
Smontare “il Sistema” che corrompe Csm e giustizia. Se non ora, quando?

Cronache dalla quarantena bis / 8
Giusto ieri l’avvocato Giuseppe Zola invitava su queste colonne a non far cadere nell’oblio la confessione dell’ex vertice della magistratura Luca Palamara, sulla grave condizione di corruzione politico-sindacale e riduzione a interessi privati che delegittima la funzione giudiziaria in Italia.
Ci aveva giusto lasciati allibiti una storia che ha dell’incredibile descritta sotto il titolo di Repubblica “Giudice taglia le gomme a una collega ma viene promosso dal Csm”. Ma vin rendete conto? Ministro della Giustizia, adesso Lei non deve mandare gli ispettori al tribunale di Pisa dove insiste a far carriera codesto giudice. Gli ispettori deve mandarli direttamente al Csm.
Perché se nessun cittadino vorrebbe trovarsi mai nei panni di colui che finisse processato sotto codesto giudice, non Le sembra più grave – molto più grave – che anche in casi così incredibili gli eletti nel massimo organo costituzionale di autogoverno (???) della magistratura facciano muro a riconoscere una realtà che dice già tutto da sé? Non è forse questo caso un esempio da brividi di cosa comporti per l’esercizio concreto della giustizia il cosiddetto dai sociologi “familismo corporativo amorale”?
Il programma e il contesto
Coincidenza vuole che giusto nei giorni scorsi, il 18 marzo, il ministro Marta Cartabia sia andata in audizione in commissione Senato a presentare le sue linee programmatiche sulla giustizia. Un approccio molto diligente e intelligente. Che in premessa ha la sincerità di ammettere che non ci sono le condizioni di «contesto» (pandemico e politico) per una grande e profonda riforma della giustizia.
Tuttavia, qualunque cittadino italiano minimamente avvertito di fatti come quelli a cui si accennava in apertura, si chiederebbe: ma può un governo di “unità nazionale” ricacciare sotto il tappetino il disastro macroscopico causato dal “Sistema” denunciato dal suo ex re Luca Palamara? E può un ministro della Giustizia assistere senza colpo ferire alle pessime pratiche di un organo di autogoverno della magistratura, il Csm, che è pure di rango costituzionale?
Un bel passo avanti
È indubbiamente un passo avanti, rispetto al grillino Bonafede e al piddino Orlando – forse la coppia di ministri più scialbi della storia del dicastero di via Arenula – l’arrivo di una donna preparata, dal curriculum stratosferico e molto stimata da Sergio Mattarella dopo che fu il due volte presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a nominarla in Corte costituzionale. E così – bisogna dargliene atto – parte assolutamente bene il ministro con queste sue linee di programma che, oltre le 20 mila nuove assunzioni finanziate con il Recovery Fund europeo per andare a coprire il buco nero della giurisdizione civilistica, propone interventi che si capisce nascono da un’attenta riflessione sulla realtà piuttosto che dagli scolapasta dell’Elevato o dal timore azzimato di infastidire i poteri ai piani alti della corporazione giudiziaria.
Per la prima volta da non si ricorda quanti anni abbiamo ministro della Giustizia una donna sciolta da interessi di partito e di corporazione. Tanto indipendente, anche rispetto ai giustizialismi di destra e di sinistra, che si propone addirittura «il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato», di «mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa» e «il rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».
Fermare le “porte girevoli”
Buona, mi pare, anche l’idea di «un rinnovo parziale del Csm». «Ogni due anni – suggerisce Cartabia – potrebbero essere rinnovati la metà dei laici e la metà dei togati». Diverse sono le altre ottime idee per prevenire l’ingolfamento dei tribunali e – lato «giustizia preventiva e consensuale» – la risoluzione dei conflitti in via extragiudiziale. E molto dettagliati sono gli interventi previsti per il supporto dei giudici (“Ufficio per il processo”, sorta di collegio di collaboratori per contribuire ad affinare con dati e analisi le decisioni del giudice) e la riorganizzazione degli uffici giudiziari (incremento del lavoro di formazione specifica sulle figure apicali, messa a rete delle best practices, strutturazione della giurisdizione anche nei suoi aspetti di “ingegneria” gestionale).
Le linee programmatiche non sfiorano però la questione delle cosiddette “porte girevoli” tra magistratura e politica. Faccenda spinosa per i tanti Michele Emiliano e Gianrico Carofiglio prestati ai partiti pur rimanendo magistrati. Perciò Cartabia non entra nel merito dell’orrore istituzionale per cui, dato un magistrato della Dda che ha in mano dossier e dati sensibili su cittadini e territorio in cui opera, si mette in aspettativa, corre alle elezioni, siede tra gli scranni parlamentari di un certo partito politico e poi – ecco le “porte girevoli” – torna a fare il pm e magari indaga pure l’avversario politico di quando era parlamentare.
Una priorità per Draghi e Mattarella
Insomma nel programma del ministro non c’è nulla dei temi sollevati dal Sistema e da un Csm controllato da chi dovrebbe essere sotto controllo (e che poi magari promuove giudici come quello sentenziato definitivo che girava con la lama in tasca a tagliar gomme di una sua collega). Ma le ragioni di questo silenzio e disimpegno sulle ferite più profonde che infettano la Giustizia in Italia, il ministro le esprime in tutta chiarezza e onestà intellettuale nelle sue premesse: «Sarebbe sleale impegnarsi a delineare programmi inattuabili… cercheremo di affrontare alcuni problemi, i problemi più urgenti e improcrastinabili». Laddove per altro la stessa Cartabia auspica – ed è bello sentirlo enfatizzato da un ministro della Repubblica – che «il Parlamento deve essere, deve tornare ad essere, centrale in ogni processo di riforma».
Dunque, campa cavallo, e se va bene tutto è rinviato al parlamento che uscirà dalle elezioni del 2023? Sembrerebbe così. Ma sarebbe un peccato. Non è ovviamente questione di un ministro. Ma dev’essere senz’altro uno dei problemi seri che Mario Draghi in combinato disposto con il Quirinale e la Corte costituzionale dovrebbero finalmente e seriamente porsi. O vi sembra una buona idea che i vertici dello Stato continuino a buttare la palla fuori campo nella speranza che le cose si aggiustino da sé? O peggio: che a far buche e a ricoprirle si fa prima che a impedire che si creino?
Come sfruttare l’unità nazionale
Perché quando qualcosa comincia a star male dalla testa – e sono quanti anni, Sir? – poi il male di diffonde e devasta tutto il corpo (e torniamo di nuovo all’incipit di questo articolo). È quello che è successo e continua a succedere in Italia. Perciò, vogliamo sperare che lo Spirito Santo illumini le menti dei supremi vertici dello Stato, affinché colgano l’opportunità del governo di unità nazionale per convocare una bicamerale per le riforme costituzionali, lo strumento democratico più lineare che c’è.
Bicamerale che tentò di mettere in campo addirittura il comunista D’Alema con l’appoggio dell’anticomunista Berlusconi venticinque anni fa. E che fu fatta naufragare da quella torma orribili forcaioli imparentati con l’estero e con i vertici dell’Anm di quell’epoca.
È comprensibile che un ministro da solo come solo un primo ministro (vedi Renzi) non possano mettere mano al disastro che ci portiamo dietro da trent’anni. Però se Parlamento, governo e Quirinale non sfruttano il biennio politico bianco, di indispensabile unità nazionale, come lo sconfiggiamo il Covid di uno Stato fuori dai binari del diritto, malato di familismo corporativo amorale? Se non ora, quando?
Foto Ansa
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