
Aborto e Orban. La sinistra alla frutta attacca Meloni

Ho letto che Emma Bonino ha organizzato una manifestazione a Roma dal titolo “Aborto, l’Italia resta libera?” per attaccare Giorgia Meloni. È la solita solfa: viva la pillola RU486, ci sono pochi medici obiettori, con la Meloni al governo nessuno potrà più abortire…
Germana Ricciardi
La Bonino ha addirittura proposto che ci sia un numero garantito di medici non obiettori in ogni struttura sanitaria. Che significa un’altra cosa: tra un medico obiettore e uno non obiettore va dato il posto al secondo, con tanti saluti alla “libertà di coscienza” garantita dalla legge stessa.
Questo attacco alla Meloni a una settimana dal voto significa solo che la sinistra è alla frutta e sa di perdere. Enrico Letta ha impostato tutta la sua campagna elettorale (ma direi di più: tutta la sua segreteria) su temi ideologici: fascismo e diritti civili. Sa che la sinistra non vincerà, cerca di compattare almeno i suoi.
Meloni lo ha ribadito cento volte: «Non abolirò la legge 194, non la modificherò nemmeno, voglio solo dare l’opportunità alle donne di scegliere». Il paradosso è questo: è molto più pro 194 Meloni che gli emmabonino abortisti, perché la legge che regola l’interruzione di gravidanza, in teoria, prevede già quello che vorrebbe la leader di Fdi (Articolo 5: «rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di mettere [la donna] in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto»). Solo che è dal 1978 che facciamo finta di non saperlo.
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Nessuno scrive quali siano questi fantomatici standard e norme democratici. Ma l’unica notizia che passa è che l’Ungheria non ha la patente democratica. A Rainews24 stamattina, durante la rassegna stampa, si parlava solo di politiche familiari e antigender: se sono questi i motivi, viva l’Ungheria e abbasso l’Unione Europea. Non ricordo neppure carri armati ungheresi in giro per il mondo dopo il crollo del Muro né, per dirne una di attualità, in predicato di sbarcare a Taiwan.
Marco Zappa
Caro Marco, sull’Ungheria si fa un calderone di tre diverse questioni. La prima riguarda gli standard europei, la seconda le leggi ungheresi sui cosiddetti “nuovi diritti”, la terza l’ambigua posizione del Paese di Viktor Orban sull’invasione russa in Ucraina.
Sugli standard democratici ungheresi prometto che Tempi ne parlerà in un prossimo articolo perché è argomento che non si può trattare in poche righe. Anche perché, se non ci fermiamo ai titoli ma andiamo a leggere le cronache dei quotidiani, scopriamo che nei confronti dell’Ungheria la Commissione Europea «ha puntato il dito sulle procedure d’appalto, sul sistema anti-corruzione e sulla scarsità di interventi per contrastare i conflitti d’interesse».
Se l’Europa farà quel che ha promesso, taglierà un terzo dell’intera dotazione settennale dei fondi di coesione destinati a Budapest (cioè 7,5 miliardi di euro). Non è un caso che, subito, l’Ungheria si sia affrettata a rassicurare la Commissione che approverà velocemente 17 provvedimenti per non perdere i suddetti fondi.
Ma, appunto, non è di questo che si parla, di sicuro soprattutto adesso, in campagna elettorale, dove si attacca Orban – un “folle cristianista” rispetto agli illuminati e civili emmabonino europei – per attaccare le posizioni pro life di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Ma a questo proposito basta ricordare che Orban è un presidente democraticamente eletto di un Paese sovrano, al pari di Emmanuel Macron e Olaf Scholz. O il diritto all’autodeterminazione dei popoli vale solo se si eleggono dei presidenti fotocopia di quello francese e tedesco?
In realtà, se guardassimo alla vicenda non solo con occhi italiani ci accorgeremmo che per la Ue non sono questi i temi a pesare maggiormente in questo momento. Ieri, la Stampa, ricostruendo i meccanismi che vincolano l’erogazione dei fondi al rispetto dello Stato di diritto, ha fatto notare le comuni difficoltà di Polonia e Ungheria che, però, solo per la prima sono state “magicamente” superate. Perché? Perché «la Polonia ha sostenuto tutte le mosse dell’Unione europea e ha accolto un gran numero di rifugiati, mentre l’Ungheria ha cercato di rallentare l’adozione delle sanzioni e si è opposta all’invio di armi a Kiev». È la stessa analisi che ha fatto Giulio Tremonti sempre sulla Stampa: «Il problema dell’Ungheria non è il suo Dna democratico, ma i suoi rapporti con la Russia».
Come abbiamo già rilevato, è questo oggi il vero tema. La Polonia è passata in un battibaleno dalla parte dei “buoni” e “democratici” grazie alla sua ferma opposizione a Vladimir Putin e per la generosa accoglienza dei profughi ucraini. L’aborto, i diritti lgbt, il gender… sono tutti diventati “standard” di second’ordine.
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