Sia benedetto il Leave

Di Rodolfo Casadei
11 Ottobre 2017
Forse un giorno si scriverà che con il loro voto gli inglesi hanno salvato l’Unione Europea. Esistono ragioni storiche e interessi contingenti per vedere nella Brexit un fatto provvidenziale

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Persino Donald Tusk comincia a sorridere. L’uomo che alla vigilia del referendum sull’uscita del Regno Unito dalla Ue aveva ammonito che l’eventuale vittoria del “sì” avrebbe innescato niente meno che «la fine della civiltà politica occidentale», adesso si dichiara rinfrancato dal tono «costruttivo e realistico» del discorso tenuto da Theresa May il 22 settembre scorso a Firenze. La premier britannica ha promesso che Londra verserà 20 miliardi di euro nei prossimi due bilanci dell’Unione Europea come anticipi di un saldo finale maggiore, che il Regno Unito uscirà ufficialmente dalla Ue il 29 marzo 2019 ma a ciò seguirà un periodo di transizione di due anni circa durante il quale esso continuerà a recepire dentro al diritto nazionale britannico il diritto comunitario che verrà prodotto, così come ha già fatto con le leggi e i regolamenti comunitari vigenti. E ha ripetuto che un’Ue forte è nell’interesse del Regno Unito e in quello di tutto il mondo, perciò il suo paese collaborerà dall’esterno, in qualità di partner, a favorire il successo dell’integrazione europea.

Il presidente del Consiglio europeo esprime sollievo, ma dichiara anche di non avere cambiato idea sul fatto che la Brexit sarebbe una sciagura e che ora si tratta solo di limitare i danni da essa provocati. Tusk però sbaglia: in realtà la Brexit rappresenta una svolta positiva e una grande occasione per l’Ue, ed è vero che Londra potrà fare per l’integrazione europea molto più dall’esterno di quanto ha fatto e avrebbe potuto fare dall’interno. Checché ne dicano le élites politiche, imprenditoriali, finanziarie e giornalistiche londinesi ed europee, gli elettori del Regno Unito hanno fatto una scelta potenzialmente ricca di prospettive positive sia per il loro paese sia per l’Europa. Forse un giorno si scriverà che col loro voto pro-Brexit gli inglesi hanno salvato l’Unione Europea.

Perfetto equilibrio
Per capire i potenziali benefici della Brexit per il futuro dell’Europa bisogna prima capire bene il ruolo che l’Inghilterra prima e il Regno Unito poi hanno avuto nella storia dell’Europa continentale, e poi quello che l’Ue è diventata a partire dall’introduzione dell’euro. Fondamentale è ciò che lo storico Brendan Simms ha scritto sul New Statesman: «L’ordine continentale è in gran parte un prodotto dei tentativi britannici e successivamente anglo-americani di creare un equilibrio di potere che impedisse l’emergenza di un egemone ostile (prima la Spagna, poi la Francia e poi la Germania), ma che allo stesso tempo fosse abbastanza robusto per tenere alla larga i predatori esterni (prima i Turchi, poi la Russia e quindi l’Unione Sovietica). Il risultante problema del giusto equilibrio, per cui le potenze continentali erano o troppo forti o troppo deboli, è stato uno degli assi centrali della storia europea nell’ultimo mezzo millennio. Dopo la Seconda Guerra mondiale gli americani, alcuni europei lungimiranti e alcuni britannici (come Winston Churchill) hanno capito che l’unico modo per avere un perfetto equilibrio era istituire una piena unione politica democratica, con o senza il Regno Unito. Degli Stati Uniti d’Europa organizzati in questo modo avrebbero saputo badare a se stessi senza minacciare i propri vicini, avrebbero incorporato la Germania e l’avrebbero mobilitata per il bene comune. (…) Il Regno Unito ha svolto e svolge un ruolo unico nel sistema. In nessun senso è “uguale” agli altri membri del club che sta lasciando. Negli ultimi tre secoli, dal trattato di Utrecht del 1713 agli assetti decisi nel 1945 e oltre, il Regno Unito ha svolto un ruolo centrale nell’ordine europeo, molto più di qualunque altra potenza. Questo è vero anche oggi, perché l’Unione Europea dipende per la sua sicurezza interamente dalla Nato, di cui il Regno Unito è il membro europeo più importante. (…) Detto in altre parole: il Regno Unito non è un qualunque spazio europeo che ha bisogno di ordine, ma una delle principali potenze ordinatrici del continente».

Riserva di caccia tedesca
Nessuna doppiezza o ipocrisia nelle parole di Theresa May: Londra desidera veramente il successo dell’Ue, perché la piena integrazione europea è la versione post-1945 dell’equilibrio di potere continentale per il quale prima l’Inghilterra e poi il Regno Unito hanno operato per secoli al fine di proteggere la propria sovranità. Perché allora la maggioranza dei britannici ha votato per abbandonare la Ue? La spiegazione dominante è che hanno voluto recuperare la piena sovranità nazionale per limitare l’insediamento di stranieri sul loro territorio. Ma questa è solo una metà della spiegazione. L’altra riguarda il fallimento della Ue come processo di integrazione europea: dopo l’introduzione dell’Euro e l’allargamento a Est la Ue è diventata la riserva di caccia dell’export tedesco per le ragioni che abbiamo tante volte spiegato su Tempi, e da quel momento la Germania ha costantemente operato contro la piena integrazione più di quanto facesse il governo conservatore britannico sotto Margaret Thatcher. Un’Europa veramente federale comporterebbe la mutualizzazione del debito pubblico dei paesi membri, e questo Berlino non lo permetterà mai. A Berlino la Ue piace così: con la moneta unica che impedisce svalutazioni competitive all’Italia e ad altri suoi concorrenti commerciali, e con le politiche di austerità nazionali al posto della mutualizzazione del debito a livello di Unione che azzererebbe gli spread. Un assetto del genere è destinato a non durare: prima o poi salterà, e quando salterà e l’Ue andrà in pezzi ci ritroveremo con una Germania grossa grossa che ricomincerà a ragionare non più nei termini dell’egemonia bottegaia del duo Merkel-Schaüble, ma nei termini di una classica egemonia di tipo imperiale, che potrebbe benissimo essere nelle corde di un governo a trazione Afd.

Che ci stava a fare il Regno Unito dentro a un’Unione che era diventata soltanto il veicolo dell’egemonia bottegaia tedesca, e che appare destinata allo sfascio e alla ricomparsa della storica minaccia dell’egemone ostile? I paesi dell’Europa continentale hanno rinunciato a quote importanti della loro sovranità, devoluta a Bruxelles, per ottenere in cambio la pace e la prosperità per lungo tempo agognate, ma questa non è mai stata la logica che ha mosso il Regno Unito, prospero grazie alla sua proiezione imperiale (che perdura nel Commonwealth) e protetto dalla condizione insulare (nessuna invasione dopo il 1066). Perché il Regno Unito, plurisecolare potenza determinatrice degli equilibri continentali, avrebbe dovuto continuare a rinunciare a quote crescenti della propria sovranità senza nessuna possibilità di ottenere il risultato di ridimensionare la potenza tedesca?

La linea Churchill
La Brexit toglie un alibi alla Germania e fornisce un alleato naturale a quei paesi, come l’Italia, che avrebbero interesse a vedere la Ue trasformarsi in un vero stato federale. Berlino non può più dare la colpa a Londra per la lentezza dell’integrazione europea; Londra, recuperata la piena sovranità, può operare dall’esterno a supporto della piena integrazione continentale europea senza soffrirne le conseguenze spiacevoli per sé. In buona sostanza questa è la linea che proponeva Winston Churchill: sì agli Stati Uniti d’Europa, ma col Regno Unito fuori oppure dentro ma con un ruolo speciale. In questo senso la disponibilità di Londra a partecipare ai progetti di difesa europei non è soltanto il cioccolatino fatto balenare davanti al naso dell’interlocutore per ottenere l’accordo commerciale più favorevole: è la formulazione di una politica coerente con gli interessi britannici. Londra vuole evitare che la Difesa comune europea diventi un affare tedesco e allo stesso tempo la vuole solida nella prospettiva tutt’altro che peregrina che gli Usa riducano il loro impegno nella Nato.

Ha detto la May a Firenze: «Stiamo proponendo un partenariato di vasta portata che comprende il proteggere insieme l’Europa dalle minacce del mondo di oggi (…) Quello che stiamo offrendo sarà senza precedenti nella sua ampiezza, comprendendo una cooperazione a livello diplomatico, della difesa e sicurezza e dello sviluppo. (…) Il Regno Unito è incondizionatamente impegnato a mantenere la sicurezza dell’Europa. E continuerà a offrire aiuto e assistenza agli Stati membri della Ue che sono vittime di aggressioni armate, terrorismo e disastri naturali o causati dall’uomo». Più chiaro di così.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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