«Siamo così disumanizzati che per la modesta pappatoria di oggi siamo disposti a dar via l’anima»

Di Aleksandr Solženicyn
27 Maggio 2015
Due scritti del grande scrittore russo su verità e menzogna. E sulla codardia di quelli che di fronte al potere «incurvano la schiena», aspettando di «vedere come va»

Sia Repubblica sia Avvenire riportano oggi due scritti inediti* di Aleksandr Solženicyn, contenuti in un libro che uscirà il 28 maggio (Il respiro della coscienza, Jaca Book pagg. 236 euro 20). A questo link trovate l’inedito pubblicato da Avvenire, un discorso del 1974 che richiama per alcuni versi lo splendido e celebre discorso pronunciato ad Harvard nel 1978 (se non l’avete mai letto, correte a leggerlo cliccando sul link).
Anche il testo su Repubblica meriterebbe di essere riproposto per intero. Un testo profetico con un attacco fulminante: «Ci siamo così irrimediabilmente disumanizzati che per la modesta pappatoria di oggi siamo disposti a dar via tutti i nostri princìpi, l’anima, tutti gli sforzi dei nostri predecessori e le opportunità dei nostri posteri — qualsiasi cosa pur di non arrecare turbamento alla nostra precaria esistenza. Non sappiamo più cosa siano l’orgoglio, la fermezza, un cuore fervido. Non ci spaventa nemmeno la morte nucleare, la terza guerra mondiale (ci sarà pure un buco dove nascondersi) — una sola cosa temiamo: di dover fare quei pochi passi che ci separano dal coraggio civico!».

Il testo da cui è tratto si intitola Vivere senza menzogna! e il grande scrittore premio Nobel russo conduce il suo ragionamento intorno al tema a lui caro di menzogna/violenza e verità. La menzogna, infatti, per attecchire ha bisogno della complicità di chi, pur non non essendo d’accordo, tace per convenienza o quieto vivere. Contro questa tendenza all’inazione si scaglia Solženicyn che, richiamando la rivoluzione dei “senza potere” di Václav Havel, conclude così il suo scritto:

Quel grande popolo d’Europa che abbiamo ingannato e tradito — il popolo cecoslovacco — non ci ha forse mostrato che un petto inerme può resistere anche ai carri armati se in esso batte un cuore degno? Sarà una via irta di ostacoli? — però la meno gravosa di quelle possibili. Una scelta non facile per il corpo — ma l’unica per l’anima. Una via non facile — tuttavia anche da noi ci sono persone, decine di persone, che da anni si attengono a questi criteri, vivono secondo verità. Non si tratta allora di avviarsi per primi su questa via ma di unirsi a chi l’ha già fatto! Quanto più numerosi e concordi saremo nell’intraprenderla, tanto più agevole e breve ci sembrerà! Se saremo migliaia, non potranno tenerci testa, neanche ci proveranno. Se diventeremo decine di migliaia, il nostro paese cambierà talmente da non riconoscerlo più.
Se invece ci facciamo vincere dalla paura, smettiamo almeno di lamentarci di quelli che ci toglierebbero anche l’aria per respirare — siamo noi stessi a farlo! Incurviamo ancor di più la schiena, aspettiamo di vedere come va, e i nostri amici biologi contribuiranno ad avvicinare il giorno in cui potranno leggerci nel pensiero e riprogrammare i nostri geni.
Se anche stavolta ci lasceremo vincere dalla paura vorrà dire che siamo delle nullità, che per noi non c’è nessuna speranza e che ci meritiamo il disprezzo di Puškin: «A che pro alla mandria della libertà i doni?… / Il loro sol retaggio da generazioni / Sono il giogo, la frusta ed i sonagli».

* In realtà, segnala oggi su Libero Antonio Socci, il testo presentato come inedito da Repubblica, non lo è affatto. Scrive il giornalista di Libero: «In effetti, l’inedito proposto da Repubblica era già stato pubblicato dalla Mondadori nel 1974, proprio con quello stesso titolo (e da quarant’anni si trova nella mia libreria). (…) Naturalmente, un infortunio del genere può capitare in qualsiasi giornale e non è giusto infierire. Ma in questo caso forse, più che di banale svista, si può parlare di episodio significativo che ha una sua logica e una sua storia. È assai probabile, infatti, che per la maggior parte dei giornalisti e degli intellettuali di sinistra i testi di Solgenitsyn si possano considerare degli inediti, nel senso che non sono mai stati letti o considerati da loro: Solgenitsyn non è mai stato un autore del salottismo di sinistra, ma l’esatto contrario».

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5 commenti

  1. Corraider

    Aleksandr Solženicyn, da quell’uomo libero che era, sfidò il piu inviolabile dei tabù del nostro tempo: la parte avuta dagli ebrei nell’apparato sovietico. Tema scottante. Finora, è stato un vizio da antisemiti quello di additare gli ebrei ai vertici del PCUS: da Trotzkij (nato Bronstein) a Kamenev (Rosenfeld), da Zinoviev a Sverdlov (il massacratore della famiglia dello Zar) a Iagoda, capo del NKVD (futuro Kgb) e fondatore dell’universo concentrazionario comunista, fino a Kaganovic, cognato di Stalin. Solgenitsin sfida l’accusa di antisemitismo (già da tempo ventilata contro di lui) scavando in un’immensa documentazione, quasi tutta di origine ebraica, che dimostra di peggio: non solo – come scrive il poeta israelita Nahum Korjavin – che «gli ebrei hanno preso parte alla rivoluzione in numero anormalmente elevato», ma che la comunità giudaica russa ha costituito l’apparato burocratico e poliziesco del sistema sovietico. Come scrive un altro ebreo onesto, G. Aronson: «Non si può tacere l’azione dei tanti ebrei che hanno operato come agenti subalterni della dittatura, causando immensi mali alla popolazione».

    1. Raider

      Ora, il multinick storpia e falsifica i nickname altrui, non solo i propri, come fa con la storia, tutta la storia che si può intorbidare: e lo fa con la stessa disinvoltura mistificatoria, con la stessa scioltezza di chi c’è nato, ma si è sempre scrupolosamente tenuto in esercizio. Sappiamo anche come i comunisti dicano che furono gli ebrei a ordire trame contro – contro: non solo a favore – la rivoluzione bolscevica: e Trockij, Kamenev, ecc…, ebrei, furono eliminati senza esitazioni: e in fondo, gli “eccessi” di Stalin – come quelli di Hitler: ebreo pure lui! -, fra cui le campagne anti-ebraiche furono colpa degli ebrei. La logica è incompatibile con le circonvoluzioni complottistiche. Con con molte altre cose.
      L’articolo riporta uno scritto di Solzhenycin: temi alti, parole coraggiose, sentimenti nobili. No, è troppo. Così, ci ha pensato il solito paranoide complottista anti-semita riciclato in anti-sionista a rimettere le cose a posto, per la felicità di nazisti, comunisti e islamici (gli stessi islamici che al corteo del 25 aprile di quest’anno, come esempio di libertà, Resistenza e doppiezza islamica, hanno costretto la Brigata Ebraica, che combattè con gli Alleati, a abbandonare il corteo, perché la Resistenza l’avevano fatto loro: combattendo in 100.000 per le SS.)

    2. Cisco

      @Corraider

      Che ci fossero stati – e che ci siano ancora – dei comunisti di origine ebraica è la scoperta dell’acqua calda. Così come il fatto che ci siano degli ebrei anticomunisti e critici con gli ebrei comunisti (come l’ “onesto Aronson” citato): ma allora, se come tra tutti i popoli ci sono onesti e disonesti, per quale motivo imputare i crimini del comunismo agli ebrei in quanto tali e non in quanto comunisti, senza contare che di comunisti ce ne sono stati ancora di più tra i cristiani? Che sia la solita paranoia complottista antigiudaica? Ebbene sì.

  2. andrea udt

    Arcipelago gulag…

    Ho adorato quel libro. Ancora oggi, 40enne, ho ben viva l’impressione che fece su di me quando da ragazzo lo lessi la prima volta.

  3. Raider

    Proprio in questi giorni, sto rileggendo “Arcipelago Gulag”. Solzhenycin è fra i grandi del Novecento e la sua testimonianza è profetica. Ma nel suo caso, come nel caso di Pasternak e di altri, anche non cristiani, c’è da chiedersi quanto siano comprensibili, anzi, leggibili in un contesto dominato da una mutazione antropologica che, fra l’altro, mette sotto accusa i classici e li riscrive, ne emenda e epura i testi, ne umilia la grandezza. Come nell’Unione Sovietica e nella Cina di Mao.
    Grazie a “Tempi.it” – ho smesso anni fa di leggere sia “La Repubblica” che “Avvenire”: e grazie anche a entrambi, sebbene non mi spieghi che c’entri con Solzhenicyn “La Repubblica”, organo non ufficiale della Cei laica – per essersi ricordato di un autore, ormai, così ‘scomodo”.

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