Senso religioso e politica

Di Michele Rosboch
21 Gennaio 2024
Tenere viva la dimensione politica e iniziare a esercitare un giudizio vero e condiviso è ancora più importante oggi, soprattutto nelle questioni di maggior conflitto
Le bandiere issate durante il Consiglio dei Ministri presso palazzo Chigi, Roma, 23 ottobre 2023 (Ansa)
Le bandiere issate durante il Consiglio dei Ministri (Cdm) presso palazzo Chigi, Roma, 23 ottobre 2023 (Ansa)

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo la relazione “Senso religioso e politica” tenuta dal professore Michele Rosboch, professore di Storia del diritto all’Università degli Studi di Torino, al raduno dell’associazione Esserci a Bologna, 11 novembre 2023.

In una significativa intervista rilasciata da Augusto Del Noce a Il Sabato nel 1987 si legge che «isolando la politica della religione per i cattolici inizia una strada verso il suicidio». Si tratta di un giudizio da prendere sul serio, utile per comprendere correttamente il rapporto fra senso religioso e politica.

Del resto, proprio nel libro Il senso religioso, don Luigi Giussani ricorda che tutta la problematica umana è riconducibile a tre categorie sintetiche: il destino, l’affettività e la politica. Astrarre e isolare la politica dalla ricerca e dall’affermazione dei significati ultimi significa ridurla a mera tecnica di potere; inoltre, se a una proposta completa, quale è quella cristiana, si sottrae un aspetto rilevante come quello politico, inizia la strada dell’irrilevanza.

In un altro testo don Giussani ricordava che «l’impegno a una trasformazione globale di una società – perché il volto della società sia più autentico, più umano – non sia da dimenticare: non possiamo non tenerlo continuamente presente come la sfida che Dio fa alla nostra inerzia e alla nostra pigrizia proprio attraverso il mondo. Nella storia della Chiesa è sempre stato così: proprio l’impegno mondano – che, pur faziosamente e parzialmente, sottolinea però una urgenza o un aspetto della vita – provoca la ripresa di coscienza, la crisi e la ripresa di coscienza all’interno del popolo cristiano autentico. Iddio si serve di ciò che accade».

1. La politica non è un’opinione

Ad una prima osservazione nulla sembra più opinabile della politica. La valutazione su di essa sembra dominata dal principio “tot capita tot sententiae”, ma a un’osservazione più attenta e completa risulta invece evidente che senza esercitarsi in un giudizio tendente alla verità, considerando tutti i fattori in gioco alla luce di criteri adeguati, si finisce per essere alienati e schiavi della moda del momento, intruppati in un pensiero unico non cristiano. Pensando di essere molto liberi e molto originali si pensa come tutti! Facilmente, infatti, per osmosi, si è invasi dalla mentalità comune con i suoi pregiudizi.

Tenere viva la dimensione politica in quanto tale e iniziare a esercitare – per come si può – un giudizio vero e condiviso sulla politica è più importante oggi soprattutto nelle questioni di maggior conflitto. È lì che emerge l’importanza di una mentalità nuova e di una cultura nuova, da cui possono nascere giudizi originali. Un esempio significativo è quello della sussidiarietà, da sempre sottolineata dalla dottrina della Chiesa, riproposta con forza dagli anni Ottanta del secolo scorso dal Movimento Popolare prima e dalla Cdo poi, e oggi di utilità comune e riconosciuta a tutti i livelli.

Adesso ne parlano tutti, talvolta anche a sproposito, e forse bisogna aggiornarsi nelle sue conseguenze, però è stato posto un punto originario, espressivo di una mentalità nuova basata sul senso religioso vissuto; da questo punto di vista non c’è nulla di più lontano da un giudizio che nasce dal senso religioso della cosiddetta “scelta religiosa”. La scelta religiosa è una contraddizione del senso religioso, perché separa arbitrariamente ambiti che, pur distinti, vanno ricondotti come finalità e come orizzonte a una origine unitaria legata all’appartenenza alla comunità cristiana. Il giudizio politico e la conseguente azione sono legati – pur nella loro provvisorietà – alla presenza di comunità liberanti, «esperte di umanità» (secondo la felice espressione di Paolo VI) e fondate sul senso religioso proprio di ogni uomo.

2. Senso religioso, cultura e politica

«La politica, in quanto forma più compiuta di cultura non può che trattenere come preoccupazione fondamentale l’uomo» diceva Giovanni Paolo II all’Unesco nel 1980. Credo di poter dire che la politica è una forma “compiuta” di cultura perché riguarda i rapporti fra gli uomini e l’intera società (non solo i singoli) e implica necessariamente una visione complessiva, basata su una visione metafisica e antropologica delle cose. Da questo punto di vista il richiamo ostentato dell’autonomia della politica da ogni visione del mondo è irricevibile, oppure molto interessato, perché implica a sua volta la visione del mondo “relativista”. Anche l’idea che la politica sia soprattutto tecnica e competenze è parziale: ovviamente la competenza è fondamentale, ma qualunque competenza è sempre nelle mani di uomini che hanno una visione e “idee”. Non c’è politica senza visione ideale, implicita o esplicita, ed è molto meglio che sia esplicita, perché quando è troppo implicita può nascondere qualcosa di non chiaro.

Dentro un ideale unitario la politica ha caratteristiche proprie soprattutto perché intercetta il potere e riguarda la giustizia, che implica non l’agire di un singolo uomo, ma di tutti gli uomini nella loro convivenza complessiva. La politica non è tutto, ma tutto tocca la politica, direttamente o indirettamente, fatto salvo il grande limite della coscienza dell’uomo in cui il potere politico non può e non deve entrare. Da questo punto di vista, il senso religioso vissuto come dinamica propriamente umana e come fede in una risposta adeguata, illumina dimensioni che sono fondamentali per giudicare la politica e vivere la politica. Io ne individuo tre, frutto delle sottolineature che fa don Giussani.

  • La prima è che il senso religioso, vissuto e compiuto nella fede, costituisce l’unità della persona. Mai come nell’agire e nel giudicare la politica la disunità della persona impedisce un giudizio di verità, invece l’unità della persona nasce come tensione ideale unificante in grado di ricondurre tutto (anche la politica) a un criterio unico sintetico.
  • In secondo luogo, il senso religioso vissuto mette insieme gli uomini: dimensione fondamentale dell’io è essere legato a tutti gli uomini e cercare con loro di affrontare la vita e rispondere ai bisogni che emergono; da qui l’importanza decisiva della libertà di associazione. Per salvare la libertà in quanto tale bisogna salvare la possibilità di difenderla insieme. La libertà di associazione potenzia la libertà individuale ed è il criterio fondamentale per entrare correttamente nell’azione politica, anche perché il giudizio politico per la sua complessità e per la sua articolazione non può essere mai un giudizio solitario. A riprova di ciò, è interessante notare come i totalitarismi colpiscono sempre e prima di tutto proprio la libertà di associazione; infatti solo libere associazioni possono affrontare il potere, fino a cambiare anche gli assetti costituiti.
  • Un terzo aspetto è che dal senso religioso nascono i valori fondamentali della vita e della convivenza umana nella sua globalità, perché individua adeguatamente la “natura” dell’uomo e delle cose. La libertà è adesione alla verità e alla “natura” non tangibile della realtà: anche la politica deve rispettarle, altrimenti diventa oppressiva e illiberale.

3. Il realismo e l’aderenza alla storia

Uno dei punti fondamentali di un giudizio politico integrale è di essere realista, nel senso di aderire alla realtà: aderire alla realtà storica nel suo divenire e nel suo sviluppo prospettico. Proprio il senso religioso abilita a tale realismo ed è amico della tradizione: nessuna esperienza umana comincia da zero, ma non può che basarsi sulla storia da cui proviene. In questo senso, l’esperienza cristiana può attingere su un grande patrimonio sintetizzato nella dottrina sociale della Chiesa: essa non è rinunciabile per una comunità cristiana e propone criteri che – nella loro verità – non sono “confessionali, ma valgono per tutti e convengono a tutti” (come ha recentemente ricordato papa Francesco nel Messaggio ai membri del gruppo del Ppe al Parlamento Europeo, 9 giugno 2023).
Aderire alla realtà non significa seguire le ideologie prevalenti, ma tentare di giudicarne il divenire storico secondo i criteri che nascono dal senso religioso e dalla dottrina sociale. Ad esempio, per un certo tempo si è pensato da parte di molti che fosse irrinunciabile attingere al marxismo, oggi alcuni ritengono di dover seguire le spinte della tecnocrazia o della woke culture: attenzione però che anche le presunte novità esauriscono il loro impeto, invecchiano presto e rivelano i lori difetti.

Giudicare la storia è fondamentale anche per agire in politica da cristiani e con efficacia senza accettare acriticamente le categorie degli altri. Come ha ben sottolineato Augusto Del Noce: «Una forza che detenga il potere politico lasciando ad altre il prevalere in campo culturale non può gestire tale potere che in favore di quella parte… Dobbiamo riconoscere dunque che in qualche campo della cultura c’è un’inferiorità dei cattolici. Ed è quello specifico della politica della cultura cioè dell’interpretazione del tempo presente». È un’appartenenza vissuta e piena di strumenti culturali che aiuta anche la politica: richiamando il punto inziale del nostro discorso, la politica è una forma compiuta di cultura e quindi, come tale, ha bisogno della cultura in senso stretto.

Un ultimo aspetto importante del realismo e dell’aderenza alla storia è che una presenza politica non ha paura e non rifugge gli strumenti propri della politica; anche se in crisi profonda, c’è uno strumento che è sorto per indirizzare l’azione politica: i partiti politici. I partiti politici sono stati nella storia un tentativo di rendere agibile la rappresentanza politica e anche se hanno dato pessima prova di sé negli ultimi decenni sono comunque un significativo corpo intermedio ancora irrinunciabile per chi voglia impegnarsi con intelligenza nella realtà politica.

Per concludere: la politica agita secondo i criteri individuati è di per sé un’opera, un’opera che fa parte di una vocazione, una forma altissima di carità, secondo l’espressione di Paolo VI. Come tutte le opere va sostenuta collettivamente: anche in politica, più si è uniti più si è liberi, meno si è uniti e più si è deboli, facilmente in balìa delle impressioni momentanee: «È una sfida appassionante, che si gioca soprattutto al livello della coscienza, e che mette anche in luce la qualità di chi fa politica. Il politico cristiano dovrebbe distinguersi per la serietà con cui affronta i temi, respingendo le soluzioni opportunistiche e tenendo sempre fermi i criteri della dignità della persona e del bene comune» (Francesco, Messaggio ai membri del gruppo del Ppe al Parlamento Europeo, 9 giugno 2023).

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