
Se Guareschi ci bacchetta
Anche i giornalisti più famosi, qualche volta, citano Guareschi. E c’è da rallegrarsene, perché non c’è scrittore tanto grande quanto insultato da tutti: dai democristiani, che l’hanno mandato in galera; dai comunisti, da lui presi di mira nei loro fanatici odi ideologici; dai “clericali”, laici e religiosi, impegnati in fariseismi che mascherano orge di potere; e soprattutto, dagli intellettuali in genere, quelli per cui la realtà è sbagliata perché è diversa dai loro schemi. Guareschi raccontava e racconta di uomini fatti di peccato originale e di peccati confessati, di fede semplice e profonda, di anelito alla giustizia, di carità praticata. Così è ancor più scomodo oggi quando, pur nel rischio di un declino economico che riguarda tutti, sembrano prevalere gli uomini specializzati nel cogliere il peccato degli altri: i giustizialisti, i girotondini, i sindacalisti estranei agli uomini che lavorano, guidati dagli evergreen, pronti ad arruolare tutti, dai punkabbestia ai black bloc, pur di vincere le elezioni; gli “amanti della libertà” rappresentata dalla televisione delle “tette al vento” e dei talk show aggressivi, che si disinteressano di foreste, monumenti ed educazione, ma finanziano i decoder. Ma a questa genia appartiene anche ciascuno di noi quando, appagati come una matrona pasciuta, guardiamo dall’alto in basso gli “altri”, convinti che la verità coincida con le nostre chat-line in pantofole con gli amichetti del cuore. Perciò a ciascuno di noi è utile riascoltare quanto Guareschi mette in bocca al Cristo di don Camillo, leggendo quella radice profonda anche dell’attuale crisi che è colta da chi lo cita: «Bisogna perdonarli perché non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia sulla terra perché non hanno più fede nella giustizia divina e ricercano affannosamente i beni sulla terra perché non hanno fede nella ricompensa divina. Per questo credono solo a quello che si vede. è la troppa cultura che porta all’ignoranza, perché se la cultura non è sorretta dalla fede a un certo punto l’uomo vede soltanto la matematica delle cose e l’armonia di questa matematica diventa il suo Dio e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia…». Forse, per questo non viviamo mossi dalla semplice e certa speranza dello scrittore della “Bassa”: «Un giorno quando le macchine correranno a cento miglia al minuto il mondo sembrerà agli uomini microscopico e allora l’uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone e si affaccerà sull’infinito e nell’infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita. Ma ci vorrà ancora un po’ di tempo, don Camillo…»
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