
I pazienti e i bagni (di realtà) inglesi

Il 30 aprile il Telegraph dedicava la sua prima pagina a una notizia sconvolgente: “Il sesso è un fatto biologico. Lo dichiara il servizio sanitario nazionale”. Sconvolgente perché siamo nel Regno Unito, dove per spiegare cos’è il sesso – e dunque cos’è una donna – c’è voluta una proposta di modifica alla costituzione dell’Nhs. Una revisione (dovuta ogni dieci anni dal segretario di Stato alla carta dei diritti del paziente e del personale) che ha dato scandalo a stampa e agenzie ben oltre la Manica, vedi l’Adnkronos: “‘Il sesso è un fattore biologico’, così l’Inghilterra vuole modificare il Sistema Sanitario Nazionale”.
Attenzione, il sesso biologico esiste
In realtà le cose sono così semplici da risultare banali: dal 2021 le linee guida del Nhs consentono alle persone transgender di fare ricovero e degenza nei reparti “single sex” in base al genere in cui si identificano. Oggi l’Nhs chiarisce che per “sex” si intente “biological sex” e che ogni paziente ha il diritto di non dormire «con pazienti del sesso biologico opposto». Sottinteso, ma non troppo, che quando «parliamo di quel sesso intendiamo precisamente quello, vulva, vagina, utero e ovaie, oppure testicoli e pene, nient’altro che questo» (ha dovuto chiarire Marina Terragni sul Foglio), mica orpelli appena “assegnati alla nascita”.
Il che a sua volta sottintende che agli occhi dell’Nhs una donna sia biologicamente diversa dall’uomo e che tale differenza porti ogni donna o uomo ad avere il diritto di richiedere cure, spazi di cure dedicate al proprio sesso, perfino medici (nel caso di cure più intime) del proprio sesso. Di più, a poche settimane dall’apertura del vaso di Pandora sulle transizioni di genere dei minori, scoperchiato dalla dottoressa Cass, le modifiche richiedono ai fornitori di servizi sanitari di utilizzare «termini chiari»: si chiamano “madri”, “persone che partoriscono”, si chiama “allattamento al seno” non “al petto” e chiunque dovrebbe chiamare le cose con il loro nome senza rischiare il posto con accuse di transfobia.

Gli inglesi non ne possono più dei bagni gender neutral
Di qua i maschi di là le femmine, come vuole scienza e biologia e come vogliono ora le nuove guida dell’Nhs a tutela di “privacy, dignità e sicurezza di tutti i pazienti”. E a quelli transgender? Sarà riservata una stanza singola. Semplice no? Quasi quanto l’altrettanto sconvolgente notizia che scioccava la stampa ieri: ristoranti, bagni pubblici, centri commerciali e uffici di nuova costruzione in Inghilterra dovranno avere bagni divisi in base al sesso. A mettere in discussione il totem del bagno “gender neutral” sono state le donne insieme a numerosi disabili e anziani che si sentono profondamente discriminati e svantaggiati nell’utilizzare servizi igienici “neutri”: secondo un sondaggio, che ha raccolto 17.000 risposte, l’81 per cento degli inglesi desidera bagni “gender specific”.
Apriti cielo: per i gruppi di attivisti come Mermaids, signore, vecchietti e portatori di handicap stanno minando i diritti delle persone non binarie, che hanno diritto a un bagno senza genere, e dei transgender, che temono discriminazioni nei bagni “binari”. Il governo conta che la legge entri in vigore entro fine anno: il nuovo regolamento edilizio, che verrà portato al parlamento nelle prossime settimane, non vieta affatto l’edificazione di toilette “universali” ma chiarisce che potranno sostituire i bagni maschili e femminili solo in assenza di spazio sufficiente.
Sesso, bagni gender e “culture war”
La revisione dell’Nhs, ovviamente, si focalizza su numerosi altri aspetti, ma è la definizione di “sesso” ad aver mandato ai matti progressisti e comunità Lgbtq: una dichiarazione di guerra, anzi di “culture war” piuttosto che un aggiornamento dell’Nhs secondo gli addetti ai lavori che non vogliono essere coinvolti in dibattiti pre-elettorali.
E se la revisione delle linee guida in materia di sanità è cosa dovuta ogni dieci anni, la normativa sui bagni segue di pochi mesi quelle dedicate a come le scuole di Inghilterra devono accogliere e tutelare gli studenti transgender: mantenendo servizi igienici e spogliatoi separati per i bambini dagli otto anni in su, consentendo al personale e agli studenti di ignorare i pronomi preferiti dai bambini in transizione sociale e consentendo competizioni diverse tra maschi e femmine in ambito sportivo. Soprattutto, «adottare un approccio molto cauto» qualora gli alunni volessero usare un nuovo nome, pronome, uniforme e informare i genitori a meno di esporre i bambini a «rischi significativi». In altre parole insegnanti e scuole non dovrebbero avere il «dovere generale» di consentire agli alunni la transizione sociale bensì di osservare cautela e «periodi di attesa attenti garantendo che i genitori siano pienamente consultati prima che venga presa qualsiasi decisione».
«Scelga fra 12 generi e 10 orientamenti sessuali»
Una rivoluzione fatta di piccoli passi in quel regno delle follie gender chiamato Regno Unito. Dove capita che ai pazienti bisognosi di prenotare un esame o una visita medica col servizio online dedicato MyChart, venga chiesto di indicare a quale dei 12 generi, 10 preferenze sessuali e 159 religioni elencati sul sito appartengano. Un bombardamento di domande «bizzarre», «confuse», «invadenti», giuravano lo scorso gennaio al Telegraph pazienti che si erano sentiti chiedere se erano «Goddess, Satanist or Druid» (dea, satanista o druido) prima dell’appuntamento. E che non capivano da chi e come sarebbero state usate le risposte.
Maschile, femminile, genderfluid, questioning, agender, non binario, demiboy e demigirl: questo il menu di preferenze sessuali (tra cui pansessuale, bisessuale, gay, lesbica, queer, interrogativo, incerto o asessuale) proposto dal servizio, oltre naturalmente alla richiesta di selezionare «il “sesso assegnato alla nascita” e il “sesso legale” tra le opzioni maschile, femminile o indeterminato».

«Ma cosa cambia al chirurgo se sono pansessuale o demiboy?»
«Ma se mi viene applicato uno stent cardiaco, che differenza fa se sono etero, pansessuale, maschio o demiboy?», si chiedeva un paziente del Royal Brompton Hospital afferente al Guy’s and St Thomas, uno dei trust che insieme al King’s College aveva adottato il servizio, «questo è woke all’ennesima potenza», «è un questionario più complesso del censimento». E gli anziani? E gli stranieri poco ferrati in identity politics? Soprattutto, e la biologia? Davvero il sesso biologico poteva restare un dettaglio e non contare nulla in campo di assistenza sanitaria?
Il servizio era ovviamente gestito da Epic, la società di software sanitario Usa che si era reinventata ufficio complicazioni cose semplici dopo che uno dei suoi sviluppatori, una donna trans, aveva ricevuto da un ospedale una comunicazione indirizzata a lei come “Mr,”: da qui le tendine delle preferenze. “Ovviamente” perché solo un mese prima il software americano aveva fatto notizia sempre in ambito sanitario con l’uscita dei moduli per l’inventario degli organi sessuali dei pazienti: il signor x ha un pene? Una vagina? Un utero? Una cervice? E il seno? La prostata? I testicoli? Le ovaie?
«Il signor x ha un pene? Una vagina? E le ovaie?»
«Ma è folle», «assurdo», «non ha senso», avevano protestato i medici al lavoro negli ospedali che avevano adottato il modulo “sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”: un modulo lunare, che includeva domande sul sesso “assegnato alla nascita” e i “pronomi preferiti”, e si spingeva a informarsi con i pazienti se intendessero cambiare genere in futuro. Il modulo, debitamente compilato avrebbe aggiornato le cartelle cliniche elettroniche dei pazienti a loro insaputa. Quanto a Epic, ciò che si sapeva era che le ostetriche dei bambini nati al Guy’s and Thomas’ Hospital di Londra e al King’s College Hospital avevano solo la possibilità di selezionare “identità di genere” sul nuovo sistema IT, anziché il sesso biologico.
Non male in quel mondo alla rovescia che è diventato il sistema sanitario del Regno Unito. Dove le donne sono arrivate a chiamarsi “menstruator” o come dice Lancet «corpi con la vagina», le madri sono «possessori di utero», il ciclo non è delle donne ma di “all genders”, il pap test si fa a “persone con la cervice”, prima di una radiografia viene chiesto agli uomini se sono in dolce attesa, e chi aspetta non va mai chiamato “futura mamma” bensì «persona incinta», il “latte materno” diventa “latte umano”, la “madre” o il “padre” diventano “genitore che partorisce” o “genitore biologico”.
«Risponde il 999: qual è il suo pronome preferito?»
Sarebbe sembrato comico, preoccuparsi del fatto che i medici familiarizzassero col lessico di genere e si informassero sulla storia del pene dei loro pazienti, se nel frattempo le liste d’attesa dell’Nhs non avessero raggiunto per molte ragioni il livello record di 7,75 milioni persone (oltre novemila quelle che hanno dovuto aspettare 18 mesi per iniziare le cure). Si stima che il nuovo sistema IT costerà quasi mezzo miliardo di sterline nei prossimi 15 anni. Difficile immaginare un metodo meno complicato e meno costoso di rispondere alla domanda “sei un uomo o una donna?” nell’Nhs quando perfino agli operatori del numero di emergenza 999 è stato detto di chiedere sempre a chi chiama quale è il suo pronome preferito. Oggi si scende dall’unicorno e si torna a ad annunciare «il sesso è un fatto biologico». Lo dice la scienza, ed è una scoperta da prima pagina. In Italia ci arriveremo tra dieci anni, quando avremo finito di smontare anche il culto della triptorelina?
Foto di No Revisions su Unsplash
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