fino al 2020 al dicastero della parità finito a Montero. Carmen Calvo è una nota femminista radicale, alfiere di altre necessarie battaglie per l’uguaglianza, come quella condotta nel 2018 contro la Costituzione: scambiando la grammatica col machismo, Calvo si era impegnata ad adattare la Carta fondamentale al linguaggio inclusivista di genere «affinché il nostro cervello cessi di funzionare soltanto con stereotipi patriarcali», proponendo soluzioni super moderne come mettere “e” al posto della “o” e della “a”. O come la battaglia, grazie alla sua “delega alla Memoria democratica”, per sloggiare i monaci benedettini che da 70 anni vegliano sulla Valle dei Caduti e trasformare l’enorme mausoleo in un cimitero civile. Calvo ora sta bloccando l’iter della legge trans, bene. I suoi screzi con Montero aggiornano inoltre la saga del governo delle lotte nel fango tra donne, il più femminista di sempre.
Foto Ansa
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