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Aveva 13 anni Riffat Arif quando scoprì il vero significato della parola “umiliazione”. Era il 1997, si trovava in classe insieme ai suoi compagni nell’unica scuola di un povero villaggio alla periferia di Gujranwala, nel Punjab, una delle aree più arretrate del Pakistan. L’insegnante si era assentata e lei, per scherzare, da ragazzina vivace e intraprendente qual era, si alzò, si sedette alla cattedra e giocò a fare la maestra. «Come osi prendere il mio posto?», gridò l’insegnante una volta rientrata in classe. E prima che Riffat potesse discolparsi, la professoressa la prese per i capelli e le sbatté violentemente la testa contro la cattedra. Poi furono pugni, bastonate e insulti con parole così offensive «che non potrei ripeterle».
Alcune delle sue compagne assistevano alla scena terrorizzate, altre compiaciute. Alla fine della giornata, tutti ridevano di lei e indicandola la schernivano: «Ti è bastata la lezione? Prova di nuovo a fare l’insegnante». Riffat sapeva perché veniva tra...
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