I siti Unesco della Siria in rovina a causa della guerra, dei terroristi e dei predoni. «I danni sono inestimabili»

Di Leone Grotti
29 Agosto 2014
Intervista ai direttori delle Antichità nelle provincie siriane di Aleppo, Idlib e Qamishli: «Perdite incalcolabili. Non possiamo difendere i nostri siti archeologici, siamo preoccupati al 100 per cento»

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Rimini. La cittadella di Aleppo è stata inserita tra i siti patrimonio dell’umanità dell’Unesco nel 1986. Tra i fiori all’occhiello c’era la moschea Umayyad (foto a destra), costruita nell’ottavo secolo e restaurata nell’undicesimo. Quella moschea oggi è un cumulo di macerie e sono pochi i muri rimasti in piedi. «Le azioni militari colpiscono i nostri siti archeologici, i nostri musei, i nostri monumenti come il Suk Medina (foto in alto), le nostre chiese e moschee. Tutto il nostro immenso patrimonio culturale», dichiara a tempi.it Khaled Masri, direttore delle Antichità di Aleppo, la seconda città più importante della Siria.

«DANNI INESTIMABILI». La situazione è così grave che «non è neanche possibile fare una stima di quanto è andato distrutto, perché non possiamo raggiungere molte aree dove si combatte e quelle occupate dai ribelli armati. Il danno però è enorme – continua – perché i principali monumenti di Aleppo sono andati distrutti». Oltre alle bombe che cadono sugli edifici e ai terroristi che volontariamente demoliscono i simboli religiosi non appartenenti alla propria setta di riferimento, c’è la piaga rappresentata da chi depreda i siti archeologici: «Mentre i pezzi archeologici presenti nei musei sono in salvo, non riusciamo ad impedire gli scavi illegali di gruppi che rubano manufatti e li vendono fuori dalla Siria, anche grazie ai nostri paesi confinanti che li lasciano passare».

«PERDITA INCALCOLABILE». La situazione descritta da Masri non riguarda solo Aleppo, ma un po’ tutta la Siria. In particolare la provincia di Idlib: «Prima della guerra i nostri reperti erano perfettamente conservati», afferma a tempi.it Ghazi Alolo, direttore delle antichità di Idlib. «Oggi i musei sono parzialmente al sicuro ma non riusciamo a controllare gran parte degli scavi. Moltissimi danni hanno subito in particolare i siti sulla lista dell’Unesco».
A rubare i reperti «sono bande specializzate che entrano in Siria approfittando della guerra e vengono aiutati da qualcuno all’interno. Solo nella nostra provincia ci sono più di mille tra monumenti e siti archeologici: decine di questi sono andati distrutti e il danno subito è incalcolabile, perché si tratta di manufatti dal valore inestimabile».

suliaman-elias-siria-qamishli«NON POSSIAMO FARE NIENTE». Anche a Qamishli, provincia al confine con Turchia e Iraq, la situazione è drammatica: «Non abbiamo più il controllo dei siti che si trovano a sud, al confine con l’Iraq», spiega Elias Suleiman (foto a fianco) a tempi.it. «Non sappiamo cosa sta succedendo perché i siti sono in mano ai ribelli armati. Il 35 per cento di tutti i siti non è più sotto il nostro controllo e almeno il 5 per cento è andato distrutto, anche se non è possibile fare stime esatte».
Per salvare il patrimonio culturale della Siria, uno dei più grandi al mondo, nessuno ha la ricetta: «Bisogna spostare la guerra da questi luoghi e questa è una responsabilità di tutti. Le comunità locali devono aiutare e i paesi stranieri non possono permettere che i manufatti rubati passino dalle loro frontiere», afferma Masri. Per il resto, si può fare poco: «Non possiamo difendere i nostri siti archeologici purtroppo – ammette Suleiman -. L’unica cosa che possiamo davvero fare è preoccuparci. E noi lo siamo al 100 per cento».

@LeoneGrotti

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