
Se scricchiola il fronte in Ucraina

Un carico di missili, razzi e proiettili da 155 millimetri per l’artiglieria è arrivato domenica in Ucraina, la prima “rata” dei 61 miliardi di dollari di aiuti militari approvati dal Congresso americano dopo mesi di stallo. L’esercito di Kiev lo attendeva con ansia per provare a resistere all’avanzata russa nel Donbass, che si fa ogni giorno più pressante. Un secondo lotto di armi ha varcato il confine dalla Polonia lunedì.
Ne arriveranno molti altri ma i tempi non saranno brevi per esigenze di sicurezza e difficoltà nel trasporto: per gli armamenti più importanti, come i Patriot, serviranno mesi. L’estate potrebbe essere già passata, prevede il New York Times, prima che Kiev possa utilizzarli in battaglia.
La Russia accerchia Chasiv Yar
Potrebbe essere troppo tardi. Anche se Avril Haines, direttrice dell’Intelligence nazionale americana, ha ribadito giovedì davanti al Senato che «è improbabile che la guerra finisca presto», questo non significa che la Russia non possa approfittare dei prossimi mesi per sfondare nel Donbass.
La situazione al fronte nell’est del paese è critica: approfittando di un clamoroso errore dell’esercito ucraino, che si è fatto trovare impreparato, nei giorni scorsi le truppe di Mosca hanno conquistato il villaggio di Ocheretyne, a nord di Avdiivka. Allo stesso modo, stanno premendo su Sivers’k nel tentativo di accerchiare Chasiv Yar.
I timori dell’Ucraina: è solo questione di tempo
La battaglia per la città collinare dell’oblast di Donetsk è già iniziata e i generali ucraini temono che possa cadere presto. A due soli mesi dalla presa di Avdiivka, i russi premono per quello che è considerato un bastione fondamentale: la sua posizione rialzata permette infatti di dominare le valli circostanti e aprirebbe la strada alla conquista di Kramatorsk, l’ultima grande città dell’est del paese su cui sventola ancora la bandiera ucraina.
Chasiv Yar è difficile da conquistare perché è posizionata su una collina e perché è protetta dalla barriera artificiale di un canale. Ma nella notte di giovedì l’esercito russo è riuscito ad aprirsi un passaggio. Secondo la fosca previsione del generale Vadym Skibitsky, vicedirettore dell’intelligence militare di Kiev, «Chasiv Yar non cadrà né oggi, né domani». Ma, ha aggiunto in un’intervista all’Economist, è solo questione di tempo.
Kiev invoca il ritorno di 700 mila uomini
Per il generale Skibitsky il problema è che «non abbiamo armi». Ma ce n’è un altro, ben più grave: all’Ucraina mancano i soldati, sia per rinforzare le brigate che hanno subito enormi perdite negli ultimi mesi, sia per ruotare gli uomini al fronte e concedere un po’ di riposo a chi combatte ininterrottamente da due anni.
La nuova legge sulla mobilitazione approvata a metà aprile dal Parlamento di Kiev entrerà in vigore il 18 maggio, ma potrebbe non bastare. Anche per questo l’Ucraina sta cercando di convincere, con le buone o le cattive, oltre 700 mila uomini ucraini tra i 18 e i 64 anni che vivono in Europa a tornare indietro per arruolarsi nell’esercito.
Tra le misure adottate dal Parlamento di Kiev c’è la sospensione dei servizi consolari, come ad esempio il rinnovo del passaporto, per tutti coloro che vivono all’estero. Se le autorità in Polonia si sono dette pronte a obbligare le decine di migliaia di ucraini che vivono nel paese a tornare in Ucraina, quelle in Estonia hanno assicurato che «nessun cittadino scappato dalla guerra sarà costretto a tornare in patria».

Macron sibillino sull’invio di truppe in Ucraina
Se l’Ucraina non riuscirà a mobilitare centinaia di migliaia di nuovi soldati, il fronte potrebbe presto crollare. E se finora i paesi Nato hanno ribadito che non intendono aiutare l’Ucraina con l’invio dei rispettivi eserciti, Emmanuel Macron, in un’intervista all’Economist, ha invece affermato che «se la Russia dovesse sfondare la linea del fronte, e se ci fosse una richiesta da parte dell’Ucraina, cosa che oggi non avviene, allora dovremmo legittimamente porci la domanda».
Il nuovo intervento del presidente francese non ha lasciato indifferente Mosca, che ha definito le sue parole «molto pericolose: c’è il rischio di una escalation diretta».
La guerra tra blocchi contrapposti
Il pericolo di uno scontro diretto tra blocchi contrapposti continua ad aumentare con il prolungarsi del conflitto in Ucraina non solo dal punto di vista della retorica. Se Kiev resiste grazie alle armi fornite dai paesi Nato, la Russia combatte con il sostegno militare dell’Iran, che ha venduto al Cremlino migliaia di droni, della Corea del Nord, che ha fornito missili balistici, proiettili di artiglieria e altre munizioni, e della Cina.
Pechino, secondo gli Stati Uniti, non ha inviato armi alla Russia, ma ha garantito importanti forniture di macchinari per l’industria bellica, droni, motori a turbogetto e tecnologia per i missili da crociera, oltre ad aiutare i russi a migliorare la propria rete satellitare da utilizzare in Ucraina.
«Bisogna trovare il modo di convivere»
La guerra scatenata dalla scellerata invasione russa dell’Ucraina si sta dunque trasformando, come preconizzato da Joe Biden, in un conflitto tra paesi occidentali e regimi autocratici. Ma questa contrapposizione non è un destino ineluttabile, come dichiarava un anno fa a Tempi Aldo Ferrari, docente all’università Ca’ Foscari di Venezia e responsabile per l’Ispi del programma di ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale:
«Parlare di democrazie da una parte e autocrazie dall’altra è sbagliato culturalmente e pericoloso politicamente. In questo modo Biden crea una barriera ideologica: noi di qua, voi di là, noi abbiamo ragione, voi torto. Questa impostazione americana è errata perché dobbiamo trovare il modo di convivere tutti in questo mondo. Ovviamente l’Occidente deve difendere la propria storia e cultura, ma bisogna accettare e cercare di convivere, politicamente ed economicamente, anche con chi ha parametri differenti. Ora non lo stiamo facendo».
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