Tentar (un giudizio) non nuoce

Senza una rete di supporto, la disabilità diventa un problema insormontabile

Di Raffaele Cattaneo
20 Agosto 2023
Ho sperimentato in prima persona quanto sia difficile gestire una situazione di disabilità nel nostro paese. Oggi si fa molto, ma molto c'è ancora da fare
Ragazza spinge una donna anziana in sedia a rotelle

Ragazza spinge una donna anziana in sedia a rotelle

Alzi la mano chi non si è mai cimentato con i problemi della disabilità o non ha mai discusso su quali possano essere le soluzioni per un problema così sentito da migliaia di persone. Anche io l’ho fatto molte volte. Nel corso del mio percorso politico più di una volta mi sono trovato ad affrontare dialetticamente questi temi. Questa estate però mi sono trovato a cimentarmi concretamente e quotidianamente con una situazione di disabilità. Mia moglie, per un’ernia, tanto dolorosa quanto improvvisa, si è ritrovata, da un giorno all’altro, a non poter più camminare autonomamente, a dismettere tutte le faccende che, sino al giorno prima era abituata a fare. Così io mi sono dovuto adoperare in tutti quei compiti quotidiani, che ben conoscono i nuclei famigliari che hanno un disabile permanente a domicilio.

Ho sperimentato cosa vuole dire spostarsi in carrozzina, prendendo atto di quanto siamo ancora lontani dall’abbattimento delle barriere architettoniche. Mi sono reso conto che ci sono parcheggi per disabili, ma non per disabilità temporanee o, meglio, anche se ci sono delle normative ad hoc, è praticamente impossibile prenderne nota e visione e superare tutti gli ostacoli burocratici che esse richiedono. Questa esperienza mi ha fatto toccare con mano quanto sia ancora concreta la disparità sociale che la disabilità porta con sé. Basta trovarsi per qualche settimana in una situazione di questo tipo per capire quanto tutto diventi estremamente complesso. E così se per me, visto il periodo di vacanza, tutto è stato abbastanza semplice, cosa sarebbe accaduto se io non avessi potuto, per impegni di lavoro, supplire a queste necessità? Di certo, in un periodo normale mi sarei dovuto immediatamente affidare ad un’assistenza esterna.

Ma per tutti coloro che si ritrovano a vivere una situazione di disabilità permanente, magari con pochi mezzi di sussistenza a disposizione, quale meccanismo si mette in moto? In molti casi si cade inevitabilmente in una situazione borderline, cercando magari una badante per qualche ora al giorno, pagandola in nero. Metodo che, nello specifico, diventa una forma di legittima difesa a fronte di un’improvvisa, quanto gravosa necessità. La verità è che, quando in una famiglia l’imprevisto della malattia entra, senza alcun preavviso, nel vissuto quotidiano, si ferma paradossalmente l’ingranaggio del vivere. A chi chiedere? Quando le situazioni sono particolarmente gravi è un cortocircuito che porta direttamente al naufragio, senza scialuppe da gettare in mare. D’improvviso ci si accorge della solitudine, la si percepisce nell’impronunciabilità di talune parole. Ci si scopre deboli, fragili, precari, come stupendosi per la prima volta che l’acqua bagna ed il sole brucia. E non si sa neppure più come chiedere aiuto. “Aiuto”. Quali bisogni si palesano all’orizzonte in questo costante presente? Come è possibile rispondere alle nuove necessità dei singoli e alle realtà dei nuclei familiari in progressiva scomposizione, composizione e mutamento, senza demandare alla medicalizzazione istituzionale ogni risposta possibile?
Non ci sono teorie salvifiche capaci di risolvere come in una “città ideale”, ma le Istituzioni quanto sono pronte a rispondere a questi bisogni e a questi cittadini?

Ad esempio, noi abbiamo recuperato una carrozzina grazie alla solidarietà di amici che ce l’hanno prestata, ma quanto tempo ci sarebbe voluto passando attraverso i servizi sociosanitari territoriali? E i costi farmaceutici, che queste situazioni comportano? I cosiddetti caregiver sanno benissimo che la spesa per i medicinali è ben più significativa di una serata al ristorante, per quanto il nostro sistema garantisca un’ammirevole copertura dei costi sanitari, ma se il fabbisogno si alza, anche il costo del ticket per una famiglia a reddito medio può diventare un impegno estremamente gravoso. E in quale ginepraio di uffici si devono riversare coloro che hanno necessità di un’assistenza domiciliare quotidiana di un certo livello?

Tutto questo mi ha permesso di riflettere su quanto nel nostro Paese ci sia ancora molto da fare, seppur molte cose siano state fatte e rispetto ad altri Paesi del mondo possiamo dirci all’avanguardia. Rimane il problema però. Quanto è necessaria la lentezza con cui le Istituzioni rispondono al bisogno quando le necessità si palesano gravi e talvolta senza ritorno? È un tema sul quale bisogna tornare a discutere.

Resta un’evidenza, in ogni caso, toccare con mano e sperimentare in prima persona, anche solo per un periodo limitato, un problema reale rappresenta un’esperienza ben più significativa ed istruttiva di centinaia di discussioni accademiche sul tema, tavole rotonde o la lettura di pamphlet dedicati alla persona disabile e alla sua famiglia.
Al netto di tutto quanto lo Stato, la Regione e gli enti territoriali possano fare, rimane evidente un fatto: senza una rete di supporto, la solidarietà interpersonale, una comunità capace di guardare all’altro come ad un fratello cui porgere la mano, la solitudine rimarrebbe il dato preminente. Da soli, pur con tutti i supporti indispensabili, saremo destinati al fallimento. Non ci si salva mai da soli. La prima cura per una persona in difficoltà, disabile o ammalata, è sempre la relazione.

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