
Si può dare il nome a un «bambino mostro»? Il romanzo del Nobel giapponese che svela le falsità dell’eutanasia

Si può dare il nome a un «bambino mostro»? Ha bisogno di un nome un neonato che «non assomiglia a nessuno, non assomiglia nemmeno a un essere umano»? Tori-bird è convinto di no. Guardando suo figlio nell’incubatrice e la deformità che lo affligge, scopre di non poterlo accettare. Il pensiero di dare il nome a una cosa che non ha prospettive di «vita normale» lo terrorizza. Lui vorrebbe soltanto che suo figlio muoia. E, se ne fosse in grado, lo ucciderebbe con le sue stesse mani.
TORI-BIRD. Tori-bird è il giovane protagonista di “Un’esperienza personale” del premio nobel Kenzaburō Ōe. Il romanzo compie cinquant’anni dalla pubblicazione e racconta la storia tormentata di un padre che cerca con ogni mezzo di fuggire dalla sua vita, dal figlio e dalla sua menomazione. Ōe affronta narrativamente, senza doppiezze e senza moralismo, l’attimo di dubbio che lo colse quando, alla nascita del suo primo figlio affetto, come quello di Tori-bird, da una grave patologia cerebrale, i medici gli consigliarono di lasciarlo morire.
FUGGIRE O RESTARE? Tori-bird affronta passivamente la sua vita tranquilla e coltiva un sogno. Vorrebbe lasciare la moglie e i suoceri benestanti che hanno provveduto a dargli un lavoro e andare in Africa. L’unica fuga che si è concessa fino alla nascita del bambino, però, è quella di tre settimane di completa dedizione all’alcol. Dopo il parto della moglie e dopo aver visto l’ernia cerebrale del figlio, Tori-bird si accorge che non c’è più tempo per prendere una decisione. Fuggire o restare? La fuga pare a Tori-bird ineludibile, ed è quella che prospetta alla sua amante.
UN FIGLIO DA UCCIDERE. Nel frattempo, alla moglie, imprigionata in ospedale e sfiancata dal parto, promette di «adempiere al suo compito» e di proteggere il bambino, anche se, la informa, «potrebbe indebolirsi e morire prima di poterlo operare». Tori-bird vive ore nell’attesa impaziente che il figlio muoia di consunzione, «in modo pulito, nella stanza di un ospedale moderno». Vorrebbe «evitare di tenere in braccio un bambino con sole funzioni vegetative» e allo stesso tempo «evitare di sporcarsi le mani uccidendo il bambino». Ma ancora una volta, il protagonista è chiamato a prendere una decisione. Anche se i medici rimandano l’operazione che salverebbe la vita al neonato, il bambino si ostina a vivere. Tori-bird per poter fuggire deve prima ucciderlo.
IL SENTIMENTO DI VERGOGNA. Il protagonista di “Un’esperienza personale” è quasi immune all’affetto e, per sua stessa ammissione, non è incline ad assumersi responsabilità. Ciò che gli impedisce di adempiere per motivi egoistici al proprio dovere di padre è la «grande massa scalciante della sensazione di vergogna» che lo tormenta. «Ho la sensazione che i miei nervi siano sensibili solo al problema del bambino e non reagiscano a null’altro», confessa alla sua amante, mentre aspetta una chiamata dall’ospedale che lo liberi da quel peso.
Quando Tori-bird capisce che non può aspettare oltre, e con l’aiuto dell’amante rapisce il figlio, si trova a fare i conti con la consapevolezza di tutti gli «atti vergognosi» che lo portano verso la soluzione finale. Cerca con fatica «il modo di occultare al giudizio del tribunale la responsabilità della morte del suo bambino» ma allo stesso tempo si rende conto di non poter sfuggire «allo sguardo degli inquisitori». E quando è sul punto di ammazzare il proprio figlio non prova la gioia della liberazione, ma la «sensazione di essere sceso di un gradino verso una triste prigione sotterranea».
«VIVERE DIVERSAMENTE». Il romanzo di Ōe non è soltanto l’anatomia delle cause che portano un uomo, una donna e ai giorni nostri un intero parlamento (Belgio) a giustificare un atto come l’eutanasia dei bambini disabili. La scrittura di Ōe non perde tempo nell’affrontare le «sofferenze insopportabili» del neonato, ma senza incertezze infila la questione centrale, inquadrando la meschinità del genitore, più in generale dell’essere umano, di fronte a un fatto che lo lascia traballante e lo porta a compiere una scelta. Si può accettare una verità che «risale da sola dallo stomaco» e che impedisce a Tori-bird di continuare a scappare oppure non affrontare la realtà, evitarla.
Per arrivare alla sua decisione Tori-bird si sorprende ad ammettere la propria colpa: «Che cosa ho voluto difendere dal fantasma del bambino, compiendo una serie infinita di atti vergognosi? Che cosa c’è in me da dover difendere?», si chiede il protagonista di “Un’esperienza personale”. «Assolutamente nulla». Davanti a questa consapevolezza può decidere se continuare a ingannare se stesso e gli altri o accettare la realtà, impegnarsi «a vivere in modo corretto». Non è vero però, avverte il nobel giapponese, che «anche se si intende cedere alle trappole dell’inganno, a un certo punto si è costretti a non farlo». Questa è una scelta. Si può decidere di «vivere diversamente». Infatti, conclude Ōe, «c’è chi continua a saltare come una rana da un inganno all’altro».
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14 commenti
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“sensazione di essere sceso di un gradino verso una triste prigione sotterranea” …. Ti desensibilizzi alla morte ma poi si è ancora liberi di capire la vita? Credo che sia un punto importante della nostra realtà .
@ Filomena
“…. mentre in queste situazioni nessuno può sapere come si comporterebbe. ” …..Non posso fare a meno di notarlo, quasi ammetti che ci possono essere degli stati d’animo in cui nessuno può sapere come si comporterebbe. Ma tu mi hai accusato pesantemente quando ho usato le tue stesse parole.
Ma scusami se ricordo bene il caso in discussione era ben diverso, almeno per me. Io mi riferì o ad un feto non a un essere umano già nato. Già questo per me costituisce un criterio determinante. Inoltre in quel caso si trattava di scegliere tra un figlio non ancora nato e la compagna della tua vita con la quale dovresti teoricamente avere fatto già un percorso di vita che ha creato un legame molto più solido di quello ancora tutto da costruire un futuro figlio. Nel caso del romanzo il protagonista doveva scegliere tra le aspettative di un figlio sano e lo stravolgimento di vita che un figlio già nato avrebbe causato.
Secondo te cos’ho in grembo? Una pietra? E’ un essere vivente perchè è già vivo ed è umano perchè la genetica non è un’opinione.
Se poi mi dovesse toccare di scegliere tra la mia vita e la sua io non esiterei, perchè una madre non può mai fare una scelta differente, anche se ciò dovesse significare vedovanza per mio marito e venire a mancare anche per l’altra mia figlia. Non ce la faccio a uccidere la vita nel mio grembo.
E’ un amore troppo grande quello che senti, che ti fa combattere per la sua vita a tutti i costi.
Una mamma
Rispetto la tua opinione ma non può essere una regola che vale per tutti.
Dal mio punto di vista è incomprensibile ma in ogni caso la domanda era rivolta a Toni in quanto marito chiamato a dover essere costretto a scegliere tra la moglie e il futuro figlio. E’ una prospettiva diversa.
Filomena
ti avevo detto che si sarebbe trattato, comunque, di una scelta dolorosa mia e di mia moglie perché ciò che si ha in grembo non è percepito da mia moglie (e me) come opinione. L’ipotesi “opinione” non è minimamente percepita. E’ un bambino, sottratto ad ogni valutazione (di essere non essere) di carattere culturale.
Tu avevi posto una ipotesi astratta, io marcavo il fatto, che non è un testa o croce, non è facile ….”nessuno può sapere come si comporterebbe “. La cosa terribile è che mia moglie non ha dubbi!
Ma certo che era una ipotesi astratta,ci mancherebbe non lo augurerei a nessuno!
Possiamo pensarla in modo diverso ma anche se non ci credi per me la vita delle persone è importante più di quanto sembri. Semplicemente non riesco a considerare un embrione una vita umana e quindi mi riesce oggettivamente difficile capire il vostro ragionamento.
E ti assicuro che ora non sto scherzando come a volte faccio con certi argomenti come quello del vescovo e il sesso orale. Quello è troppo divertente.
@ Filomena
Mi permetto di esporre alla tua attenzione quest’ultimo elemento:
tu dici a Sandra sul bambino “rispetto la tua opinione” . Ma le opinioni di chiunque (nessuno escluso), si sa , possono essere giuste o sbagliate. Del resto se si annovera, tra che è dedito all’arte medica, chi è pro e contro all’interruzione di gravidanza, non c’è unanimità di vedute (neanche, lo sottolineo, tra gli stessi atei).
Mi sorge il solito quesito:
come si può accettare il margine di errore su una cosa in cui è in gioco la vita umana?
Non è un errore assimilabile ad altri errori.
L’unica soluzione è anteporre un : “embè … il mio benessere di donna è più importante del fatto che potrebbe trattarsi di un essere umano”.
Ma capisci pure la spirale che si apre se ognuno fissa una propria gradazione su che cosa è umano o meno. Ognuno avrebbe delle ragioni … e vorrebbe sentirsi dire “rispetto le tue opinioni”.
Certo è appunto quello che io ho fatto con Sandra e che probabilmente mi aspetterei che lei o chiunque altro facesse con me.
Per rispondere al quesito che tu poni e cioè che se ognuno fissa dei paletti personali oggettivamente c’è il dubbio di incappare nell’errore di valutazione nel considerare l’embrione vita umana o meno, io sostengo che essendo noi tutti umani dobbiamo essere in grado di accettare l’idea che le nostre convinzioni possono essere sbagliate e produrre anche dei danni ma l’importante è continuare a confrontarsi con chi ha posizioni diverse perché questo ci permette di arricchirci e trovare sempre delle mediazioni nella relazione tra persone. Magari alla fine io convinco te o tu con vinci me o forse ancora ognuno rimane della propria idea e…. ci facciamo le pernacchie come fanno i tanti troll
Dai propri errori si impara sempre, anche se dolorosi.
Devi ammettere però che certe affermazioni come quelle che a torto o a ragione avrebbero imputato al vescovo sono….esilaranti.
@ Filomena
Si ma se degli umani fissano come paletti razza e sangue (leggi ariano) …. capisci cosa succede? E’ già successo! Tu credi quel popolo non era sinceramente portatore di convinzioni? Credi che esistono mediazioni possibili, che arricchiscono, in casi simili? Oggi temo che siamo quasi come quel popolo… l’aborto è un male “quasi”condiviso … che perde la connotazione di male. E la cosa che trovo pericolosissima, ed il libro “un esperienza personale” da una frase lo fa emergere, è che non capiamo il pericolo di finire in ” triste prigione sotterranea” e di essere meno noi stessi e meno liberi. Il dialogo, a cui tu poni grande fiducia, ha forza limitata a cambiarci, perché sono le esperienze che ci cambiano e più ne sbagli più la prigione si fa solida e ci rende più sordi … alla vita intera (scusa se suona retorico).
Non ti annoio più per oggi.
PS Ormai la chiesa è presa di mira … quella del vescovo è il minimo ed alcune cose onestamente sono risibili (a torto o ragione).
Ti ringrazio per la sincerità …sul vescovo e per ricambiare la tua onestà ti dirò che il mio post sul comportamento del buon cattolico poteva in effetti essere irriverente …ma non ho resistito alla tentazione. Come dire per restare in tema..il diavolo ci mette sempre la coda.
Scherzi a parte nemmeno io voglio tediarti più ma credo molto più di te nel dialogo…altrimenti non starei qui a farmi insultare per esempio da Giannino e altri.
Non credo che in queste sia possibile dare dei giudizi equilibrati e schierarsi a favore o contro qualcuno. Questo è il giochetto molto crudele che l’autore del romanzo vorrebbe che facesse il lettore mentre in queste situazioni nessuno può sapere come si comporterebbe. Cosa c’entra poi il fatto che il protagonista avesse una amante o che i suoceri gli avessero procurato un buon lavoro? Sono aspetti del romanzo che non aiutano a contestualizzate lo stato d’animo di una persona che si confronta con lo stravolgimento della propria vita causato dalla tragedia
Se figurati.. en classico stile “sputasentenze” dopo Ave letto sono er titolo..
L’autore con la sua esperienza (quindi con emozioni da lui provate) vuole far riflettere su un tema che spesso viene preso sottogamba, come peraltro le tue parole dimostrano: in nome di una malintesa libertà (potersi sbarazzare di un figlio che non corrisponde ai propri desideri e che richiede impegno nell’accudimento e forse non dà quella gratificazione di padre che in primis si vorrebbe provare) si rischia di vivere la propria vita nella prigione dell’anima, nella vuotezza di spirito.
Cosa c’è di male nel voler avvertire le persone di questo pericolo?
Niente, bisogna sempre nascondere l’evidenza a tutti i costi…
Scommetto che ammazzeresti mio padre, malato di Alzheimer, come pure mia sorella, malata di mente!
Non certo mio fratello, malato solo di egoismo!