Siamo popolo non dipietrini

Di Emanuele Boffi
14 Novembre 2002
San Giuliano, due settimane dopo. Nei Tg la quinta notizia, sulla stampa solo la coda delle polemiche su quest’Italia che non va. E nella tendopoli Di Pietro sprona ad essere “propulsivi”

Dov’era Dio mentre tutto questo accadeva?» si è chiesto Eugenio Scalfari (Repubblica, 3.11.02). Era nell’alto dei cieli, motore immobile che non si cura delle vicende umane, come sembra suggerire Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose (Repubblica, 4.11.02), o era anche Lui, il 31 ottobre, fra le 26 piccole vittime della scuola “Francesco Iovine”?
Buuum!
San Giuliano è un paese di mille anime che si arrampica sulle colline circondato da uliveti. Qui se la passavano male già prima del terremoto. Scorrendo l’elenco delle attività economiche svolte dai componenti del piccolo centro si ritrovano sempre le medesime professioni: muratore, commerciante, contadino; muratore, commerciante, contadino. Molto spesso le tre professioni venivano a coincidere. In un paese fatto prevalentemente di anziani (come in altre zone del Sud, anche qui la gente tende in gioventù a trasferirsi in zone più ricche) la regola numero uno è “arrangiarsi”. Sono in molti a fare la “settimana” in Emilia Romagna. Partono il lunedì, lavorano come muratori fino al venerdì sera e tornano nel fine settimana. Dicono proprio “fine settimana” e non “week-end”. Perché quando si torna non è per svago ma per andare nei campi dove c’è chi ha quattro galline, chi un terreno con qualche ulivo, chi qualche “affaruccio” con cui sbarcare il lunario. In paese rimanevano gli anziani e i bambini. E così è stato anche quel 31 ottobre. «Fortunatamente – ma la pronunciano con la morte nel cuore questa parola – quando è arrivata la scossa in molti erano sulle colline». Nunzio ha compiuto 76 anni proprio il 31 ottobre. Questo il suo racconto di quel giorno (riporto quello che sono riuscito a intendere perché Nunzio si è espresso in dialetto e certe espressioni – mi ha riferito il figlio, che faceva da interprete – sono intraducibili): «quando è arrivata la scossa ero a curare le mie bestie e a raccogliere le olive. Buuum! Madonna mia, che succede? Che succede Salvatò? – ho chiesto al mio compare. Buuum! Madonna mia, il terremoto! E ho visto dall’alto della collina, la scuola che veniva giù. Salvatò, corriamo in paese, qui è il finimondo. E che mi dice Salvatò? “No, io rimango che devo finire la raccolta”. Ma che dici Salvatò? E son corso giù, a rotta di collo, al paesello».

Nunzio e le ciabatte della moglie
«Mio padre ha la testa dura» racconta Antonio, il figlio di Nunzio. «Non vuole andare a dormire a Campomarino», il centro sulla costa dove sono state, per ora, ospitate 686 persone. Nella tendopoli, allestita dalla protezione civile sul campo di calcio del paese, ora dormono 217 persone, 140 nelle tende e 77 nelle roulotte. Ma, da qualche giorno, le temperature si sono fatte più rigide. Già verso le 16:00 inizia a fare freddo, freddissimo. Per questo, piano piano, la gente si convince che è meglio accettare di spostarsi nei residence sulla costa. Ma non così Nunzio che «nell’emergenza è abituato a vivere – racconta Antonio. Mio padre a vent’anni partì per la Germania, ha passato una vita là, a lavorare come muratore dormendo nelle baracche. Da lassù mandava i soldi quaggiù in Molise, a mia madre. Con i risparmi di una vita si è costruito una casa a San Giuliano; una bella casa: 300 metri quadrati con garage. Mio padre non ne vuol sapere di stare lontano dalle tende. Questo è il suo paese, la sua gente. E così tutte le notti le passa qui, dormendo al freddo e al gelo». Oggi Nunzio si lamenta perché la Protezione Civile ha dichiarato la sua casa inagibile e non può tornare per raccoglire i suoi “quattro stracci” sepolti sotto le macerie. Nunzio, come tanti sangiulianesi, si reca quotidianamente all’entrata del paese dove i pompieri faticano ad organizzare il recupero dei beni. C’è chi aspetta anche per tre ore, poi, finalmente, gli viene consegnato uno scatolone e un elmetto, viene accompagnato dai pompieri a casa sua, entra, riempie la scatola e torna alla tendopoli. Ma non per tutti è così, in certe case proprio non si può entrare. Nunzio, l’altro giorno, era contento. Non si sa come, ha recuperato le ciabatte della moglie.

Di chi è la colpa?
Oggi la scuola “Francesco Iovine” appare così: un sasso, un altro sasso, un altro sasso ancora. Un ammasso, dietro un cancello di ferro tutto storto, di detriti. I pompieri raccontano che i nove bambini di prima elementare sono stati trovati tutti con le dita intrecciate sopra la testa. Che è successo? «Le pareti hanno tremato, il soffitto è crollato». Sulle cause del crollo, tot capita tot sententiae. La polemica che è scoppiata sui giornali, l’Unità che ha dato la colpa a Berlusconi, Giorgio Bocca alla società (“La caccia al colpevole nell’Italia degli abusi”, la Repubblica, 5.11.02), il gran parlare che si è fatto da parte di esperti (e non) sul valore della prevenzione, qui non interessa a nessuno. «I primi giorni dopo il crollo qualcuno ha indicato dei colpevoli» raccontano in paese, «ma, oggi, non più. C’è spazio solo per il dolore». Rassegnazione, disfattismo o desiderio di dimenticare tutto in fretta? Non è facile individuare un sentimento comune. Non è facile dire: “la posizione dei sangiulianesi è questa”. Qui si è ancora in emergenza, anche i sentimenti, i pensieri e le parole della gente sono in emergenza. Si mischia rabbia, sconforto, paura che la terra torni a tremare, speranza, dolore. Nella tendopoli si aggirano con fare spettrale tra le tende, vivendo in un “non paese” che è diventato il paese, a duecento metri dal paese che non è più “il paese”.

Di Pietro: spremere mamma Stato
Di aiuti ne sono arrivati tanti. Nella tendopoli di San Giuliano ogni giorno giungono camion stracolmi di ogni tipo di generi alimentari, vestiti, giochi per bambini. Arrivano da tutta Italia e da tutto il mondo (soprattutto da Germania, Canada e Stati Uniti, le tre terre di emigrazione molisana. «Ci sono più molisani a Montreal che in tutta la regione» dicono da queste parti). Gli uomini della Protezione Civile e delle Misericordie hanno il loro bel da fare a smistare, organizzare, trovare un posto per tutti i generi di prima necessità che giungono al campo sportivo. Ce n’è un gran bisogno. Nicola (il nome è fittizio), un ragazzo che era in casa nel momento della scossa, ha fatto appena in tempo a scappare. Tutto quel che gli è rimasto è quello che aveva addosso in quel momento. Ha vissuto quattro giorni in maglietta, solo ultimamente gli sono stati consegnati degli indumenti con cui cambiarsi. «C’è stata una grande gara di solidarietà – racconta un volontario – ma di carità se ne è vista poca. Il giorno dopo il terremoto è arrivata una squadra di calcio che voleva assolutamente organizzare una partita in favore dei terremotati. “Ma dove volete giocare?” abbiamo chiesto loro. “Non vedete che situazione?”. Ma non volevano capire: “Abbiamo fatto questo viaggio per giocare a pallone con i bambini di san Giuliano. Non ce ne andremo senza aver giocato”». Altri raccontano di quel camion arrivato alle 5 del pomeriggio con generi alimentari da consumarsi in giornata (e quindi inservibili), di una jeep carica di santini di Padre Pio, di cantanti in cerca di un palco su cui suonare. Sono passati di qui anche diverse autorità politiche. Fra i tanti anche l’ex Pm e senatore Antonio Di Pietro. Qui il leader dell’Italia dei Valori è di casa, tanto che ci si rivolge a lui non con un ossequioso “Senatore Di Pietro, mi scusi…” ma con un affettuoso “Antò, stamme a sentì”. A Di Pietro va reso merito di essere stato uno dei primi a capire che non era il caso di rinfocolare le polemiche («È il momento del dolore» dichiarò mentre sui giornali mentre si puntava il dito su presunti colpevoli) e di essere affettivamente legato a questa che è la sua terra. Ma perché sabato 11 novembre a mezzogiorno è venuto in Tendopoli con l’avvocato Salvatore Ligotti? «Bisogna essere “propulsivi”» diceva (probabilmente intendeva “propositivi”). E per essere il primo ad essere “propulsivo” Di Pietro ha messo a disposizione un proprio pool di esperti affinché i sangiulianesi potessero costituirsi parte offesa nei confronti dello Stato. È di questo che ha bisogno la sua gente? Perché Di Pietro non capisce (e non fa capire ai suoi amati compaesani) che qui, più che di ottenere soldi per via giudiziaria, occorre pensare a nuove forme occupazionali? Perché non pensare, anziché a come spremere “mamma Stato”, come trovare e creare nuove occasioni lavorative fra i sangiulianesi? La via di Di Pietro ha un solo effetto: far sì che i sangiulianesi rimangano terremotati a vita.

Nel marasma: il sindaco, il parroco e Dio
«Ma finiranno i giorni della sposa» ripetono in paese; «finirà tutto questo solidarismo, siamo già diventati la quinta notizia dei telegiornali». Arriva il tempo della ricostruzione, del rimboccarsi le maniche, di lavorare per ricostruire. E questo è “l’affare più difficile” per una certa mentalità più preoccupata di chiedersi “quando arrivano gli aiuti dello Stato?” che non di ricostruire. Ma lo è anche per difficoltà oggettive. «Qui prima che arrivasse il terremoto era già passato Chernobyl» spiega un sangiulianese. «Il paese stava già scomparendo; i giovani se ne andavano e i vecchi rimanevano. Non si tratta solo di “ricostruire” ma proprio di “costruire”». Come in ogni vicenda alla sofferenza e al “peggio” dell’umano si mischia la generosità e “il meglio”: un gruppo di sangiulianesi che lavora alla Fiat di Termoli è stato aiutato dai colleghi dello stabilimento. Hanno allungato i propri turni e devoluto il ricavato ai colleghi terremotati. Nel marasma di questa situazione due sono diventati i punti di riferimento per la gente di San Giuliano: il sindaco e il parroco. Il primo cittadino, Antonio Borrelli, non si ferma un attimo. Fra le 26 vittime c’era anche sua figlia. Scusate se l’autore di questo articolo si permette una breve nota personale: poco prima di intervistare il sindaco ho incontrato la moglie, Carmela. Le ho detto che la mattina ero stato a vedere la scuola. Quando ho pronunciato la parola “scuola” le sono venute le lacrime agli occhi. Ho rinunciato all’intervista. Che avrei potuto chiedergli? “Cosa ha provato quando ha visto il corpo della sua bambina?”. Questo sciacallaggio dei sentimenti lo lascio a colleghi forse più professionali di me. Mi permetto solo di riportare la voce che circola nella tendopoli: «il sindaco ha mostrato di avere le palle».
Don Ulisse è diventato parroco di San Giuliano dieci giorni prima del terremoto. La storia della parrocchia di san Giuliano è molto particolare, fatta di scontri fra opposte fazioni, di liti furibonde fra preti e popolo, di preti con figli. Un’anziana del posto ha detto dopo la tragedia: «Dio ha voluto punirci». Sebbene oggi per la tendopoli circolino preti di tutti i paesi limitrofi, quando mesi fa il vescovo aveva chiesto chi fosse disposto a fare il parroco a San Giuliano, solo don Ulisse aveva dato la sua disponibilità. «È stata la provvidenza a nominarlo» racconta Nicola, un insegnante che oggi assieme a Delfo, un dipendente regionale, e Lino, un altro insegnante, lo aiutano nella tendopoli. Mentre loro tre si occupano dell’aspetto segretariale don Ulisse può stare vicino ai suoi nuovi parrocchiani. Molti li ha conosciuti proprio in questi giorni. In “parrocchia”, che non è altro che la tenda 24A, passa tutto il paese. Sebbene la temperatura sia bassissima la porta della tenda è sempre aperta. Il via vai è continuo: chi viene a dire il rosario alla presenza di un tabernacolo rimediato, chi viene a segnalare la propria posizione lavorativa (don Ulisse si sta premurando di trovare nuove occupazioni), chi, come i bambini, a scegliere un gioco o un dolce. «Vuoi una molotov?» dice a un bambino e gli allunga una bottiglietta di aranciata. È arrivata assieme ad altri generi alimentari, il sapore non è proprio quello dell’aranciata…
La notte la parrocchia-tenda è custodita da Giuliano, guardia giurata del carcere San Vittore di Milano. È qui dal primo giorno, la mamma è di san Giuliano. «Dov’era Dio mentre tutto questo accadeva?» si è chiesto Scalfari. Dov’è oggi Dio? Nella tendopoli, tenda 24A. La notte dorme con Giuliano.

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