
“Senza Via d’Uscita”, un viaggio nei manicomi criminali italiani «dove anche un sano impazzirebbe»
In Italia, nonostante la legge Basaglia del 1978, ci sono ancora sei Ospedali psichiatrico giudiziari, comunemente chiamati “manicomi criminali”. Avrebbero dovuto chiudere definitivamente il 31 marzo 2013 ma anche questa data, stabilita in seguito ai lavori della commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino nel 2011, non sarà rispettata. Il nuovo termine utile è fissato per il 1° aprile 2014. Questo perché sono ancora molti i dubbi e le perplessità attorno al mondo dei manicomi criminali. Uno su tutti: che futuro avranno i pazienti che ora sono ricoverati in una di queste sei strutture?
SENZA VIA D’USCITA. Il giornalista di Radio 3 Rai, Graziano Graziani, assieme ad alcuni esponenti dell‘Associazione Antigone, che da anni si occupa della situazione delle carceri italiane e delle condizioni dei detenuti, ha visitato due degli Opg ancora presenti in Italia. Il primo è il più grande manicomio criminale d’Europa e si trova ad Aversa, in provincia di Caserta, il secondo è in terra toscana, a Montelupo Fiorentino. Due sino a ora le puntate disponibili di Senza Via d’Uscita – Viaggio negli Opg, in cui Graziani lascia che a parlare siano i “detenuti pazienti” e l’Associazione Antigone. Quello che viene fuori da questo reportage audio sono i tormenti e la disperazione delle persone recluse negli Opg, che si sentono sempre detenuti e mai pazienti. «Si mangia meglio del carcere ma le sbarre ci sono lo stesso», dice un paziente dall’accento napoletano, a cui fanno eco altri ospiti della struttura di Aversa. Sì, mangiare si mangia meglio, ma la struttura è fatiscente, le camere sono piccole, la libertà è un’utopia e la condizione di malessere aumenta proprio a causa di una condizione «che gli nega il tempo, lo spazio e le relazioni con l’esterno. Anche una persona sana impazzirebbe in una condizione del genere».
LIBERTA’. A parlare, probabilmente, è un infermiere o qualcuno dell’Associazione Antigone che conosce bene la realtà di questo posto: «Del resto quando Basaglia diceva che la libertà è terapeutica non lo faceva per creare uno slogan». Ad Aversa come a Montelupo Fiorentino quello che si respira è assenza di futuro: «Se sei in carcere sai già che sconterai la tua pena ma che un giorno le porte si riapriranno e potrai dare inizio alla tua seconda possibilità. Qui le giornate passano sapendo che non finirà mai». Graziani lascia parlare i pazienti e dai loro racconti emerge un’umanità provata e lesa nella dignità, che non crede nelle terapie farmacologie e vorrebbe l’aria, quella vera: «Io ormai non vado più fuori, cosa vado a fare? Uno spazio con quattro mura che libertà mi può dare?». Un altro è convinto che gli psicofarmaci non facciano altro che abbreviargli la vita: «Io a ottant’anni non arriverò mai ed è tutta colpa loro». I detenuti sono tutti insieme, in celle dove chi è più pericoloso sta con chi è più tranquillo: «Forse lo fanno perché così chi è più calmo fa tranquillizzare quello più agitato». Però lo spazio è poco e a volte la situazione precipita. Alcuni pazienti non sono in grado di provvedere a se stessi e non controllano i propri istinti e spesso sono altri pazienti a mettere le cose a posto: «Io sto meglio degli altri e quindi sto nella squadra bianca. Faccio le pulizie nelle celle in cui ci sono pazienti che non tengono in considerazione le normali pratiche igieniche».
DIMENSIONE CARCERARIA. Quello che emerge da questa prima parte di viaggio di Graziani è quanto negli ospedali psichiatrici criminali prevalga la dimensione carceraria su quella terapeutica e i pazienti vivono in una condizione di abbandono. Non certo per colpa del personale sanitario: le strutture sono fatiscenti e carenti, i fondi statali sono sempre meno. Tanto che alcuni Opg non hanno potuto accendere il riscaldamento lo scorso inverno a causa della mancanza di soldi. Ma intanto le sei strutture sono ancora lì e al loro interno, nel degrado e nella solitudine, ci sono persone che forse la loro seconda possibilità non l’avranno mai.
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