Se la retorica sullo “stadio dei bambini” crolla ad ogni “m**da” urlato al rinvio del portiere

Di Emmanuele Michela
02 Dicembre 2013
Curve vuote e stadio ai più piccoli: lo Juventus Stadium è diventato in poche ore l'esercizio cui si sono applicati i soloni del nostro Bar Sport. Solo che in ogni bambino c'è anche un ultrà

Sembrava che l’esperimento retorico di trasformare Juventus-Udinese nella festa del calcio fosse riuscito pienamente. Sembrava che la deroga speciale con cui ai bianconeri di Torino era stato concesso di aprire il proprio stadio solo ai bambini in barba alla squalifica per discriminazione territoriale fosse la risposta perfetta proprio a quel becero comportamento di cui ormai non si fa altro che parlare, vuoi per i tanti episodi tristi che spesso ci tocca leggere, ma vuoi anche per certe grottesche decisioni sui cori di “discriminazione territoriale” che hanno messo alla gogna qualsiasi espressione di sfottò e rivalità, quello che fino a qualche anno fa non ci facevamo problemi a considerare sale che aggiungeva sapore al calcio.

L’ENFASI DEI GIORNALI. Così, ecco la scelta: aprire per una gara lo Juventus Stadium solo ai bambini, che sono il lato pulito del calcio e sono meglio degli ultras, e sono anche il volto innocente della società nonostante i pessimi maestri che si ritrovano in casa, e addirittura rappresentano i custodi di un tifo buono da cui tutti dovrebbero imparare. Non è mancata l’enfasi ampollosa con cui i giornali hanno guardato a questa soluzione, un susseguirsi di panna montata buona per riempire le pagine dei quotidiani, mettersi a posto la coscienza nel moralismo più scontato («i grandi devono imparare dai piccoli») e arroccarsi dietro al messaggio positivo che sempre di più si vuole appiccicare al pallone.

SFASCIO ETICO. Ma l’immagine buonista si è incrinata, il tentativo di strumentalizzare i dodicimila bambini di Torino si è infangato per mano stessa di quei giovani tifosi, protagonisti dei cori d’insulto contro il portiere ospite Brkic ad ogni suo rinvio, e di aver saltato cantando “Chi non salta è interista” (ebbene sì, qualche firma della Gazzetta si è indignato anche per questo). E giù a intonare processi, ad un calcio allo sfascio etico, ad una classe che non sa insegnare nulla ai propri figli, alla grettezza che loro, povere spugne, hanno appreso dai loro papà violenti. Insomma, prima sfrutti l’immagine candida del bambino allo stadio, poi le cose non vanno come ti immaginavi e cerchi alibi per spiegare l’accaduto. Che sarà pure vero che quell’“Ooooh… Me**a!” era un coro fastidioso, ma è altrettanto vero che l’educazione non la si insegna coi discorsi da Bar Sport e la Fiera dei buoni sentimenti di cui i nostri commentatori sono maestri.

@LeleMichela

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