Con Omicron torna la Dad? La micidiale fobia della scuola

Di Caterina Giojelli
04 Gennaio 2022
Il virus sembra meno letale, i vaccini ci tolgono dai guai. Ma invece di riportare in classe i ragazzi perduti nelle altre ondate torniamo a parlare di lasciarli a casa. O a dividerli in buoni e cattivi

Non prendetevela con la scuola. Se dividere una classe in studenti di serie A “vaccinati e in presenza” e serie B “non vaccinati e in Dad” è da matti (per i ragazzi e per i loro insegnanti costretti a impazzire con la didattica “mista”), lasciarli tutti a casa per un altro mese e per non discriminare nessuno, come vorrebbe il governatore De Luca nella sua Campania (regione bianca) è pura follia. Matti e folli: questo sempre se lo scopo della scuola è ancora chiaro a tutti, cioè è ancora educare. E non “fermare i contagi”. E nemmeno attribuire la responsabilità delle aperture o delle chiusure della scuola ai singoli e alle loro vaccinazioni.

Detto così suona gretto e meschino, ma ribadirlo non è un male alla vigilia del ritorno in classe per milioni di studenti in piena quarta ondata. Una ondata diversa da tutte le altre. Ribadiamone ancora una volta i presupposti (non ce ne vogliano per il riassunto malandato i nazisti della grammatica e della statistica sanitaria).

Più contagioso, meno letale

Il primo: la variante Omicron contagia molto più e più rapidamente delle altre, ma replicandosi nelle prime via aeree e con una replicazione inferiore a livello polmonare, Omicron ammala, ospedalizza e uccide meno. Questo anche in un paese come il Sudafrica (fonte National Institute for Communicable Diseases ripreso da Bloomberg) che ha vaccinato solo il 44 per cento degli adulti (il 26 per cento della popolazione).

Questo significa che i vaccini non servono? Al contrario: per quanto sia scoraggiante doverlo ribadire in continuazione, una variante più contagiosa non annulla le problematiche di una variante più virulenta. Anzi. Una volta in ospedale, il rischio di decorso grave è lo stesso di tutti gli altri ceppi (ricordiamo che Omicron non è nata da Delta, a cui viene continuamente paragonata negli effetti, ma che discende dal ceppo originale di Whuan) e con una circolazione virale così alta diminuire la popolazione a rischio ospedalizzazione deve essere la priorità numero uno. Come? In primis con il vaccino. Perché i vaccinati – ovviamente a ciclo completo – hanno: meno possibilità di risultare positivi; se sono positivi rimangono tali per meno tempo rispetto ai non vaccinati; hanno meno sintomi e meno importanti; sono molto più protetti da una malattia grave; hanno meno probabilità di finire ospedalizzati; meno probabilità di finire in terapia intensiva; soprattutto, meno possibilità di morire.

Oggi vaccini e antivirali

Questa è la situazione alla vigilia del rientro a scuola: abbiamo una variante più contagiosa ma meno letale, e vaccini che rendono un virus molto contagioso meno “pericoloso” inoculati nella stragrande maggioranza delle persone, anche in quelle annoverate nel “picco di contagi” giornaliero: l’86 per cento della popolazione over 12 anni in Italia ha infatti completato il ciclo vaccinale e il 64,21 di chi lo ha completato da almeno 5 mesi ha già ricevuto la dose booster.

Secondo Francesco Le Foche, immunologo clinico del Policlinico Umberto I di Roma, grazie ai vaccinati potremmo addirittura passare presto «dalla fase pandemica a quella endemica»: «I vaccini con Rna messaggero sono sicuri e non c’è motivo di averne paura», ha ribadito ieri al Corriere della sera, insistendo sulla necessità di «immunizzare anche i bambini fra i 5 e gli 11 anni». Sono inoltre disponibili da oggi i primi antivirali autorizzati dall’Aifa che secondo la Fda garantiranno un livello ancora più alto di protezione.

Le “vittime” della Dad

Fatte le debite premesse, aggiungiamo che tuttavia non sono le sole né le uniche determinanti, se è vero che quella per scongiurare la Dad è stata la battaglia di molti anche prima che Omicron o i vaccini facessero capolino in Italia. Delle premesse che attengono in particolare alla scuola sembrano dimenticarsi tutti. Parliamo della Napoli di De Luca, parliamo delle periferie d’Italia, di quartieri ad alta densità abitativa, di intere famiglie in pochi metri quadrati, famiglie spesso in frantumi dove è impossibile fare lockdown o seguire le procedure di isolamento, di scuole che spesso rappresentano l’unica cosa che “tiene” per bambini in situazione di forte disagio sociale.

Diamoli sì, questa volta, i numeri. Tasso di abbandono scolastico nei Quartieri Spagnoli prima della pandemia: 31 per cento. Ragazzi “persi” durante la prima e seconda ondata di Dad: tra il 50 e l’80 per cento tra gli 8 e i 14 anni (ricordate gli appelli di Rachele Furfaro, alla guida di una scuola possibile “a contagio zero” finita anche su Le Monde? La soluzione, spiegava per chi non manda i figli negli istituti di Milano e Roma centro o sulle colline torinesi, «non è tenere chiuse le scuole ma, semmai, tenerle aperte 24 ore su 24 e immaginare come farle funzionare, nel rispetto delle regole dettate dall’emergenza sanitaria»).

I numeri dell’abbandono

Segnalazioni di abbandono scolastico giunte solo lo scorso anno dalle scuole elementari della Campania? Novecento. Nel Lazio il tasso di dispersione ha sfiorato il 25 per cento. La Puglia ha perso 11 mila studenti. La Sicilia 80 mila. In Calabria, dove il 12,3 per cento dei minori non aveva pc o tablet, sono 34 mila gli studenti che hanno alimentato lo scorso anno il fenomeno dell’abbandono scolastico. Alunni disabili “smarriti” durante il primo anno di Dad? Oltre il 23 per cento, secondo l’Istat, cioè settantamila ragazzi impossibilitati a partecipare alle lezioni online, una quota che nel Mezzogiorno è arrivata al 29 per cento. Ecco il bilancio dei “ragazzi perduti” della Dad.

Qualcuno a settembre si chiedeva a cosa sarebbero serviti i 200 milioni (che si aggiungevano ai 70 previsti dal Sostegni bis) dati dal governo agli enti locali per interventi di edilizia scolastica, affitto e noleggio di nuovi spazi e aule e prevedere le chiusure solo in “casi eccezionali”. Stanziati ad agosto, dopo un anno e mezzo di emergenza, la situazione nel Meridione non era diversa da quella di inizio pandemia: classi pollaio e mezzi sovraffollati avrebbero accolto bimbi e ragazzi dopo la pausa estiva.

Il disastro Invalsi

Era arrivato anche il dossier Invalsi 2021: un puzzle di cifre, percentuali e riferimenti continui a «divari territoriali», «disuguaglianza educativa», «perdita di apprendimento», «differenze socio-economico-culturali», «dispersione scolastica». Riassunto? Due quattordicenni su cinque (con punte del 50-60 per cento al Sud) sono entrati a settembre di quest’anno alle superiori con competenze da quinta elementare. E alla scorsa Maturità quasi uno studente italiano su due si era rivelato fermo a un livello da terza media, massimo prima superiore.

I risultati dei test Invalsi, scriveva Chiara Saraceno sulla Stampa, si erano portati via «ogni narrazione consolatoria sulla “tenuta della scuola” durante la pandemia, sull’efficacia della Dad e sulle scorciatoie inventate per non prendere atto della perdita di apprendimenti maturati in questi due anni di scuola a singhiozzo: tutti promossi e esami facili, senza preoccuparsi».

A scuola in Francia, Uk, Germania

Ieri in Francia, come ben documentato dal Sole24 ore, nonostante i 200 mila contagi registrati ogni 24 ore, oltre 12 milioni di bambini sono tornati in classe dopo le vacanze, con mascherina e protocollo sanitario stringente: se un bimbo risulta positivo, i compagni dovranno risultare negativi a tre tamponi nei quattro giorni successivi per rimanere in aula (primo test antigenico o molecolare eseguito da un operatore sanitario, seguito da test fai da te ogni due giorni, forniti gratuitamente dalle farmacie); il governo ha inoltre incaricato le autorità locali di finanziare appositi monitor che avvisino quando le aule devono essere ventilate.

Classi ventilate anche nel Regno Unito, dove nonostante i numeri pazzeschi dei contagi «la priorità è mantenere le scuole aperte. II test (il kit anti Covid-19 distribuito nelle scuole, ndr), il personale di sostegno e, naturalmente, la ventilazione faranno una grande differenza per le scuole quest’anno», ha ribadito il segretario all’Istruzione britannico Nadhim Zahawi.

Scuole aperte anche in molti Laender tedeschi dove il test anti-Covid a scuola è «una routine assoluta»: previsti test giornalieri per il rientro dalle vacanze e poi tre volte a settimana. Si tratta di tentativi, che potranno essere corretti, sconfessati, ma che nulla tolgono alla campagna vaccinale né alla considerazione del virus, ma nemmeno all’emergenza educativa.

A scuola niente guerra sociale

Prima di Natale e del picco di Omicron in Italia la sempre citata Oms interveniva su un ulteriore aspetto, la necessità per ogni paese di adeguare la strategia vaccinale in base anche alla disponibilità di dosi: «Non ha senso somministrare richiami agli adulti sani o vaccinare i bambini quando gli operatori sanitari, gli anziani e altri gruppi ad alto rischio in tutto il mondo stanno ancora aspettando la loro prima dose».

Spazi adeguati, distanziamento, separazione dei flussi di ragazzi e bambini dal trasporto giornaliero, dispositivi di protezione adeguati, tamponi (salivari per i più piccoli) gratuiti alle elementari: era questa la richiesta di tanti dirigenti e insegnati ligi alla vaccinazione e al green pass a settembre. Questo non significa preservare i bambini da un vaccino. Ma preservare l’apertura della scuola dalla  confusione e isteria del governo (e il suo risolverla continuamente col “chiudere tutto”, cioè solo e sempre la scuola), e dal divampare di una guerra sociale tra famiglie di serie A e serie B sulla base dell’immunità. Dalla quale bambini e ragazzi non uscirebbero indenni.

Foto Ansa

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