
Il Deserto dei Tartari
Se Roccella aspetta la solidarietà dei progressisti, aspetta invano

Dovrà aspettare parecchio il ministro della Famiglia Eugenia Roccella, se davvero si attende la solidarietà di tutti i principali leader politici italiani e degli intellettuali (non siamo d’accordo a definirli tali) Antonio Scurati, Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Chiara Valerio. Angelo Bonelli, leader di Verdi-Sinistra Italiana, e l’autore di Gomorra hanno già fatto sapere che non solidarizzano col ministro, ma con coloro che le hanno impedito di parlare. E forse bisogna ringraziarli per la schiettezza e l’onestà delle loro dichiarazioni.
Molti avversari politici che oggi esprimono sentimenti di vicinanza all’ex esponente radicale in realtà dentro di sé si augurano che perduri l’embargo contro le opinioni che contrastano con le loro, grazie all’azione muscolare di gruppuscoli di giovani attivisti sui quali poi si fa ricadere l’obbrobrio dell’accaduto. Ci sono infatti progressisti ipocriti e machiavellici e ci sono progressisti disinibiti e spavaldi. Ma il problema, per la democrazia in generale e per quella italiana in particolare, resta lo stesso: l’esistenza dell’ideologia progressista.
La comune radice di marxismo e fascismo
I progressisti sono convinti di avere loro la verità in tasca, e quindi non capiscono perché dovrebbero lasciar parlare quelli che non ce l’hanno. Alcuni di loro tollerano hegelianamente che i loro oppositori si esprimano, ritenendo che la tesi (quel che loro affermano) abbia bisogno dell’antitesi per inverarsi nella sintesi. Altri semplicemente agiscono in modo che reazionari, oscurantisti, premoderni e antimoderni, difensori del sacro e della metafisica, conservatori in genere non possano esprimersi e organizzarsi, perché fanno perdere tempo: ritarderebbero l’avvento del bene, impedirebbero di sciogliere le catene della schiava umanità.
Viene spontaneo – l’ho fatto anch’io e lo farò ancora – accusare di fascismo le “transfemministe” che hanno impedito lo svolgimento dell’intervento di Eugenia Roccella; del fascismo utilizzano il metodo dell’intimidazione dell’avversario, della negazione della libertà di espressione, del ricorso alla massa fisica squadrista per uccidere nella culla il ragionamento razionale. Ma non bisogna mai dimenticare che il fascismo è parte del pensiero moderno storicista hegeliano tanto quanto il marxismo, e quindi ne condivide la visione progressista della storia: la verità coincide con la storia, la filosofia coincide con la storia. Giovanni Gentile, che definisce il fascismo la più grande rivoluzione spirituale italiana, è il maestro principale di Antonio Gramsci: in comune hanno la filosofia della prassi.
Come scrive Daniela Coli:
«Proprio dall’incontro con Marx, Gentile esce confermato nell’identità tra filosofia e storia e tra filosofia e politica. Gentile è il filosofo che influenza maggiormente il pensiero politico italiano del Novecento e in particolare quello di Gramsci, come sottolinea Del Noce. “Il neomarxismo di Gramsci”, scrive del Noce in Il suicidio della rivoluzione, “vuole essere la riaffermazione di Marx dopo la “filosofia dello Spirito”, correttamente intesa come riforma dell’hegelismo, quale si rendeva necessaria dopo il marxismo, all’interno dello hegelismo”. Come afferma Del Noce, Gentile costruisce un paradigma italiano, nel quale soltanto Gentile e Gramsci possono trovare spiegazione come pensatori italiani» (D. Coli, “Del Noce, Gentile e Gramsci”, in Filosofi cattolici del Novecento. La tradizione in Augusto De Noce, FrancoAngeli 2009, p. 129).
Ma oggi chi studia più Del Noce, Gentile e Gramsci, in un paese dove sono considerati intellettuali di punta Scurati, Saviano, Michela Murgia…?
Che cos’è la democrazia
Ma torniamo al punto. Bonelli dice: Roccella deve accettare di essere fischiata e schernita, perché ciò fa parte della democrazia. È vero esattamente il contrario: la democrazia parte dal presupposto che le soluzioni a problemi complessi si trovano ascoltando i diversi punti di vista, perché nessuno può essere sicuro di sapere già tutto e di avere lui la verità in tasca; dopo aver ascoltato tutti si decide a maggioranza, partendo dal presupposto che tutti gli esseri umani sono dotati di ragione e che la eserciteranno per valutare i diversi orientamenti, i diversi valori e le diverse proposte di soluzione messe in campo. Perciò alla fine dovrebbe saltar fuori la decisione più conforme a ragione.
Non è sempre così, lo sappiamo bene: a maggioranza sono state approvate cose abominevoli, dalla condanna a morte dell’innocente Gesù all’ascesa al potere del nazismo, fino all’approvazione di leggi ultra abortiste. Ma è evidente che una volta disconosciuta la sacralità del potere politico – non crediamo più che re e imperatori governino per volontà divina e che siano specialmente assistiti da Dio nelle loro decisioni di governo – non restava che tornare all’eredità politica ateniese, corretta con forti dosi di liberalismo.
La lezione mai imparata di Karl Popper
Ma i progressisti non vedono le cose in questa maniera. I progressisti ri-sacralizzano la politica nella misura in cui sacralizzano i loro punti di vista: loro sanno cosa è il bene, loro sanno in che direzione va la storia, loro sanno cosa bisogna pensare del passato, fare del presente e progettare del futuro. La televisione è il loro ambito di elezione, perché permette di riprodurre l’atmosfera sacrale nella quale distillano il loro verbo con modi sacerdotali e ritmi liturgici: chiunque abbia assistito a un’esibizione di Roberto Saviano di fronte a un estatico Fabio Fazio sa di cosa stiamo parlando.
Tutto il contrario della visione della democrazia di Karl Popper, filosofo della scienza antistoricista per eccellenza: nessuno può pretendere di possedere la scienza perfetta della società, sempre la politica avrà bisogno di autocorreggersi, e questo non può avvenire se chi governa pretende di possedere il senso della storia. Come scriveva Matteo Perrini:
«La storia, l’economia, il divenire sociale, le relazioni tra le diverse attività dell’uomo sono realtà altamente complesse; eppure c’è chi crede di averne afferrato e formulato le leggi nella loro “bronzea necessità” e inconfutabilità. Popper obietta semplicemente che noi tutti, come individui e come umanità, “siamo ricercatori di verità ma non siamo i suoi possessori” e ci invita a concepire la scienza come “una costruzione su palafitte” sempre fallibile, sempre precaria e che tuttavia realmente progredisce per approssimazioni successive alla verità oggettiva. Di qui l’affinità elettiva profonda tra la concezione fallibilistica della scienza e le democrazia».
Ritorno agli anni Settanta
Nell’Italia dominata dallo storicismo gentiliano-gramsciano, e dall’egemonia del Partito comunista sul mondo accademico e sulle case editrici nel secondo dopoguerra, La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper ha dovuto aspettare trent’anni prima di essere tradotta in italiano! Oggi abbiamo un libro come The Demon in Democracy – Totalitarian Temptations in Free Societies dell’intellettuale polacco Ryszard Legutko, che fa il punto sulla degenerazione contemporanea del liberalismo in radicalismo liberal, che da otto anni aspetta di essere tradotto in italiano. Niente di nuovo sotto il sole.
Chi, come me, ha nella sua biografia le vicende degli anni Settanta nelle scuole medie superiori e nelle università italiane, non si fa illusioni: Bonelli, Saviano, le transfemministe, le Michele Murgia e le loro epigone, i Christian Raimo e i loro compagni, gli Zerocalcare e i loro lettori, sono i discendenti diretti dei militanti di Potere operaio, di Autonomia operaia, di Avanguardia operaia, del Movimento dei lavoratori per il socialismo e di tutti gli altri gruppuscoli che negli anni Settanta si assegnavano il compito di impedire l’”agibilità politica” nelle scuole e nelle università a chi non la pensava come loro. Con l’intimidazione e con le aggressioni fisiche. Oggi giustificano le intimidazioni. Presto giustificheranno anche le aggressioni fisiche.
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