Simonetta Matone «omofoba» per aver firmato un appello del CS Livatino

Di Redazione
26 Marzo 2021
Le associazioni Lgbt contro l'Università Sapienza di Roma per la nomina a consigliera di Simonetta Matone. Un "acconto" della legge Zan
Siomonetta Matone, giudice Tribunale dei minori di Roma

Due giorni fa la Rettrice dell’Università La Sapienza Antonella Polimeni ha nominato la d.ssa Simonetta Matone (attualmente sostituto procuratore generale alla Corte di Appello di Roma) Consigliera di fiducia dell’Ateneo: in base al Codice di condotta nella lotta contro le molestie sessuali del gennaio 2021, questa figura fornisce consulenza e assistenza alle vittime e contribuisce alla soluzione dei casi che le vengono sottoposti.

Associazioni di area Lgbt+ hanno diffuso una nota con cui definiscono la cons. Matone “nota da sempre per le posizioni omofobe”. Prova certa e unica del crimine di “omofobia” è la firma da lei apposta all’appello del gennaio 2016 del Centro studi Livatino, critico nei confronto del ddl Cirinnà, che nel maggio successivo sarebbe stato approvato dal Parlamento. Per questo le associazioni Lgbt+ chiedono che “la Rettrice Polimeni riveda al più presto la sua decisione”.

Il curriculum di Matone

È sufficiente una rapida lettura del cv della d.ssa Matone per constatare come l’intera sua vita sia stata spesa al servizio dei diritti, dall’iniziale esperienza nell’amministrazione penitenziaria alle varie funzioni giudiziarie svolte, dal Tribunale di sorveglianza agli Uffici minorili, per non dire degli incarichi fuori ruolo, per es. quale capo di Gabinetto del ministero delle Pari opportunità.

Come Centro studi Livatino sfidiamo chiunque abbia un briciolo di obiettività a individuare un solo passaggio omofobo nel nostro appello, a suo tempo sottoscritto da 321 giuristi fra magistrati, avvocati e docenti di diritto. Riserviamo di procedere per le vie legali nei confronti di chi ha usato quella qualifica verso di noi.

Un acconto del ddl Zan

È espressione di intolleranza marchiare di “omofobia” una persona solo perché ha condiviso una posizione esposta civilmente, allo scopo di escluderla da responsabilità istituzionali. La medesima intolleranza preme per trasformarsi in norme di legge con il varo del c.d. testo Zan. E vi è perfino qualche leader di partito per il quale “prioritario” mandare davanti al giudice, poi in carcere, chi si limita a esprimere una opinione.

Ringraziamo le associazioni Lgbt+ per averlo reso così evidente.

Foto Ansaarticolo tratto dal Centro Studi Livatino

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