
Serve un “luogo” che aiuti i politici cattolici a non tradire se stessi e il voto

Caro direttore, ho letto con grande attenzione e soddisfazione l’articolo di Massimo Gandolfini sulla “casa politica dei cattolici” pubblicato da tempi.it il 24 marzo, nel quale, con la solita lucidità e franchezza, viene affrontato il problema che le ultime elezioni hanno mostrato in tutta la sua gravità. Mi ha colpito che alcuni vescovi siano intervenuti sui risultati del voto con l’atteggiamento di chi si sente sconfitto, senza, peraltro dare prospettive per il futuro (cosa si aspettavano, che vincesse il Pd?).
Gandolfini, invece, scrive che i cattolici una casa comune ce l’hanno ed è costituita dall’adesione «senza se e senza ma, alle fondamenta antropologiche che stanno alla base della “cultura” cristiana, dalla Sacra Scrittura alla Dottrina Sociale della Chiesa». Ed osserva che il mondo cattolico si è fermato, nell’affrontare questa tematica, al “come”, piuttosto che preoccuparsi del “che cosa”. Osservazione giustissima ed azzeccata, ma che non mi stupisce, perché la scelta fatta anche da molte autorità ecclesiastiche non è casuale, perché deriva dall’aver scelto di dare ai richiami cristiani una impostazione “moralistica” piuttosto che ripartire dalla base dell’Essere cristiano. Ed il moralista preferisce sempre il “come” al “che cosa”; cioè la forma alla sostanza.
Il corpo ecclesiale, in tutte le sue componenti, dovrebbe, invece, indicare all’intero popolo, sia cristiano che non, “che cosa” esso ha a cuore, in modo che ogni cristiano, sia in politica che in ogni altra attività, abbia ben chiaro ciò per cui occorre impegnarsi. Occorre cioè che si dica chiaramente “che cosa” contribuisce al bene comune e che cosa no. Faccio alcune domande in proposito: le unioni civili contribuiscono al bene comune? Una legge che apre all’eutanasia contribuisce al bene comune? Una libertà di educazione limitata contribuisce al bene comune? Rispondere a queste domande non significa nell’immediato indicare “come” votare, ma significa testimoniare al popolo intero ciò a cui il corpo ecclesiale tiene, favorendo così il raggiungimento del bene comune. La Chiesa non interferirebbe con nessun potere civile dicendo chiaramente ciò che vede come giusto, ma provocherebbe la libertà di ogni cittadino e dell’intero corpo elettorale. Così facendo, tra l’altro, il corpo ecclesiale darebbe un grande contributo alla visione unitaria dei politici cattolici, che, invece, oggi appaiono divisi tra quelli di “sinistra” (per lo più sdraiati sui temi della solidarietà e dell’accoglienza) e quelli di “destra” (più preoccupati delle questioni antropologiche). Un corpo ecclesiale unito potrebbe indicare con un’unica preoccupazioni sia le tematiche di “sinistra” che quelle di “destra”. Penso, infatti, che abbiano pari importanza per la cultura cattolica i temi della povertà e dell’accoglienza, i temi della famiglia e della vita, i temi della solidarietà e della libertà. Ed allora, perché non indicare tutti assieme questi impegni ai politici cattolici?
A questo punto mi si potrebbe obiettare: ma oggi i cattolici, quando ci sono, si trovano in partiti politici diversi ed allora come fare a dire a tutti la stessa cosa? Ribadirei, innanzi tutto, ciò che Tempi, qualche settimana fa, ha ricordato a tutti e cioè che questa situazione, anche se legittima, non può essere indicata come l’ideale. Prendendo, d’altra parte, atto della situazione che, di fatto, si è venuta creare, penso che, sulla base spunto che ci offre lo scritto di Gandolfini, noi abbiamo il dovere storico di far nascere un “luogo” nel quale si possa comunicare ai politici accomunati dal fatto di essere cristiani quali siano i principi fondamentali a cui fare riferimento, qualsiasi sia il partito in cui militano. Quando si parla di famiglia, per esempio, i cattolici dovrebbero essere uniti, sia che siano stati eletti nel Pd o in Fi o nella Lega o in 5S.
Tale luogo potrebbe essere creato sia in ambito più strettamente politico, sia in ambito più vicino al corpo ecclesiale. L’importante è che i politici cattolici non vengano lasciati soli ad affrontare le tematiche più importanti, ma abbiano un luogo concreto in cui potersi confrontare su “che cosa” fare. Quando i cattolici non potevano partecipare alla vita politica italiana, crearono l’Opera dei Congressi, che indicava le loro preoccupazioni culturali, sociali e politiche. Ora i cattolici possono (e devono) partecipare alla vita politica, ma sono sistemati in partiti diversi e spesso in polemica tra di loro: mi appare ancora più urgente pensare, con la dovuta pazienza, ad un “luogo” che aiuti i politici cristiani a non tradire la loro cultura ed il voto che molti cattolici del popolo hanno loro dato, confidando nella loro fedeltà. Dovremmo darci tutti da fare in questa direzione.
Foto Ansa
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