Sconfitto l’Isis, la Siria resta un rompicapo

Di Rodolfo Casadei
23 Gennaio 2018
Gli interessi di Russia, Iran e Turchia e quelli degli Stati Uniti. Cosa si muove sul territorio siriano

Mentre la Francia chiede la convocazione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, gli Stati Uniti presentano agli alleati un nuovo progetto per la transizione del potere a Damasco e il rappresentante dell’Onu per le trattative di pace Staffan De Mistura prepara l’ennesimo vertice di Ginevra fra governo e oppositori, sul terreno si compie armi alla mano la spartizione della Siria in aree di influenza sotto l’egida di Turchia, Russia e Iran, col sofferto ancorché tacito consenso del presidente Bashar el Assad. La situazione ha risvolti paradossali, come per esempio le reazioni all’offensiva di terra delle forze armate turche appoggiate da ribelli siriani del Free Syrian Army contro il cantone di Afrin, territorio siriano controllato da molto tempo dai curdi delle Forze democratiche siriane (Fds): la Francia di Macron ha chiesto la convocazione del Consiglio di Sicurezza, mentre la Russia e l’Iran, che hanno migliaia di soldati e mezzi militari sul suolo siriano, non hanno alzato un dito per difendere il territorio del paese alleato, e il governo di Damasco ha emesso proteste e dichiarazioni esclusivamente verbali, senza far seguire alcuna reazione concreta alle parole.

La verità è che ogni giorno che passa occidentali e arabi contano sempre meno nel teatro di guerra siriano, mentre turchi, russi e iraniani contano sempre di più. Dalla prima riunione ad Astana nel gennaio 2016 ad oggi i governi di Ankara, Mosca e Teheran hanno fatto progressi e raggiunto intese parziali, come mostra la mancata reazione all’invasione turca del territorio siriano, la seconda invasione in grande stile dopo quella dell’agosto 2016 che portò alla conquista della città di Jarablus, fino ad allora controllata dall’Isis, da parte degli alleati siriani della Turchia, ma non a quella di Manbij occupata dai curdi delle Fds, che resistettero ai bombardamenti turchi. Come allora, anche stavolta russi, iraniani e governativi siriani sono rimasti inerti davanti alla provocazione. Allora come oggi l’immobilismo dipende dalle contropartite incassate dai lealisti: nel primo caso il disimpegno dei ribelli filo-turchi da Aleppo est, che allora era assediata e bombardata dai russo-siriani (sarebbe caduta in dicembre); nel secondo caso il via libera di Ankara all’offensiva russo-siriana contro l’Idlib, roccaforte di Jabhat Fatah al Sham, quella che una volta era Jabhat al Nusra, la più organizzata ed estremista delle fazioni ribelli siriane, federata ad Al Qaeda. Come i turchi non hanno fatto nulla per contrastare l’offensiva lealista nell’Idlib che sta conseguendo successi, così russi e governativi non alzano un dito di fronte a un’offensiva contro il territorio siriano che potrebbe portare a contatto soldati turchi e soldati americani. E questo è il secondo paradosso della nuova fase del conflitto siriano che si è aperta dopo la sconfitta dell’Isis.

Gli Usa sono presenti sul territorio siriano con 2 mila uomini, impegnati nell’addestramento e nel sostegno alle Fds contro l’Isis, e con una mezza dozzina di basi militari. Poco se raffrontato ai 48 mila effettivi russi di varie armi che, secondo il ministero della Difesa di Mosca, si sono succeduti sul teatro di guerra siriano fra il settembre 2015 ed oggi, ma molto in rapporto ai risultati ottenuti, che vanno al di là della distruzione del califfato dell’Isis. Le Fds sono il risultato di una coalizione fra gli effettivi delle Ypg, le unità di autodifesa del partito curdo Pyd, e milizie di tribù arabe e beduine del nord-est della Siria. Ora che il califfato è stato disintegrato, gli Usa hanno deciso di trasformare questa forza in una guardia di frontiera di 30 mila elementi, che dovrebbe garantire la sicurezza lungo tutto il confine settentrionale della Siria con la Turchia e a ovest rendere impenetrabili i posti di blocco contigui ai territori controllati sia dai governativi che dai ribelli.

L’obiettivo strategico della mossa americana è di non permettere alla coalizione Assad-Russia-Iran di vincere completamente la guerra (le Fds controllano, grazie al supporto americano, quasi un terzo del territorio siriano) e di tenere sotto scacco l’asse sciita interrompendo la continuità territoriale di governi e gruppi armati filo-iraniani che va dall’Iran al Libano. L’iniziativa americana è stata ovviamente condannata da Damasco come un affronto alla sovranità siriana e criticata dalla Russia, ma il governo che più duramente ha reagito è stato quello della Turchia, paese alleato degli Usa nella Nato! Erdogan vede nel consolidarsi di un’entità politico-amministrativa governata dai curdi del Pyd in territorio siriano una minaccia all’integrità della Turchia, perché il Pyd è una gemmazione del Pkk che opera in territorio turco e che dal luglio 2015 ha ripreso le ostilità contro il governo di Ankara. Il programma minimo di Erdogan è di respingere le Fds a est dell’Eufrate, espellendole non solo dal cantone di Afrin, ma da Manbij, dove operano anche forze americane che partecipano ai pattugliamenti insieme ai curdi, e più di una volta sono state oggetto di attacchi armati da parte di forze ribelli siriane filo-turche. La probabile soluzione della crisi vedrà curdi e americani ritirarsi a est dell’Eufrate e i turchi fermarsi sulle sponde del grande fiume. Come andranno le cose lo sapremo probabilmente all’indomani del vertice di Soci convocato dalla Russia per il 29 e 30 gennaio sotto il nome di Congresso per il dialogo nazionale siriano: per volontà della Turchia il Pyd non è stato invitato fra i 1.500 oppositori siriani che partecipano ai lavori, ma saranno presenti esponenti della società civile curda che potranno fare da intermediari.

Mentre l’attenzione dei media è concentrata sulle operazioni militari nel nord della Siria, il sud continua a non conoscere pace: dalla regione della Ghouta controllata dai ribelli continuano a piovere colpi di mortaio su Damasco che provocano morti e feriti, e lungo il confine con Giordania e Israele gruppi fedeli ad Al Qaeda (principalmente Hay’at Tahrir al Sham) stanno prendendo il controllo dei distretti di Deraa e di Quneitra eliminando i comandanti ribelli affiliati al Free Syrian Army (Southern Front).

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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