Se vien giù il “sistema” Emilia-Romagna

Di Emanuele Boffi
24 Gennaio 2020
Si moltiplicano i segnali di nervosismo a sinistra per il voto in Regione. Che succede? Due chiacchiere con Castaldini, D'Andrea, Foschini
bonaccini borgonzoni

Forse sono solo segnali che saranno smentiti dalla realtà – la storia della politica è ricca di previsioni sconfessate dal voto -, ma negli ultimi giorni qualcosa è cambiato nel tono con cui media e politici raccontano il voto imminente in Emilia-Romagna.

“Comunque vada”

Sono sempre più frequenti, infatti, le dichiarazioni da parte di esponenti di Pd e M5s di chi assicura che, “comunque vada”, il voto locale non pregiudicherà la tenuta dell’esecutivo giallorosso (lo ha fatto ieri, tra gli altri, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri parlando con Bloomberg). Così come la richiesta, da parte del candidato di centrosinistra Stefano Bonaccini di un confronto con la sfidante del centrodestra Lucia Borgonzoni. Si sa, è sempre chi insegue a provare la carta della sfida pubblica per provare a “recuperare”. Allo stesso modo, vanno registrati i toni positivi dalle parti della minoranza e le allusioni che scappano dalla penna ai retroscenisti dei giornali che così ci fanno sapere, senza poterlo dire, cosa c’è scritto sui sondaggi che quotidianamente finiscono sulle scrivanie dei leader di partito.

Domenica notte si saprà dunque se l’Emilia-Romagna, dopo mezzo secolo di egemonia rossa, cambierà colore, oppure se, ancora una volta, la Regione rimarrà nelle mani della sinistra. Resta il dato più macroscopico e cioè che l’Emilia-Romagna è diventata contendibile politicamente, un’eresia nemmeno pensabile fino a pochi anni fa.

L’ha capito anche Bonaccini

Cosa è successo in questi anni? Su Tempi Alfredo Cazzola e Sergio Belardinelli hanno spiegato che è già da qualche anno che in Emilia-Romagna non è tutto rosso quel che luccica. La stessa scelta del candidato dem Stefano Bonaccini, una vita a sinistra tutta interna al partito, di non presentarsi col logo Pd, di scegliere il verde come colore per la propria campagna elettorale, di scongiurare i vertici del partito di non farsi vedere in regione, sono tutti dati significativi che raccontano una certa “svolta”. «La gente – ci spiega Valentina Castaldini, candidata per Forza Italia – è stufa dell’arroganza dimostrata dal Pd in questi anni. È stanca di un sistema che per anni ha deciso tutto, organizzato tutto, incluso tutto. L’ha capito lo stesso Bonaccini che ha provato a presentarsi come qualcosa di “diverso”. E forse un po’ ce l’ha fatta ed è probabile che la lista civica col suo nome andrà bene. Il dato politico, però, è l’altro: andrà bene a discapito del Pd».

Egemonia soffocante

«Negli ultimi anni, la politica di Bonaccini si è caratterizzata per i contributi a pioggia atti a preparare una basa di consenso che andasse oltre i perimetri storici del partito», spiega Diletta D’Andrea, consigliere comunale a Ferrara, la città conquistata dal leghista Alan Fabbri. Certi slogan, che fino a ieri erano dei postulati, oggi sono attraversati dalle crepe del dubbio e dello scontento. L’idea dell’efficienza, ad esempio, unico vero cavallo di battaglia di Bonaccini per cercare la riconferma, mostra di essere un po’ logora. «Soprattutto perché – chiosa Castaldini – è vera fino a un certo punto. Per anni il discorso della sinistra è stato: “Io so cosa bisogna fare, adeguatevi”. Questo ha creato un’idea di bene comune che è il contrario della libertà, del rischio d’intrapresa, dell’iniziativa personale. È bene solo ciò che dico e permetto “io”: io partito, io Pd, io sinistra. Di questa egemonia soffocante le gente è stufa, non si fida più, cerca qualcosa di nuovo».

Sussidiarietà alla rovescia

D’Andrea conferma l’analisi: «Io la chiamo “sussidiarietà alla rovescia”. A Ferrara questa cappa ideologica è venuta meno dopo settant’anni e l’aria che si respira, soprattutto in certi comuni della provincia, è proprio diversa rispetto a qualche anno fa». Ad esempio, fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile che l’allenatore del Bologna calcio si schierasse per il centrodestra. Ci voleva il serbo Sinisa Mihajlovic per rompere l’incantesimo di una società civile che non si riconosce più nel mainstream di sinistra.

Sardine boomerang

E le Sardine? Il fenomeno, sostenuto dalla grancassa mediatica, è andato via via sgonfiandosi e, soprattutto, rivelandosi. Col passare del tempo è venuta via la patina di spontaneità con cui lo si era dipinto, rivelandosi per quel che è: la sinistra sotto altro nome. Hanno cercato in tutti i modi di presentarlo come fenomeno apartitico, ma, come ha notato sulla Stampa il politologo Giovanni Orsina, alla fine si è rivelato un boomerang: «Alla fine hanno dovuto mostrare il loro vero volto – dice Castaldini -, con lo spiacevole corollario che la loro presunta neutralità permette loro di fare campagna elettorale sotto mentite spoglie nelle scuole o durante il silenzio elettorale».

Guazzaloca l’antisistema

Il Pd le ha provate proprio tutte pur di apparire ciò che non è. Il colmo è stato raggiunto a Bologna dove ha cercato di far apparire il “civico” Bonaccini come il legittimo erede del “civico” Sergio Guazzaloca, primo sindaco “non di sinistra” della città. Un’operazione orchestrata da Pieferdinando Casini, una vita a destra finito ora a sinistra, che ha provato in maniera maldestra a mischiare le carte pur di raccattare qualche simpatia all’esangue sinistra. «Così, io e Enzo Raisi – racconta a tempi.it Paolo Foschini, avvocato, che fu assessore nell’amministrazione guazzalochiana – ci siamo ribellati. È vero che oggi nessuno può sapere cosa voterebbe “Guazza”, ma far passare Bonaccini come il suo erede mi pare davvero un po’ troppo. Innanzitutto perché Guazzaloca scese in campo proprio per opporsi a quel “sistema” di cui Bonaccini è emblema e in secondo luogo perché questa riabilitazione postuma è molto sospetta. Mi fa quasi sorridere che oggi la sinistra e Repubblica rivalutino i componenti di quella giunta per contrapporli agli “omofobi”, “razzisti” e “fascisti” di oggi. Ma io ricordo bene gli insulti che ci rivolgevano vent’anni fa. E sa come ci chiamavano? Omofobi, razzisti e fascisti».

Foto Ansa

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