
Se la sinistra giudiziaria rispolvera il sogno fascista del “processo secco”

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Puntuale come la scadenza delle tasse da pagare, a metà di questo giugno torna la polemica sull’abolizione del giudizio d’appello. Sul Fatto quotidiano Gian Carlo Caselli, già procuratore a Palermo e a Torino, membro del Consiglio superiore della magistratura, nonché nume tutelare della sinistra giudiziaria, ha proposto di sopprimere il secondo grado di giudizio per rendere più efficace il sistema: «Nessuno dei Paesi che adottano il sistema accusatorio ha tre o addirittura cinque-sei gradi di giudizio come noi. Il sistema accusatorio a tre, se non più, gradi di giudizio significa avere la botte piena e la moglie ubriaca. È un lusso che non possiamo consentirci col disastro della nostra giustizia».
Non è la prima volta che Caselli s’impanca a fautore del “colpo secco” processuale. Lo aveva già fatto nell’agosto 2014 e nell’ottobre 2015, ora giustificandosi con il fatto che «nessun Paese ha le garanzie dell’Italia», e ora con l’arretrato dei processi penali, «pesanti come un macigno, e se non si sgretola questo macigno resteremo sempre schiacciati». Per fortuna Armando Spataro, procuratore di Torino e successore di Caselli (e magistrato di quella sinistra garantista che si vorrebbe molto più assertiva), gli ha risposto con un “no” ben motivato. «La giustizia è amministrata da uomini e donne, e non è dunque infallibile», ha scritto. «Affidarsi a un solo grado di giudizio significa escludere che si possa rimediare a un possibile errore (…). Io stesso, da pubblico ministero, credo nella necessità che una condanna possa essere poi valutata da altri giudici». E ancora: «Gli amanti del “colpo solo” dimenticano che l’articolo 111 della Costituzione prevede che contro le sentenze si possa ricorrere in Cassazione solo per violazione di legge, dunque non per questioni di merito che rimarrebbero assolutamente senza una seconda valutazione». Insomma, per Spataro «abbiamo bisogno di una giustizia più veloce, questo è sicuro, ma non certo meno giusta, come sarebbe senza il grado d’appello».
La battuta di Spangher
Vivaddio, qualche volta il populismo giudiziario trova una diga dura come il ferro della logica. Perché è evidente che nel giudizio d’appello, ancor meglio che nel primo grado, la difesa delimita i poteri di cognizione e decisione del giudice: non c’è il moloch inaccessibile e incontraddicibile delle indagini preliminari; soprattutto, si avverte molto meno la pressione dei mass media e la loro sete di gogna. Non per nulla, nel varare il codice Rocco del 1930 lo stesso fascismo all’inizio tentò di delimitare rigidamente il ricorso al secondo grado. A Caselli lo ha ricordato Giorgio Spangher, uno dei massimi giuristi italiani: nemmeno il regime, alla fine, riuscì a imporre il “colpo secco”, riconoscendo che i tre gradi appartengono alla cultura giuridica del nostro Paese.
A dire il vero, Spangher è andato ben oltre la schermaglia e ha infilzato l’interlocutore nelle stesse basi del suo ragionamento: «Caselli sostiene che, mancando il personale amministrativo, piuttosto che fare nuove assunzioni sarebbe meglio eliminare l’appello. Argomentazioni così grossolane, pur provenienti da una personalità che ha attraversato significativamente la vita giudiziaria (e non solo) di questo Paese, sono tanto stupefacenti da non poter essere contestate con argomentazioni di diritto, di natura costituzionale e deducibili da disposizioni sovranazionali». Ha concluso Spangher: «Battuta per battuta, visto che mancano gli infermieri, chiudiamo gli ospedali!». Resta da sperare che la partita si fermi. E che quel che non riuscì al fascismo non riesca nemmeno oggi al dottor Caselli e ai suoi epigoni.
Foto Ansa
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