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«Quid est veritas? Ah, magnifico professore». Quella sera era tutto un fermento e un brusio: mantelli di nuvolaglia scura avvolgevano i monti, ma per i tanti stretti nella parrocchia di Santa Croce tutto era aperto, limpido, chiaro mentre Stanislaw Grygiel parlava di verità e libertà. «Così giovane e già altissimo filosofo», sussurravano, «è allievo di Wojtyła, ma anche suo amico», «ha fatto bene Sermonti a farcelo portare a Bassano». L’unico a sudare freddo era Giovanni Scalco, «era solo il secondo anno della Scuola di cultura cattolica, raccattavamo un po’ tutti per le conferenze. E davanti al palco chi ti vedo? Il mio lattaio. Un contadino che aveva mucche e letamaio di fianco alla mia casa. Che serata infernale per lui, penso, che avrà capito ad ascoltare cose di Platone, del divin porcaro e della caverna? Il giorno dopo, imbarazzatissimo, vado a prendere il latte per i miei bambini, ma prima che possa aprire bocca il contadino esulta: “Dottore! Che splendida conferenza i...
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