
Se vi piace chiamatela ripresa

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ormai da troppo tempo la ripresa economica dell’Eurozona e del nostro paese “continua” ma, in prospettiva, si prevede che procederà a un ritmo moderato, sebbene stabile, con un rialzo graduale dell’inflazione in linea con le aspettative. In sostanza, non arriva il cambio di passo. L’economia dell’Eurozona si è comunque mostrata “resistente” alle incertezze aiutata anche dalle misure monetarie, anche se le prospettive economiche restano soggette a rischi al ribasso. Serve inoltre una decisa accelerazione sulle riforme strutturali in tutti i paesi europei al fine di agevolare gli investimenti delle imprese e l’attività economica a breve termine. Infatti, continue delusioni sulla crescita pesano sulle aspettative di crescita, che deprimono commercio, investimenti, produttività e salari, il che porta a sua volta a un’ulteriore revisione al ribasso delle aspettative di crescita e a un infiacchimento della domanda.
Prosegue anche la fase di incertezza per l’economia italiana, con segnali di rallentamento dei consumi, accompagnati da un aumento del potere d’acquisto delle famiglie e dall’incremento delle esportazioni. La revisione al ribasso delle stime di crescita italiane è dovuta al fatto che investimenti e scambi non si sono rivelati così fruttuosi come si prevedeva; e saremo probabilmente uno dei paesi maggiormente colpiti dalla bassa crescita dell’area dell’euro nel 2017. Se poi sono stati fatti notevoli progressi in materia di diritto del lavoro, che hanno dato slancio alla ripresa occupazionale, l’auspicio era che questo slancio continuasse nel 2016 ma le speranze sono andate deluse.
Una batosta senza precedenti
Siamo ancora il settimo paese al mondo per quanto riguarda il settore manifatturiero, ma con una quota dimezzata rispetto al periodo pre-crisi. Una batosta che non ha eguali rispetto a quanto avvenuto nelle altre economie europee con le quali il Belpaese compete: fatta 100 la produzione industriale italiana nel 2010, nel primo trimestre del 2007 l’Italia si attestava a quota 118 ma nel primo trimestre di quest’anno era precipitata a quota 92. Si tratta – bisogna rilevare – di un dato che si ripete dal primo trimestre del 2013, a indicare che dopo i contraccolpi della crisi finanziaria che si è avvitata sull’economia reale, il paese è entrato in una fase di lunga stagnazione. Anche per quanto riguarda gli investimenti l’Italia è ben lontana dai valori registrati dai vicini europei: dal 2007 al 2016 sono crollati di oltre cinque punti nel Belpaese. Tra gli ostacoli con cui dobbiamo fare i conti c’è la bassa profittabilità, in recupero rispetto ai minimi storici toccati nel 2012, ma ancora penalizzata da un costo del lavoro che sale (+24,6 per cento tra 2007 e 2015) a ritmi quasi tripli di quelli della produttività (+9,5 per cento).
Da una parte, nonostante tutto, ci sono elementi che dovrebbero sostenere una nuova fiducia: il Pil cresce, anche se di poco, per il secondo anno di fila, aumenta il numero di coloro che riescono a risparmiare e anche il mercato immobiliare dovrebbe avere finalmente intrapreso la strada dell’uscita da una crisi molto lunga per avviarsi verso una fase caratterizzata da stabilità dei prezzi e aumento delle transazioni. D’altra parte, però, questa ripresa è stata contenuta rispetto alle attese di molti e non ha riguardato tutti: più di un quarto delle famiglie soffre in maniera diretta o indiretta della crisi, la cui fine appare a tutti ancora piuttosto lontana. Da giugno 2015 a giugno 2016, altre 63 mila persone sono entrate nel bacino italiano dei “deboli”: oggi complessivamente nel nostro paese ci sono più di 9 milioni di persone in difficoltà. Crescono in particolare gli occupati precari: in un anno è aumentato il lavoro non stabile per circa 200 mila soggetti che vanno quindi ad allargare la fascia di italiani a rischio. Inoltre la situazione dell’Unione Europea sembra generare diversi timori per il futuro del paese.
Per il quarto anno consecutivo si allarga la fetta di italiani che affermano di essere riusciti a risparmiare negli ultimi dodici mesi, passando dal 37 per cento del 2015 al 40 per cento attuale, superando di gran lunga coloro che consumano tutto il reddito che hanno a disposizione (il 34 per cento). Al contempo, però, tornano ad aumentare le famiglie in saldo negativo di risparmio, dal 22 per cento del 2015 al 25 per cento attuale, perché cresce il numero degli italiani che intaccano il risparmio accumulato (dal 16 per cento dello scorso anno al 19 per cento attuale) e aumenta di 6 punti la percentuale di chi ricorre a prestiti. Nello specifico, i prestiti finalizzati hanno fatto registrare una crescita del 12 per cento, mentre per i prestiti personali la domanda cala del 2,1 per cento.
Investire? No, grazie
Tutti i diversi settori merceologici mostrano, recentemente, una riduzione della negatività. Dopo l’aumento registrato a settembre, l’indicatore composito della fiducia delle imprese è ulteriormente salito a ottobre, per effetto di un miglioramento della fiducia nella manifattura, nei servizi e nelle costruzioni, mentre nel commercio al dettaglio si è registrato un lieve peggioramento dopo i segnali estremamente positivi del mese scorso: ciclo delle scorte, aspettative e ordini esteri apportano elementi di positività che attenuano i rischi di rallentamento per il futuro.
Nel complesso, come detto, non sono da mettere in conto accelerate dell’economia. Preoccupa la debolezza della domanda interna, restano positivi gli ordinativi esteri, ma sono fermi gli ordini interni, che segnano una variazione congiunturale nulla. La crisi è ancora parte integrante della vita degli italiani: il 56 per cento ritiene che durerà ancora per anni. La metà dei nostri connazionali si aspetta di tornare ai livelli pre-crisi soltanto dopo il 2021. E le famiglie colpite direttamente dalla crisi sono tuttora molte, più di una su quattro. Il numero dei soddisfatti rispetto alla propria situazione economica supera ancora quello degli insoddisfatti, ma solo di poco. Da notare anche che per la prima volta coloro che non hanno fiducia nell’Unione Europea in quanto tale sono diventati maggioritari: dal 2009 a oggi la percentuale dei fiduciosi è arretrata di ben 23 punti.
Riguardo agli investimenti, ancor più che nel passato, chi ha risorse disponibili mostra una forte preferenza per la liquidità, preferenza che riguarda due italiani su tre. Mentre chi investe lo fa solo con una parte minoritaria dei propri risparmi. Quello che si delinea, insomma, è il ritratto di un risparmiatore che rifugge il rischio, perché ritiene sempre più di non essere sufficientemente tutelato da leggi e controlli: nel 2016 il 74 per cento degli italiani considera inefficaci le norme e la vigilanza, mostrando una brusca inversione di tendenza rispetto agli ultimi due anni, e c’è sempre meno fiducia che la tutela del risparmiatore aumenti nei prossimi cinque anni. Questo spiega come mai, considerando lo scarso rendimento degli investimenti ritenuti più sicuri, a fronte di un aumento di capacità di risparmio, cresce al contempo la preferenza per la liquidità.
Dai numeri e dalle opinioni elencati emerge una notevole polarizzazione tra chi sta bene ed è sempre più tranquillo nelle scelte di consumo e di risparmio e chi invece è in difficoltà e non vede miglioramenti nella propria situazione.
Francesco Megna è funzionario di banca, area Corporate
Foto Ansa
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